Partito di Alternativa Comunista

Landini: rivolta sociale o collaborazione di classe?

Landini: rivolta sociale o collaborazione di classe?

 

 

di Massimiliano Dancelli*

 

 

Qualche tempo fa, nel presentare lo sciopero generale del 30 novembre indetto dal suo sindacato, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, lanciava provocatoriamente la «rivolta sociale», dicendosi pronto a qualsiasi iniziativa pur di ottenere salari e pensioni migliori, nonché migliori condizioni di lavoro. Oggi, a distanza di oltre tre mesi, la rivolta non si è sicuramente vista e nemmeno si è visto un nuovo sciopero generale o un’incisiva iniziativa di lotta.

 

Dalla rivolta al referendum

A onor del vero, i toni del segretario si erano smorzati subito dopo l’aver annunciato la fatidica azione, quando si affrettò a specificare che sì, «sarebbe» necessaria una rivolta, ma che lui non aveva mai accennato all’uso della violenza. E già qui è tutto dire, perché non si capisce come si possa condurre una rivolta senza usare un minimo di violenza, dal momento che, appena i lavoratori o gli studenti scendono in piazza, dall’altra parte i «cani da guardia» sono pronti ad azzannarli (di sicuro non usano la carota). Appariva quindi chiaro fin dal principio l’intento retorico di ergersi a paladino degli sfruttati e della classe debole, salvo poi non fare niente di concreto e scaricare su questi ultimi, sempre dipinti come classe apatica e destrorsa, le responsabilità della propria inazione.
Ma del resto parliamo di colui che ha invitato al congresso del proprio sindacato la principale figura della destra reazionaria di questo Paese, la premier Meloni, con la mesta giustificazione che si trattasse del Presidente del consiglio in carica e che loro i premier li invitano sempre, quale sia il loro colore.
Come dicevamo nell’introduzione di questo articolo, alle parole hanno seguito prontamente i fatti a smascherare i reali intenti del «compagno» Landini. Allo sciopero generale del 30 novembre, organizzato con la Uil (la Cisl si sfilò subito perché convinta della bontà dell’operato di questo Governo), non è stata data nessuna continuità, così come dovrebbe essere per chi aspira a costruire un conflitto sociale che possa sfociare in una rivolta. Ma nemmeno sono seguite altre iniziative come assemblee nelle fabbriche o presidi nelle piazze
Negli ultimi mesi l’unico accenno di lotta costruito dalla Cgil è venuto dai metalmeccanici della Fiom, che qualche sciopero, per il rinnovo del contratto scaduto quasi un anno fa, almeno l’hanno fatto, seppur con modalità non proprio incisive (in date diverse nei vari territori, spesso a distanza di parecchi giorni l’uno dall’altro).
Altro che rivolta! Qui nemmeno si scende più in piazza. Infatti, la rivolta sociale per Landini si è spostata dalle piazze alle urne. Non a caso l’ultima assemblea nazionale - tenutasi a Bologna gli scorsi 12 e 13 febbraio per la presentazione dei referendum indetti dalla Cgil per l’abolizione parziale del Jobs act e degli appalti - si intitolava: «Il voto è la nostra rivolta».
Il Segretario ha spiegato come il voto al referendum sia la vera e unica arma di lotta che i lavoratori hanno a disposizione: «Noi cittadini in Parlamento non ci siamo, non abbiamo altri strumenti se non il referendum. Diventa pertanto fondamentale usare questo strumento di partecipazione per cambiare il Paese. Noi diciamo quindi di andare a votare, anche per votare sì. Il voto può essere la nostra rivolta per cambiare il Paese». Si scopre sempre qualcosa di nuovo. E noi che eravamo convinti che i lavoratori e le lavoratrici avessero come principale arma di lotta lo sciopero… invece basta un voto e ogni problema è risolto!
Scherzi a parte, questi referendum vogliono abolire leggi nefaste per la classe lavoratrice e per questo li sosterremo (si veda qui la nostra posizione: https://www.partitodialternativacomunista.org/articoli/sindacato/referendum-cgil-la-nostra-posizione). Ma dovrebbero essere un punto di partenza e non di arrivo. Vanno utilizzati per smuovere le coscienze, unendoli ad azioni concrete di lotta, come lo sciopero. I lavoratori vanno invitati a votare per il sì, ma va anche spiegato che il referendum, da solo, non cambierà mai la loro condizione, anche perché il Governo e il parlamento possono varare nuove leggi antioperaie il giorno dopo. Questo non toglie ovviamente che, se questi referendum passassero, ciò rappresenterebbe una bella spallata a questo governo. Ma a questa spallata poi se ne dovrebbe dare subito un’altra più forte, chiamando alla lotta chi ha espresso il proprio dissenso nelle urne.

 

La partecipazione al 15 Marzo

L’ultimo atto di sottomissione e benevolenza ai diktat delle istituzioni da parte di Landini è la partecipazione alla manifestazione pro Unione Europea chiamata dal giornalista di Repubblica Michele Serra (1). Una manifestazione a difesa di un’istituzione creata come strumento dei Paesi imperialisti europei per bastonare i lavoratori e convocata per di più mentre a Strasburgo veniva varato il piano di riarmo dell’Ue, con l’obiettivo di spendere una parte superiore del Pil in armi, anziché destinare quei soldi a potenziare la sanità pubblica e garantire salari e pensioni più dignitosi.
Landini ha specificato che la Cgil «non ha aderito ma ha partecipato» perché in quella piazza era giusto esserci con le bandiere della pace per, a suo dire, ribadire che non serve spendere 800 miliardi di euro in armi e che l’Unione europea sarebbe stata costruita per garantire la stabilità e la fratellanza dei popoli (!). Da quello che abbiamo visto e subito anche negli anni più recenti, non ci sembra esattamente questo l’obiettivo che stanno perseguendo le istituzioni europee, visti i continui tagli allo stato sociale dal 2008 a questa parte. Senza contare il sostegno a genocidi come quello del popolo palestinese o la complicità nella strage del Mediterraneo, con le morti di migliaia di poveri disperati in fuga da fame e guerre.
Esprimiamo ferma contrarietà a quella manifestazione e sosteniamo le iniziative di contrasto e opposizione alle politiche di riarmo dell’imperialismo europeo. Cosa che avrebbe dovuto fare anche la Cgil: usare la sua forza e la sua influenza per porsi alla testa di un movimento di classe che ripudi tutte le politiche antioperaie e guerrafondaie dell’Ue. Ma invece, come al solito, si preferisce stare dalla parte delle istituzioni borghesi piuttosto che da quella dei lavoratori e delle lavoratrici: Landini e la direzione Cgil vogliono ricordare al Pd, partito pienamente borghese, liberale e antioperaio, che, in caso di prossimo approdo al governo, su di loro si può contare. Al contempo è stato lanciato un chiaro messaggio anche al Governo Meloni: la Cgil non intende disturbare troppo il manovratore.

 

Riprendiamoci il nostro sindacato

Concludiamo tentando di rispondere alla domanda posta nel titolo di questo articolo.  Pensiamo che il bilancio, dal punto di vista della nostra classe, di questi quasi due mandati di Landini sia totalmente negativo. Landini parla di rivolte, di occupazione delle fabbriche (all’epoca era segretario della Fiom) ma, in realtà, in perfetta continuità col recente passato della Cgil, persegue la «pace sociale». E la conclusione è riassumibile con una semplice frase: collaborazione di classe.
Sappiamo che il compito di portare la coscienza proletaria alle masse per spezzare questo sistema spetta a una direzione politica rivoluzionaria, ma il sindacato dovrebbe essere una scuola di lotta di classe. Invece ad oggi il sindacato si sta trasformando in uno strumento di demoralizzazione per i lavoratori che, continuamente traditi, trascinati alla sconfitta o verso vittorie fittizie, perdono gradualmente fiducia in sé stessi come classe.
Per questo dobbiamo tornare alla lotta. Scavalchiamo chi pensa solo a mantenere il proprio status quo. Costruiamo un’opposizione di classe all’interno del più grande sindacato italiano. Torniamo a farlo nostro!

 

*Lavoratore Fiom Cgil

 

Note:

1) per approfondire https://www.partitodialternativacomunista.org/politica/internazionale/no-all-europa-del-grande-capitale-e-del-riarmo

 

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