Sardegna
Da Soru a Silvio. Dalla padella alla brace.
Coord. Pdac Sardegna
Si può fotografare così questa tornata elettorale regionale sarda: promesse mancate e promesse che non saranno mantenute. Alla fine gli elettori hanno scelto tra chi non ha mantenuto le promesse e chi non le manterrà.
Ha vinto quest’ultimo, Ugo Cappellacci, o meglio Silvio Berlusconi, visto che il primo non ha mai aperto bocca in campagna elettorale e il secondo ha fatto valere tutto il suo ascendente mediatico e la forza del suo potere economico che ha in Sardegna radici lontane, e interessi futuri.
L’altro contendente, Soru, invece avrebbe fatto bene dal suo punto di vista a tenerla chiusa la bocca, ma non ha resistito, e appena poche ore prima della chiusura della campagna elettorale dichiarava con orgoglio che la sua giunta avrebbe creato durante il proprio mandato ben 20 mila posti di lavoro (con il conforto dei dati Istat, che in realtà considerano per posto di lavoro anche il lavoratore stagionale trimestrale in costa). Ebbene l’affermazione fatta proprio nel momento in cui migliaia di operai del polo chimico del Sulcis Iglesiente erano (e sono tuttora) in lotta contro cassa integrazione e licenziamenti non è rimasta invendicata: ma ne ha guadagnato il centrodestra che fa il pieno di voti è proprio nelle zone della crisi dilagante, delle fabbriche in dismissione.
Per rendersene conto basta raffrontare i dati del voto di queste regionali nella provincia di Carbonia – Iglesias (cuore della crisi industriale più nera), dove il CD si è affermato con 56% contro il 38% del CS nel voto maggioritario (mentre nel proporzionale il distacco è ancor più netto: 58% al CD, 36% al CS), con i dati delle elezioni regionali del 2004. Nella stessa zona infatti proprio Soru si affermò con il 50% contro il 42% della coalizione del CD.
Anche la circoscrizione di Cagliari, anche escludendo Cagliari città da sempre bacino di destra, ha punito pesantemente colui che portò in trionfo nelle precedenti elezioni (allora l’esito ebbe queste proporzioni: CS 47%, CD 44%). Oggi il centrosinistra prende il 41% e il CD ben il 54% (se guardiamo al voto proporzionale notiamo che le differenze diventano abisso: CS 37%, CD 58%).
Va ricordato che anche in provincia di Cagliari la crisi Industriale ha decimato le fabbriche e compresso quelle ancora in attività (nella sola zona industriale di Macchiareddu, hanno chiuso numerose fabbriche e centinaia di operai sono andati in CIG o direttamente a casa).
Nelle altre province il voto ha sostanzialmente confermato il tracollo generale, con l’unica eccezione di Nuoro, roccaforte della coalizione (50% contro il 43%).
Infatti a Sassari finisce in parità (dove il CS teoricamente avrebbe dovuto o voluto sfondare) e a Oristano il CD ha conquistato oltre il 60% dei consensi.
Ma il tracollo coinvolge anche la cosiddetta sinistra, che nonostante tutto (e a ragion veduta), canta vittoria per non essere sparita completamente. Sui circa 80 seggi disponibili, oltre 50 andranno al CD, poco meno di 30 al CS.
Rifondazione Comunista esprimeva l’assessore al lavoro e questo avrà pur avuto un peso nella sconfitta, visto che non ha fatto altro che erogare cassa integrazione e organizzare inutili ed inconcludenti tavoli concertativi con aziende che chiudevano comunque, dopo avere succhiato altri finanziamenti. Ebbene il Prc che aveva 6 consiglieri e aveva preso 35.000 preferenze, ne piazza al massimo due (sempre che nel frattempo, questi due rimangano nel Prc, vita l’aria che tira) e perde oltre 15.000 voti. Anche i comunisti italiani perdono migliaia di voti e si ritrovano con un solo consigliere. La Sinistra prende appena 10.000 voti e un consigliere.
Il resto va al PD, mentre fuori dalle coalizioni gli indipendentisti dell’IRS (Indipendentzia Repubbrica de Sardigna) prendono più del 2%. Purtroppo per l’IRS non avranno nessun consigliere regionale. Gli indipendentisti di Unidade Indipendentista ottengono lo 0.55%. hanno pagato una campagna strutturata in rincorsa all’IRS sui temi del separatismo, annegandovi la propria confusa ispirazione marxista, che non ha avuto gran peso nella battaglia elettorale.
Le ragioni della sconfitta risiedono nella profonda disaffezione dell’elettorato operaio, che ha visto polverizzarsi in breve tempo ogni speranza di avere in Soru un rappresentante dei propri problemi, prima ancora che un solutore della crisi. Non ha fatto altro che garantire ai padroni finanziamenti a pioggia e cassa integrazione. È poco per pretendere dai lavoratori un briciolo di fiducia. Mentre lo stregone di Tiscali fendeva i marosi della campagna elettorale, “affogavano” centinaia di suoi dipendenti, nelle lettere di licenziamento appena camuffate da incentivi alle dimissioni.
Con un progetto così dove si voleva andare? La stessa coalizione di CS ha sempre visto male qualsiasi ipotesi di salvaguardia delle coste (che era forse l’unico punto positivo in anni di governo) essendo drogata dagli interessi del mattone.
Ecco spiegata, crediamo, la netta affermazione del centrodestra che ha nel programma lo scempio del territorio, ulteriori finanziamenti ai padroni per lo sfruttamento dei lavoratori e una stretta correlazione con l’attuale premier Berlusconi, che di fatto è il nuovo presidente della Regione Sarda. Insieme alla promessa di creare 100.000 posti di lavoro. Gli elettori si sono illusi che ciò possa accadere, mentre sapevano bene che l’altra promessa, quella di averne già creato 20.000 non era assolutamente vera.
Ma proprio questo aspetto deve far riflettere sul futuro della sinistra. Puoi chiedere un voto ai lavoratori solo a patto di essere sincero con loro, metterti al loro fianco nella lotta, amplificare il loro grido di rabbia, di appoggiare la loro lotta di classe. Oggi più che mai serve un partito comunista che rivesta questo difficile ruolo.
Ma noi non siamo così presuntuosi da pretendere di essere autosufficienti. Per questo avevamo lanciato la proposta di creare una lista comune a PCL e Sinistra Critica, per utilizzare anche la campagna elettorale per propagandare una alternativa ai poli borghesi. Eppure abbiamo ricevuto in risposta solo un assoluto e indifferente silenzio, in aggiunta a comunicati nazionali delle due forze su una loro presentazione autonoma...
Ma la prospettiva è ancora quella che ci siamo dati all’atto della nascita del partito: andare avanti nella costruzione di un partito comunista rivoluzionario.
Il PdAC continua nel volantinaggio operaio e studentesco, non si ferma la lotta dei lavoratori e dunque nemmeno il nostro lavoro politico.
Il nostro non è un partito che vive durante le elezioni. Il nostro è il partito che lotta per l’unica alternativa possibile: quella Comunista.
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