Cremona, raffineria Tamoil
MILLE OPERAI IN LOTTA
di Mirko Seniga (*)
La grave crisi economica continua a produrre disoccupazione e impoverimento in tutti gli strati sociali. In queste manovre sono coinvolti tutti i settori produttivi, anche grandi aziende che da decenni traggono enormi profitti devastando il territorio dove si trovano ad operare.
La
ridente cittadina di Cremona, negli ultimi anni, si ritrova in una crisi
occupazionale sempre più in aumento; molte piccole imprese che compongono la
realtà economica cremonese stanno licenziando, se non chiudendo
definitivamente. A queste migliaia di lavoratori disoccupati o in cassa
integrazione si aggiungeranno presto i 1000 operai Tamoil, 300 dipendenti e 700
nell'indotto.
Negli
ultimi mesi del 2010 i vertici aziendali della raffineria cremonese comunicano
la dismissione degli impianti della raffineria e l’intenzione di mantenere un
magazzino di carburante che potrà riservare solo 30 posti di lavoro. La notizia
crea sgomento e preoccupazione: si prospetta il più grande licenziamento della
storia cremonese, un durissimo colpo per l'economia locale che vede
aggiungersi, alla crisi del settore edile e metalmeccanico, l’imminente
chiusura degli impianti di raffinazione presenti da oltre trenta anni a
Cremona.
L'eredità Tamoil: licenziamenti e inquinamento.
L'impianto
cremonese di raffinazione del greggio negli ultimi due anni è oggetto di un
grande scandalo di inquinamento ambientale. Dopo numerose proteste, per i forti
odori di idrocarburi, sollevate dai soci delle borghesi società private
canottieri, situate nelle immediate vicinanze della raffineria Tamoil, vengono
fatti i primi controlli. Ciò che emerge è davvero allarmante: tutto il terreno
sotto gli impianti e nelle zone limitrofe presenta concentrazioni di
idrocarburi che superano largamente la già fin troppo generosa soglia di
tolleranza italiana, tanto da aver contaminato le stesse falde acquifere
sottostanti.
Questo
è frutto della logica del profitto condotta, nei vari decenni, dalle diverse
aziende che si sono succedute nella gestione della raffinazione. Ogni azienda
si è preoccupata solo di incrementare i guadagni, sfruttando i dipendenti,
senza spendere un soldo per effettuare bonifiche o per limitare l'inquinamento
dell'aria. Ora che emerge la responsabilità di Tamoil, l'unica risposta che
giunge dall'azienda è quella dello smantellamento degli impianti, ovviamente
non accompagnata dall’intenzione di bonificare l'area da tutte le sostanze
nocive che hanno sversato nel territorio, responsabili di un preoccupante
aumento di casi di tumore e di malattie dell'apparato respiratorio.
Il
caso cremonese Tamoil non è isolato, anzi sul piano nazionale è il primo di
quattro impianti che saranno chiusi lasciando sicuramente le stesse eredità:
licenziamenti e inquinamento.
Nella
logica del profitto il padronato quando non ha più interesse nel mantenere i
propri stabilimenti, li chiude spostando l'attività verso nuovi lidi dove può
pagare meno la manodopera e quindi incrementare i propri guadagni, continuando
a riversare veleni.
Cosa fa chi dovrebbe difendere i lavoratori, cioè il sindacato?
Più
passano le settimane, più emerge quanto la situazione per i lavoratori della
Tamoil si faccia difficile.
Oggi,
dopo mesi di promesse fatte dal sindaco Perri, dal vescovo, dal presidente
degli industriali, dall'opposizione di centrosinistra, dai sindacati, fino ad
arrivare ai massimi livelli istituzionali della Regione e del Ministero, la
situazione per centinaia di lavoratori registra un nulla di fatto.
L'invocazione
a pazientare per cercare una soluzione nella trattativa e l'appello al buon
cuore di capitalisti illuminati locali (acciaierie Arvedi) o nazionali (Eni),
si stanno rivelando per quello che erano fin dall'inizio: solo una commedia
dell'equivoco giocata sulla pelle degli operai.
Durante
gli anni che hanno preceduto la crisi, i vertici aziendali di Tamoil con la
compiacenza di tutti i sindacati confederali, del settore chimico, hanno
mantenuto la pace sociale fra i lavoratori, mantenendoli divisi.
Ogni
forma di protesta viene da sempre trattata settore per settore e risolta
comprando le coscienze degli operai con incentivi economici che alimentano la
rivalità tra lavoratori. Lo stesso metodo viene oggi proposto per risolvere il
problema licenziamenti: una buona uscita a partire da 5000 euro, trattabile
caso per caso.
Come
è possibile ancora oggi, dopo quello che si è visto in questi mesi a Cremona e
con quello che sta accadendo a milioni di lavoratori in Italia e nel mondo,
illudersi che vi possa essere una soluzione che accontenti padroni e operai?
Per
gli azionisti libici della raffineria, così come per gli “italianissimi”
proprietari della Fiat, l'unico imperativo riconosciuto, l'unico obbligo al
quale si sentono in dovere di ubbidire è quello del profitto. In suo nome sono
disposti a tutto: licenziare, mettere sul lastrico mille lavoratori Tamoil,
distruggere ogni diritto degli operai fino a ridurli a una sorta di schiavitù,
come avviene in Fiat.
Davanti
a tutto questo Cisl, Uil e Cgil abdicano di fatto al ruolo di rappresentare i
lavoratori, mettendo in atto vere e proprie azioni di pompieraggio per spegnere
ogni fuoco di protesta, dimostrando di essere collaterali alle esigenze degli
industriali. Con l'avvicinarsi della chiusura di Tamoil a Cremona, prevista per
aprile – giugno, il malumore dei lavoratori della raffineria si acuisce,
ottenendo sino ad ora solo uno sciopero di otto ore sfociato in una
manifestazione cittadina avvenuta venerdì 14 gennaio scorso. Da allora si sono
susseguiti numerosi incontri “tecnici” tra istituzioni, sindacati e dirigenti
della raffineria che servono esclusivamente per prendere tempo e congelare le
varie iniziative di protesta davanti all'impianto.
L'unica soluzione passa attraverso l'occupazione della fabbrica.
Come militanti del Partito di Alternativa Comunista in ogni volantinaggio o azione di sostegno ai lavoratori della raffineria, con una presenza costante davanti agli stabilimenti e nelle manifestazioni, da mesi affermiamo che è in primo luogo da loro stessi che gli operai e gli impiegati della Tamoil devono trovare la forza per opporsi a un destino che appare già segnato. Pur in apparenza distante, la vicenda Tamoil ricorda da vicino quella che sta interessando i lavoratori di Mirafiori e della Fiat. In entrambi i casi si vede all'opera la logica su cui si regge il sistema capitalistico: di fronte alla tutela delle esigenze padronali le vite dei lavoratori non valgono nulla. Per questo è illusorio sperare che le soluzioni vengano da “nuovi piani” padronali o dall'intercessione dei partiti politici dei due schieramenti di alternanza che, per definizione, hanno a cuore solo gli interessi padronali. Anche a Cremona l'unica soluzione realistica è quella dell'occupazione della fabbrica: solo riappropriandosi di ciò che è frutto del loro lavoro, gli operai potranno impedirne lo smantellamento e imporre la nazionalizzazione della Tamoil sotto controllo dei lavoratori. Contro chi in nome del profitto li vuole mettere sulla strada, noi invitiamo i lavoratori Tamoil ad espropriare, senza indennizzo, la gestione della produzione e di porla sotto il controllo di tutti quelli che vi lavorano.
(*) Pdac Cremona