Partito di Alternativa Comunista

Governo Draghi: quando il buongiorno si vede dal mattino

Governo Draghi: quando il buongiorno si vede dal mattino

 

 

 

di Alberto Madoglio

 

 

 

Abbiamo già parlato, in diversi articoli apparsi sul nostro sito e sulla nostra stampa, delle ragioni che hanno portato alla nascita del governo Draghi quasi due mesi fa. Così come abbiamo già più volte analizzato e cercato di interpretare il coro unanime a sostegno del nuovo esecutivo. Non solo tutti i partiti presenti in Parlamento (con l’eccezione più formale che sostanziale del partito della Meloni, Fratelli d’Italia), ma anche le cosiddette «forze sociali» hanno alzato lodi verso il nuovo presidente del Consiglio, indicato come il Messia che permetterà all’Italia di uscire dalle secche di una crisi economica che per il Belpaese dura nei fatti da quasi un ventennio.

 

Il sostegno unanime a Draghi nasconde debolezze di fondo

In questa opera di santificazione un ruolo di primo piano lo hanno svolto i mezzi di informazione, stampa e televisioni, che hanno fatto da megafono alle aspettative delle classi dominanti italiane, che in molti casi sono anche proprietarie dei mass media (Elkann, Berlusconi, Caltagirone ecc.). Se voci critiche sono quasi del tutto assenti, almeno per il momento, alcuni tra i commentatori e politici più accorti hanno usato un leitmotiv, non particolarmente nuovo ma per loro forse efficace, cioè quello che il nuovo governo dovrà essere giudicato per ciò che riuscirà a fare.
Questo non particolarmente brillante escamotage retorico è usato per due motivi.
Il primo è quello di tenersi pronta una via di fuga. È di tutta evidenza che sarà molto complicato per Draghi imporre una svolta alla crescita economica italiana e che, se i padroni avranno soddisfatte le loro richieste, non è detto che ciò sarà per loro sufficiente a far sì che ciò possa significare quella svolta di cui hanno bisogno. Quindi nel caso il Messia non dovesse a fare i miracoli che tutti si aspettano, ecco che alcuni dei suoi sostenitori potranno dire: «l’avevamo messo in conto».
D’altro lato questo è anche il modo che viene usato per mettere la sordina al malumore che in larga parte della popolazione la nascita del governo Draghi sta creando. Se dai sondaggi pare esserci un ampio sostegno al governo, milioni di lavoratori sanno con chi avranno a che fare, perché è ben presente nella loro mente il ricordo di ciò che l’ex governatore della Banca d’Italia prima e della Banca centrale europea poi, ha fatto. Fu Draghi l’ispiratore e il principale sponsor di due dei più brutali attacchi sferrati dalla grande borghesia alla classe lavoratrice italiana: ci riferiamo alla riforma delle pensioni Monti-Fornero e all’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori inserito nel Jobs Act. Quindi il tentativo è quello di guadagnare tempo, cercando di convincere lavoratori, lavoratrici, giovani, immigrati a concedere al premier una cambiale in bianco, preferibilmente senza scadenza definita.
Anche prendendo momentaneamente per buono questo ragionamento, accettando che il passato non conti, che le decisioni in campo politico ed economico prese a suo tempo non abbiano la ben che minima rilevanza. Anche accettando di vivere in un eterno presente, illudendosi che in una società divisa in classi i governi siano una sorta di entità astratta, super partes, che possano rappresentare in egual misura le richieste di sfruttati e sfruttatori, e non sia ciò che in realtà è, cioè il comitato di affari della borghesia, le prime azioni del nuovo esecutivo ne segnano già il carattere reazionario e anti operaio. In modo irrimediabile.
Nonostante la pandemia stia mietendo centinaia di morti ogni giorno, in aggiunta a decina di migliaia di nuovi contagiati, si continua con la criminale decisione di tenere aperti attività e uffici, non perché siano fondamentali al benessere collettivo, ma in quanto funzionali alla smania di profitto dei padroni.
Il piano vaccinale continua a essere una chimera, al di là delle promesse e rassicurazioni. In ciò ha avuto un peso la scelta del governo, in sede Wto, di votare contro una mozione che chiedeva l’abolizione dei brevetti sui differenti vaccini, scelta che avrebbe impresso una spinta alla produzione e alla distribuzione.
Su come affrontare le tensioni sociali che la situazione economico-sanitaria sta causando, Piacenza e Prato sono state avvisaglie di quale sarà la strada da seguire: arresti, denunce, cariche della polizia contro i lavoratori in sciopero, multe e minacce. Perché se è vero che siamo sulla stessa barca, qualcuno è ai remi a vogare, qualcun altro è sul ponte di comando a godersi il panorama e a beneficiare della fatica fatta dai più.

 

L’attacco ai lavoratori del pubblico impiego

Il provvedimento che in questa fase inziale del governo ha avuto maggiore importanza è senza dubbio il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale. Sotto la pomposità del nome, si cela l’ennesimo attacco al mondo del lavoro nel pubblico impiego, l’introduzione di forme di flessibilità nel salario e un ulteriore passo nel processo di smantellamento del welfare pubblico con l’introduzione di quello accessorio aziendale, come da lungo tempo avviene nel settore del lavoro privato.
Siglato il 10 marzo scorso dal premier, dal ministro della Pubblica Amministrazione (il famigerato Brunetta nemico giurato dei lavoratori pubblici) e dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Landini in testa, non è un semplice rinnovo del contratto nazionale, che anzi verrà siglato in seguito, ma una vera e propria riforma del settore in senso privatistico.
A fronte di un misero aumento salariale medio di 105 euro (cifra massima prevista che sarà impossibile aumentare in fase di contrattazione vera e propria) che ricordiamo non copre se non in minima parte la pesantissima perdita di potere d’acquisto dei salari pubblici verificatasi dal 2010 a oggi (in occasione dello scorso rinnovo contrattuale si parlava di alcune migliaia di euro, oggi senza dubbio aumentate), le burocrazie sindacali firmano una resa senza condizioni, il cui prezzo lo pagheranno però i lavoratori pubblici.
In futuro verrà incentivata la parte variabile del salario, legata a criteri di efficienza e produttività, con la scusa di voler far ciò solo per migliorare il servizio pubblico. In realtà sappiamo, perché lo abbiamo già visto in altri settori del mondo del lavoro, ciò non porterà altro che un aumento dei carichi di lavoro, un peggioramento della qualità della vita e dei servizi resi, in quanto possiamo immaginare che verrà tenuta in considerazione la redditività dei servizi resi e non la loro efficacia nel soddisfare le esigenze degli utenti, che non sono cittadini tout court ma per la stragrande maggioranza lavoratori. I quali negli ultimi anni in particolar modo, hanno visto peggiorare, e lo vedranno anche in futuro, il sistema pubblico in tutti i rami, sanità, scuola, trasporti, assistenza sociale nell’accezione più larga del termine, ecc.
Viene introdotto, come ricordavamo, il welfare aziendale. Il meccanismo col quale si vuole far passare come conquista un vero e proprio furto, è duplice. Da un lato si dice: visto che il pubblico non funziona, vi diamo la possibilità di compensare quelle mancanze con il ricorso ai privati. Dall’altro si prevede che in caso gli aumenti legati alla parte variabile del salario siano erogati in welfare aggiuntivo, si beneficerà di una totale decontribuzione, avendo cioè una somma più alta del normale.

Il furto è facilmente spiegato.

Nel primo si depotenzia il sistema pubblico, cercando di sostituirlo con risorse indirizzate al privato. Dando soldi al privato, ve ne saranno meno per il pubblico, innescando un infernale circolo vizioso che avrà come traguardo un fortissimo, per non dire totale, smantellamento dello Stato sociale.
Nel secondo meno contributi vogliono dire un montante inferiore sul quale calcolare la pensione futura. Inoltre questo comporta che il bilancio dell’Inps avrà meno risorse, giustificando in futuro ulteriori riforme del sistema pensionistico, in peggio ça va sans dire.
Verrà data totale discrezionalità alla dirigenza in materia di organizzazione del lavoro, assegnazione di incarichi e avanzamenti di carriera.
Superfluo aggiungere che non viene minimante messa in discussione la feroce normativa anti sciopero in vigore da oltre trenta anni, che ha reso possibile che le varie riforme del settore passassero senza grandi conflitti sociali. Oltre le conseguenze specifiche per i lavoratori pubblici, è il segnale politico che dà la sigla di questo protocollo, il vero tema da affrontare.
Ancora una volta le burocrazie sindacali, quella della Cgil più di tutte, si offrono come sostegno attivo a un governo di classe, che nel caso del governo Draghi è la massima e più completa espressione delle aspirazioni della grande borghesia tricolore. Il segnale che gli apparati confederali danno è che da parte loro non verrà alcun tipo di disturbo all’azione dell’esecutivo: in cambio di un riconoscimento formale del loro ruolo di interlocutori, sono pronti a concedere tutto ciò che padroni e partiti di maggioranza vogliono, senza colpo ferire.
È per questo che a siglare il protocollo sono stati i segretari confederali anziché quelli di categoria, infischiandosene anche della consultazione preventiva dei lavoratori del settore, come le stesse regole della Cgil prevedrebbero.
A dimostrazione di quanto il tanto declamato carattere democratico del sindacato di Corso Italia, della sua volontà di prendere decisioni solo dopo consultazione della base (in questo caso non sono stati nemmeno sentiti gli organismi dirigenti) sia solo propaganda alla quale credono gli allocchi.
È stata inoltre una azione preventiva, avente anche l’obiettivo di demoralizzare i lavoratori e rendere più difficile una loro futura sollevazione.

 

La resa dei conti è solo rinviata

Sappiamo tuttavia che le tensioni e le contraddizioni di classe sono più forti di qualsiasi alchimia burocratico-sindacale. Se da un lato padroni, governo e sindacati confederali paiono aver vinto la battaglia contro i lavoratori, hanno in realtà solo allontanato nel tempo e resa ancor più dura la inevitabile resa dei conti.
Gli scioperi spontanei del marzo 2020 hanno indicato la strada da seguire, siamo certi che le future mobilitazioni avranno un’ampiezza ancora maggiore e renderanno possibile, finalmente, la riscossa che milioni di proletari attendono da troppo te

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