NON CI SONO LIEBKNECHT NEL
PARLAMENTO ITALIANO
di Francesco Ricci
Mentre scriviamo queste righe i
giornali stanno ancora cercando di capire quale sarà l'atteggiamento di voto dei
parlamentari cosiddetti "ribelli" sul Ddl che finanzia le missioni imperialiste
e sulla mozione di accompagnamento.
Sulla mozione potrebbe esserci una
"non partecipazione al voto" da parte di Cannavò e un'astensione o persino un
voto a favore dei deputati grassiani; mentre sul Decreto tutte le soluzioni sono
ancora possibili, compresa quella -girata in queste ore- di un voto contrario
dei "ribelli" alla Camera (dove il governo ha una maggioranza ampia) e di un
voto differenziato al Senato (dove il governo ha i numeri stretti).
In realtà la soluzione "tecnica" che
verrà trovata è priva di interesse politico. Ciò che conta è che i "ribelli"
delle due aree "critiche" del Prc (area dell'Ernesto, di Grassi; area Erre, di
Cannavò) faranno di tutto per non danneggiare, col loro voto, il
governo Prodi, verificando prima di votare in qualsiasi modo che mantenga una
maggioranza auto-sufficiente (cioè senza i voti del centrodestra). In cuor loro
sperano di rimanere in pochi (e peraltro sono già rientrate le "ribellioni" di
vari senatori Verdi e del Pdci) così da potersi permettere un voto diverso
-contando sul fatto che i senatori a vita garantiranno comunque la
tenuta.
Provando a tradurre in
politica, si può dire che i "ribelli" non vogliono in
alcun modo ostacolare né il governo né la sua politica estera imperialista.
Regoleranno il voto, cioè, perché sia privo di ogni effetto concreto: salvo
quello di garantire loro una visibilità mediatica e l'immagine di oppositori
alla guerra. Una sorta di dixi et salvavi animam mea.
Non si tratta di una nostra
interpretazione malevola. Sono stati Cannavò e Grassi stessi a spiegarlo ieri
in due interviste sui principali giornali.
Sul Corriere della Sera,
Cannavò ricorda che non pretendeva nemmeno "un ritiro immediato delle truppe
dall'Afghanistan", si accontentava della promessa di una futura uscita
dall'Afghanistan; in ogni caso, assicura, "non mi ribellerò sempre, solo
stavolta." Tenendo conto che in autunno si tratterà di votare la Finanziaria, è
sicuramente una dichiarazione rassicurante (per il governo). Ancora più
esplicito Claudio Grassi su La Repubblica. Dopo aver confessato al
giornalista di sognare che un giorno ci possa essere in Italia "un governo
rivoluzionario", ribadisce: "Io non voglio far cadere il governo" e lamenta che
da parte di Prodi non ci sia un minimo di disponibilità alla richiesta minimale
che la sua area avanza: "Cosa chiediamo in fondo? Che nella mozione scrivano che
anche dall'Afghanistan un giorno dovremo venir via. Che siamo dal 2001 a Kabul e
non possiamo starci all'infinito." Come a dire: bastava che ci concedeste
qualche parola vaga... Un giorno... Infine ribadisce che il suo sogno (in
attesa di vedere governi rivoluzionari, la cui genesi è demandata a qualche
evento del futuro) è quello di "vedere Prodi governare per cinque
anni."
Non c'è che dire: se la borghesia ha
avuto una notte insonne, sarà stato più per l'afa e le zanzare che per la
lettura di queste interviste ai temibili "ribelli".
E pensare che più di una volta è
stato fatto il nome di Karl Liebknecht in queste settimane. Ma il rivoluzionario
tedesco nel 1914 non si limitò a votare contro i crediti di guerra: andò poi al
fronte e nelle piazze a sostenere che "il nemico principale è nel proprio
Paese", cioè è il governo borghese del proprio Paese, a cui bisogna che i
comunisti facciano un'opposizione di classe per farlo cadere.
Grassi e Cannavò, invece, prima
cercano espedienti tecnici per non disturbare troppo (emendamenti, assenze, voti
differenziati da un ramo all'altro del parlamento, ecc.); poi promettono in ogni
caso la loro fiducia nel governo che (con i loro voti o senza) prosegue la sua
politica di guerra militare all'estero e di guerra sociale in Italia.
Non meglio di loro si sarebbe
comportato il mancato senatore Marco Ferrando il quale si è premurato di
dire -con nota di suo pugno (dunque non è un'interpretazione giornalistica) sul
Manifesto- che sulla fiducia al governo avrebbe votato contro... solo a
patto che il suo voto "non fosse determinante" viceversa avrebbe valutato "altre
soluzioni, incluse le dimissioni da parlamentare." L'attuale sinistra del Prc,
infine, rappresentata da Falcemartello (v. "Mobilitiamoci per esigere il ritiro
delle truppe", articolo del 3 luglio sul sito del gruppo), propone... "il ritiro
della delegazione del Prc dal governo"; cioè l'appoggio esterno. Considerando
questo, per il momento, "il passo più conflittuale possibile" in quanto il
ritorno all'opposizione del Prc non sarebbe "relazionato alla coscienza delle
masse" (coscienza che evidentemente, secondo Falcemartello, precede il
partito... d'avanguardia).
No, davvero non ci sono Karl
Liebknecht nel parlamento italiano. E neppure nei dintorni. L'opposizione vera
alla guerra ricade sulle spalle delle migliaia di militanti che si sono
mobilitati in questi anni e che continuano a farlo in queste settimane. Progetto
Comunista fornirà la sua forza -piccola ma tenace- a questa
battaglia.