La valenza nazionale di una candidatura di lotta
di Francesco Ricci
La stampa
borghese in questi giorni dedica ampio spazio a quella che chiama "la
corruzione della politica". Dalla cassa della Margherita di Rutelli ai
faldoni sulle ruberie della leghista "the family", dai consigli
regionali di Lombardia e Puglia fino al parlamento nazionale farcito di
indagati, per il quale calza più che mai la vecchia definizione coniata da Rosa
Luxemburg: "il pollaio della democrazia borghese".
Dimenticano
di dire, non possono dire, che è questo sistema sociale, il capitalismo, a
essere marcio fin dalle fondamenta. Un sistema basato sul furto della forza
lavoro, sullo sfruttamento di milioni di salariati; un sistema che divide la
società in classi, antistorica sopravvivenza di un capitalismo da decenni non
più in grado di accrescere le forze produttive, capace solo di accrescere
miseria e crisi. Crisi a cui la borghesia risponde con l'unico mezzo che
conosce: con la guerra, anzi con due guerre.
Una è la
guerra in armi per appropriarsi di risorse e territori, come quella che si
continua a combattere in Afghanistan, con bombe e massacri; e di cui si parla
solo quando a cento vittime afghane se ne aggiunge una delle truppe occupanti. Guerre
che si ricordano solo quando qualche coraggioso resistente di un Paese
distrutto dalla voracità imperialista si difende e colpisce uno dei cosiddetti
"nostri ragazzi": mercenari con nostalgie del Ventennio, strafatti di
stupefacenti, "nostri ragazzi" che ogni tanto, per far passare il
tempo, usano la popolazione afghana (e prima irakena) come bersaglio al posto
dell'orso di peluche del luna park (non era a Nassyria che uno di quei bravi
ragazzi gridava al commilitone: "annichiliscilo", durante una gara di
tiro a segno con irakeni come obiettivi in movimento?).
Un'altra guerra
che combattono contro di noi è la guerra sociale. Quella che banchieri e
industriali di tutta Europa hanno sferrato contro il proletariato. Per farci
pagare il loro debito. Per salvaguardare i loro profitti sulla nostra pelle. E'
una guerra fatta di "riforme". Le chiamano così. Rapinano le
pensioni. Una riforma. Cancellano quel minimo di tutela contro i licenziamenti.
Altra riforma.
Non c'è da
stupirsi. I padroni guardano ai loro conti in banca. I loro partiti sono gli
strumenti con cui operano: e quando diventano troppo corrotti, cioè quando i
politicanti borghesi pensano più al loro conto personale che a quello del
padrone, provvidenzialmente arrivano intrepidi magistrati (gli stessi che qui e
là danno ragione alla Fiat contro la Fiom; gli stessi a cui la Camusso delega
la difesa dai licenziamenti; gli stessi che processano chi lotta nelle piazze,
nelle fabbriche, contro la Tav), arrivano, dicevamo, questi giudici "indipendenti",
spesso celebrati come eroi anche dalla sinistra riformista, che fanno un po' di
pulizia nel pollaio. Ripristinando così la legge borghese e la Costituzione che
prevedono che gli unici autorizzati a rubare nel capitalismo siano i padroni.
E la sinistra cosa fa?
E la
sinistra, o cosiddetta tale, cosa fa? Per anni ci ha ripetuto che bisognava
prima di tutto pensare a "battere le destre", "battere
Berlusconi". E' per questo, ci hanno spiegato a turno Bertinotti Vendola
Ferrero e tutti gli altri presidenti ministri onorevoli, è per questo che
bisogna sostenere il centrosinistra. La borghesia buona contro quella cattiva.
La borghesia produttiva contro quella speculativa. Marchionne... ah, no, già:
Marchionne adesso è cambiato (anche se non ha cambiato il maglioncino, che a
questo punto non deve avere un buon odore).
Battere le
destre. E hanno sostenuto il Prodi I, con i suoi pacchetti Treu, l'apertura dei
lager per immigrati. Questo ha spianato la strada a Berlusconi. E allora
bisognava nuovamente battere le destre, così hanno sostenuto il Prodi II.
Sempre in nome del nobile ideale di battere Berlusconi e anche (da che c'erano)
per una poltrona da presidente della Camera per Bertinotti e di una grisaglia
ministeriale per Ferrero, ministro della "solidarietà sociale" in un
governo di rapina sociale. I risultati sono stati grandi (per la borghesia): tagli
ai servizi e alla scuola pubblica, missioni militari in Libano e Afghanistan,
"pacchetto sicurezza" con annessa dichiarazione di Rom e rumeni come
delinquenti naturali. E poi è tornato Berlusconi e quindi Monti.
Ma non è
finita. Gliene va dato atto: divisi e in crisi eppur non mollano, Ferrero e
Vendola sono ancora lì. Come sempre, pronti a battere le destre. Una vera
missione sociale (d'accordo, Vendola la alterna con la gestione della sanità
pugliese: ma sono cose da poeti).
E, ca va sans dire, sono sempre in prima
fila a sostenere il Pd e la borghesia buona contro il centrodestra e la
borghesia cattiva. D'accordo, al momento centrodestra e Pd sostengono uniti il
nuovo governo di rapina, quello di Monti. Il governo a cui Vendola promette una
leale opposizione (di cui nessuno finora si è accorto) e Ferrero una dura
opposizione (bravo chi l'ha vista). Ma è solo un dettaglio sulla luminosa via
al buio sottoscala del prossimo governo. Monti è solo (o sperano sia solo) una
breve parentesi. Dopo, se tutto va bene, se si realizza il progetto della
borghesia buona di archiviare Berlusconi, al governo ci andrà di nuovo il
centrosinistra che di Vendola non potrà fare a meno. Quanto a Rifondazione, al
momento neppure la considerano, essendo più o meno sparita anche dai sondaggi
elettorali. Per questo si moltiplicano le suppliche, le videolettere di Ferrero
a Nichi. Per questo, soprattutto, si moltiplicano gli accordi elettorali e di
governo per le amministrative. Per le elezioni di maggio la Rifondazione
dell'ex ministro Ferrero, accantonando per qualche settimana la strenua
opposizione al Pd del governo nazionale, si allea col Pd per il governo locale.
In ogni angolo del Paese.
Ma cosa c'entra Ibrahima?
E cosa
c'entra Ibrahima Barry, candidato sindaco del Pdac a Verona, con tutto questo?
si chiederà il lettore che pretende un articolo che risponda al titolo.
Ibrahima
c'entra perché è il candidato sindaco, l'unico, che ha già vinto le elezioni
venti giorni prima che si aprano le urne.
Ha già vinto
perché della sua candidatura parlano tutti: non solo giornali, tv, siti, blog,
facebook ecc. ma soprattutto perché alla sua candidatura guardano tanti
lavoratori nativi e immigrati di Verona o che pure non vivono a Verona e che non
potranno votare per lui.
Ha già vinto
perché si candida per un partito che non aspira a grandi percentuali di voto;
l'unico partito che non vuole assessori, che non vuole sedersi a questo tavolo.
Che questo tavolo - il tavolo della borghesia - lo vuole rovesciare. E
rovesciare con le lotte di piazza, di fabbrica: non con gli ordini del giorno
nei consigli comunali.
Il Pdac non
aspira a essere "l'unico partito che si presenta alle amministrative a
sinistra di Rifondazione". Il Pdac non vanterà i suoi voti, non li
moltiplicherà in un grottesco gioco sulle percentuali. Sono tutti vanti che
lasciamo ad altri, noi abbiamo ben altre ambizioni.
Noi siamo di
quelli che in piazza ci vanno sempre, per stare nelle lotte: non per farci
riprendere dalle telecamere o per sfilare dieci metri più avanti o più indietro
in un corteo. Ci andiamo per costruire le lotte, per portarci le nostre idee,
il nostro programma, la nostra bandiera di militanti dell'unica organizzazione
rivoluzionaria internazionale oggi presente in Europa. Rappresentanti di quella
sinistra che non ha mai ceduto al ricatto di "battere le destre", che
non ha mai pensato che si possano battere Berlusconi Bossi e Maroni alleandosi
con i banchieri. Gli unici che non hanno sostenuto Pisapia e De Magistris,
candidati di industriali e banchieri a Milano e Napoli: né al primo né al
secondo turno. Siamo quelli che in piazza con i lavoratori immigrati ci stanno
ogni giorno, che ogni giorno si battono per una piena unità nelle lotte tra
lavoratori nativi e immigrati. La candidatura di Ibrahima non è un fatto
elettorale ma di lotta. Una sola classe contro lo stesso nemico: la borghesia e
i suoi governi, di ogni colore.
Almeno per un
giorno, noi che non vantiamo mai niente, vogliamo vantarci di questa
candidatura. E' una candidatura che ci dà orgoglio.
Perché
abbiamo candidato un operaio immigrato, un africano che, come ha detto il
nostro compagno Moustapha Wagne l'altro giorno in piazza a Verona, è africano e
nero doc. Un operaio trotskista africano, un nero nella città che ci presentano
come leghista nella regione che fu bianca e oggi, almeno nei voti, è di quel
verde marcio dei fazzoletti della Lega. Una città e una regione che in realtà
hanno una storia importante e rossa, che pure quasi nessuno ricorda. E' in
questo Veneto che fu eletto deputato Antonio Gramsci, nel 1924, prima di finire
in un carcere fascista. E' in questo Veneto che è nato Pietro Tresso, fondatore
del trotskismo italiano.
E' qui che
Ibrahima Barry ha già vinto. Dimostrando che non è corrotta la politica: è
corrotta la politica della borghesia e di quella sinistra che si vende alla
borghesia per qualche poltrona. Dimostrando che le vere vittorie i lavoratori
non le hanno mai avute e mai le avranno nelle urne: le hanno avute e ancora le
avranno solo nelle piazze, come ci hanno insegnato i giovani e gli operai di
piazza Tahrir.
E' qui, a
Verona, che sabato 14 aprile - all'inizio della campagna elettorale - in una
piazzetta con tanti giovani e operai di ogni colore abbiamo avviato la nostra
campagna elettorale. Per fare questa campagna abbiamo raccolto in una scatola
di cartone qualche decina di euro. Qualche altra decina di euro raccoglieremo
da tutti coloro che vorranno sostenerci e che possono farlo collegandosi al
blog di Ibrahima (v. qui sotto). Per fare questa campagna abbiamo però qualcosa
che vale di più degli euro: la disponibilità militante di compagni e compagne
che vogliono insieme a noi usare questo mese di campagna elettorale solo ed
esclusivamente come strumento di rilancio delle lotte contro la borghesia.
Ibra parlerà
di questo: della difesa dell'articolo 18, della necessità di costruire uno
sciopero generale prolungato per fermare l'attacco di Pd e Pdl e del loro
governo Monti. Della necessità di una risposta di classe, a livello europeo,
dei lavoratori contro le guerre militari e sociali dei padroni. Per non pagare
il debito, facendo pagare la crisi ai milionari, espropriando sotto controllo
operaio industrie e banche. Altro che "battere le destre": bisogna
battere tutti gli schieramenti padronali. Per costruire una alternativa
socialista e rivoluzionaria, un governo dei lavoratori.
Come abbiamo
detto sabato 14 nella bellissima piazza colorata di rosso di Verona, per fare
tutto questo c'è bisogno di una cosa fondamentale: costruire quel partito che
ancora non c'è e di cui il Pdac e la Lit ritengono di essere solo un primo
passo in una direzione giusta. Ecco la nostra unica ambizione, ecco perché
partecipiamo a quel gioco truccato che sono le elezioni nella democrazia delle
casseforti.
Quanto alle
elezioni di Verona, a differenza di tutti gli altri, non abbiamo bisogno di
aspettare l'esito per sapere come andranno a finire. Le ha già vinte Ibrahima.
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