Cesare Battisti:
la persecuzione della borghesia italiana e lo sciopero della fame
di Giacomo Biancofiore
Ultim'ora: Cesare Battisti trasferito dal carcere di Rossano Calabro a quello di Ferrara
Dal 2 giugno, Cesare Battisti, è in sciopero della fame. Il sessantasettenne ex militante dei Pac (Proletari armati per il comunismo) ha preso questa decisione, nonostante le precarie condizioni di salute, per protestare contro le condizioni di detenzione e isolamento a cui è sottoposto nelle carceri italiane dal gennaio del 2019, quando fu riportato in Italia dopo l’arresto a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia e il conseguente ordine di estradizione dell’allora presidente del Brasile Michel Temer.
Due anni e mezzo di odissea
In questi due anni e mezzo la detenzione di Battisti è stata trasformata in una vera e propria odissea: l’isolamento, che sarebbe dovuto durare sei mesi, a conti fatti, con l’applicazione del regime di alta sorveglianza, si è esteso all’intero periodo, tant’è che il passaggio dal carcere di Oristano (dove, essendo il solo sottoposto al regime di alta sorveglianza, è rimasto isolato fino al settembre 2020) a quello di Rossano Calabro (carcere di massima sicurezza riservato ai detenuti condannati per reati legati al terrorismo) non ha prodotto alcun miglioramento alla condizione di isolamento.
Di qui la richiesta di Battisti di uscire dall’isolamento di fatto in cui viene tenuto, in totale contrasto con le stesse ipocrite regole della legge italiana che prevede, appunto, un massimo di sei mesi di isolamento.
«Ogni pena che non derivi dall’assoluta necessità è tirannica», scriveva nel Settecento il giurista e filosofo Beccaria richiamandosi a Montesquieu: anche dal punto di vista della stessa giustizia borghese, la condotta del Dap (Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria) nei confronti di Cesare Battisti ha assunto un piglio tirannico, considerando che i reati per cui è stato condannato all’ergastolo risalgono a più di cinquant’anni fa, ad un contesto storico, politico e sociale differente rispetto ad oggi e non sussistono condizioni di rischio che giustificherebbero un tale trattamento.
Ed è per questo motivo che Cesare Battisti ha iniziato lo sciopero della fame con cui chiede il rispetto della dignità dei detenuti e il rispetto dei diritti inviolabili e inalienabili degli stessi.
L’odio di classe
Per chi non ha fatto mai alcun affidamento nella magistratura borghese, sia italiana, che brasiliana o francese, è chiaro come la luce del sole negata dal 2019 a Cesare Battisti, che, da decenni, ci troviamo di fronte ad una inconfutabile manifestazione di odio di classe non solo e non tanto per Battisti, ma piuttosto per quello che le lotte operaie e studentesche degli anni Settanta hanno rappresentato nella storia d’Italia.
La borghesia italiana (e non solo!) non contenta di essere riuscita, con la complicità del Pci e delle burocrazie sindacali, ad ingabbiare le proteste di quegli anni nel perimetro del sistema capitalista, non ha mai smesso di cercare caparbiamente la vendetta nei confronti di una stagione di lotte che fece tremare i polsi a tutta la classe dirigente del Paese.
Una pagina di storia importante che con un subdolo inganno hanno sempre cercato di ridurre al feticismo della violenza e della lotta armata da parte di alcuni gruppi (tra cui quello a cui apparteneva lo stesso Battisti).
In occasione dell’arrivo in Italia di Battisti, nel gennaio del 2019, denunciammo la vile «accoglienza» degli allora ministri Salvini (Interno) e Bonafede (Giustizia) che, con la bava alla bocca, esibirono tutto il loro meschino orgoglio nel mostrare la «preda comunista», mostrando plasticamente l’odio, non verso un solo uomo, ma verso tutti i comunisti e di conseguenza verso l’intera classe che rappresentano.
Il contesto storico del «caso Battisti»
Dunque, come abbiamo detto, decontestualizzare la storia di Cesare Battisti da quegli anni che ebbero inizio nel 1968 rappresenta il gioco sporco di quella classe dirigente italiana che ha costruito la propria carriera politica proprio grazie a quel periodo.
Fabiana Stefanoni in un articolo dal titolo L'affaire Battisti: giustizia borghese è fatta. I veri motivi dell’accanimento mediatico e poliziesco (1) spiega perfettamente il contesto in cui Cesare Battisti e altri giovani attivisti politici, a un certo punto, intrapresero la strada del terrorismo, una strada estranea alla tradizione del marxismo: «tra il 1968 e il 1969 le più grandi fabbriche del Paese, con in testa la Fiat, furono letteralmente bloccate da scioperi prolungati, ripetuti fermi della produzione, assemblee e comitati permanenti: erano, di fatto, sotto ostaggio delle lotte operaie. Contemporaneamente, le piazze venivano invase da ondate di protesta che vedevano uniti studenti, operai e disoccupati. In Italia le mobilitazioni di massa e, soprattutto, le lotte operaie proseguirono anche negli anni Settanta: nella primavera del 1973 uno dei più grandi stabilimenti simbolo del Paese, che vantava profitti miliardari, la Fiat di Mirafiori, era occupato dagli operai sotto la direzione di attivisti dell’estrema sinistra (Lotta continua in primis). Per anni il contagio si è esteso a tutte le principali fabbriche del Paese, mettendo in seria difficoltà i profitti dei capitalisti nostrani. È in questo quadro che si diffusero e radicarono organizzazioni di “estrema sinistra” che si richiamavano, spesso confusamente e impropriamente, alla tradizione marxista in contrapposizione al Partito comunista italiano (completamente schiacciato su una linea di collaborazione di classe in ossequio ai dettami dello stalinismo): dalla già citata Lotta continua a Potere operaio, da Avanguardia operaia all’Autonomia operaia fino a Prima linea, ai Pac, ecc. Una volta rifluite le lotte di massa, arrivò il momento di massima espansione delle organizzazioni che utilizzavano metodi terroristici. Pretendendo di sostituire la cospirazione di piccoli gruppi clandestini all’azione delle masse, facevano indirettamente il gioco della borghesia e dello Stato che ne approfittarono per accentuare l'utilizzo dei metodi repressivi da sempre strumento delle polizie di tutto il mondo. Venne tessuta una fitta trama fatta di infiltrati, agenti provocatori, tribunali e leggi speciali, accordi con la mafia, omicidi (e finti suicidi) di attivisti politici, collaborazione con gruppi fascisti… fino alle note stragi non a caso definite (nei tempi in cui esisteva ancora in Italia un giornalismo d’inchiesta degno di questo nome) “stragi di Stato”».
La solidarietà internazionale
Sono quegli anni che la borghesia italiana non riesce a dimenticare, anni con cui prova continuamente a chiudere il conto: il «trattamento» che le galere italiane stanno riservando a Cesare Battisti va a incastonarsi proprio nell’alveo di una vendetta mai placata. Ma non solo. Sarebbe riduttivo pensare che la vendetta di una classe verso un’altra sia limitata a qualche trofeo da esibire: c’è dell’altro e va cercato nella paura, anche questa mai sopita, che quella straordinaria stagione di mobilitazioni operaie e di massa possa tornare. L’eco delle rivolte proveniente dagli altri continenti alimenta contemporaneamente le speranze proletarie e il terrore dei capitalisti europei. E in questi casi la repressione torna sempre utile, che sia verso operai e disoccupati o piuttosto verso un simbolico quasi settantenne malato poco importa.
Nel 2004, quando la Francia concesse l’estradizione e nel 2007 in seguito all’arresto in Brasile, ci furono grandi mobilitazioni, appelli firmati da migliaia di persone e tanti atti di solidarietà. Anche questa volta lo sciopero della fame di Cesare Battisti ha sollevato grande attenzione all’estero, mentre in Italia, tranne qualche protesta sommessa, la cosiddetta «sinistra radicale» ad oggi risulta non pervenuta.
In Brasile la Csp-Conlutas e il Pstu (sezione brasiliana della Lit-Quarta Internazionale) hanno promosso una mozione di solidarietà nell’ambito di una campagna dal titolo «Tutta la solidarietà allo sciopero della fame di Cesare Battisti», che si è concretizzata anche in un presidio davanti al consolato italiano a San Paolo il 14 giugno.
Un gesto di grande importanza che, tra l’altro, pone in risalto le differenze con quella sinistra riformista il cui leader carismatico, nonché ex presidente del Brasile, Lula, nell'agosto 2020 ha chiesto scusa ai familiari delle vittime sostenendo di aver sbagliato nel dare asilo politico a Battisti, scuse estese a tutti gli italiani in un'intervista televisiva nell'aprile del 2021.
Dal canto nostro quelle scuse patetiche le rimandiamo al mittente: continueremo a difendere il diritto alla libertà di Cesare Battisti così come la memoria di quella straordinaria stagione di lotte che auspichiamo possano tornare e che speriamo, stavolta, possa culminare col trionfo della mobilitazione di massa e degli scioperi operai.
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