Il fuoco dei ribelli non brucia più
Sarebbe interessante (e appagante) raccogliere anche solo una parte di quei centomila articoli con cui per due anni ci hanno perseguitato. Quelli sulla nonviolenza. E poi, come in un vecchio film di Moretti in cui un incomprensibile critico cinematografico era obbligato a leggere ad alta voce le sciocchezze contenute nei suoi articoli, costringere gli autori a rileggerli ad alta voce, alternandoli però - qui sta il divertimento - agli articoli che scrivono oggi sul Libano.
Per due lunghissimi anni la stampa di sinistra (non solo Liberazione, ma anche il manifesto e qualsiasi rivista noglobal) ci ha propinato la nonviolenza cucinata in trecentosessantacinque modi diversi, come i portoghesi il bachalau. Non c'era argomento che non conducesse inevitabilmente lì, non c'era pietanza che non ne contenesse un pezzetto almeno. Ci hanno spiegato con dovizia di particolari che la nonviolenza va intesa come valore assoluto, non come un mezzo ma come un fine (qualsiasi cosa ciò possa voler dire, se qualcosa vuole dire).
Provate a confrontare gli articoli di Rina Gagliardi sulla nonviolenza e a farglieli leggere, in alternanza, con gli editoriali con cui adesso ci spiega che la missione armata (armatissima) in Libano non solo è da condividere ma è financo "un dovere morale", qualcosa di cui bisogna ringraziare Massimo D'Alema (di cui, in coro con la Rossanda (1), tesse le lodi). Adesso non solo l'uso della violenza è possibile ma a chi si oppone si riservano violenti sguardi di disapprovazione. Certo, va riconosciuto, una differenza c'è: la violenza di cui si parla ora è quella degli eserciti imperialisti... e come la tradizione vuole, ogni buon riformista sa sempre distinguere tra la violenza degli oppressi e quella degli oppressori (schierandosi infallibilmente dalla parte di questi ultimi).
Sull'invio di militari italiani in Libano (per disarmare Hezbollah e difendere Israele contro i palestinesi) la più consistente minoranza del Prc, Essere Comunisti-l'Ernesto, tace. Sul sito internet dei "grassiani" non si trova quasi nulla sull'argomento. Leonardo Masella, uno dei principali dirigenti dell'area, ci ha comunque informato (2) in primo luogo che "innegabilmente la vicenda è molto diversa dall'Irak e dall'Afghanistan" (ah sì, è perché?) e che Rifondazione "ha fatto bene a votare a favore della 'buona intenzione' proposta dal governo". Dove sta il problema e quindi la critica che forniscono, come sempre, i dirigenti di questa "area critica" del Prc? Bisogna, continua Masella, "fare molta attenzione anche ai dettagli" della missione. Intanto ci vuole una "mozione d'indirizzo" che assicuri che la missione vuole "assicurare una pace forte e duratura nell'intero Medio Oriente", sottolineando "una concezione di discontinuità" con il governo precedente; poi "servono garanzie granitiche che la missione non cambi natura nel tempo e non scivoli successivamente dall'Onu alla Nato"; quindi bisogna che gli eserciti partecipanti configurino una presenza "finalmente multilaterale", includendo la Russia e la Cina; infine bisogna definire con precisione "le regole di ingaggio", assicurando che la missione sia "di peace keeping e non di peace forcing".
In buona sostanza, è necessario che l'imperialismo fornisca nero su bianco, su un pezzo di carta, alcune garanzie di voler andare in Medio Oriente - che casualmente è la zona cruciale, per petrolio e gas naturali, da cui si governa il mondo - solo per comportarsi come un lupetto dei boy scout. A queste condizioni - "condizioni granitiche" - le truppe imperialiste possono occupare il Libano, con il beneplacito di Masella e Grassi.
In un chiarissimo articolo (3) di fine agosto, Salvatore Cannavò elenca alcune "riserve" (sic) sulla decisione del governo che ritiene "frettolosa". Prima di tutto si dice soddisfatto che (si presume come prodotto della sua spietata "critica") finalmente non si usi "lo schema utilizzato per l'Afghanistan fondato sull'intervento Nato"; poi sottolinea come "fatto importante" che "l'Italia è protagonista di una pacificazione e di un rapporto positivo con il mondo arabo-musulmano". Ciò detto, qualche critica deve tuttavia avanzarla. Intanto sarebbe stato meglio che l'Onu approvasse "una risoluzione molto più chiara e definitiva della 1701" che effettivamente -la cosa non sfugge a un osservatore acuto come Cannavò - "non fa i conti con il massacro di civili perpetrato da Israele" e prelude al disarmo di Hezbollah.
Da cosa derivano queste preoccupazione di Cannavò? Dal fatto che il governo che la sua area sostiene stia inviando truppe - con il paravento Onu - per tutelare gli interessi dell'imperialismo italiano ai danni dei Paesi dipendenti dell'area? No. Cannavò è preoccupato che "le ambiguità dell'Onu (...) sono rischiose per la sicurezza dei nostri soldati" (il corsivo è l'unica cosa nostra in questa frase) e c'è la possibilità che tutto ciò porti a una "nuova delegittimazione dell'Onu" e magari metta "l'Italia e l'Europa in mezzo tra due fuochi".
Che fare, allora? Secondo Cannavò (e vogliamo credere che Prodi e i generali italiani terranno in debito conto questi suggerimenti) bisogna fare una "doverosa precisazione delle condizioni politiche di base". Bisogna che l'Italia si faccia "promotrice di una vera Conferenza di pace, con tutte le parti interessate (sic), in grado di trovare un accordo complessivo per poi stabilire una presenza internazionale a garanzia di quell'accordo", cioè una "pura interposizione pacifica tra due contendenti in armi".
Ecco qua il punto vero della questione che a noi era finora sfuggito. Non la presenza di una colonia dell'imperialismo (Israele) che si è costruita e vive sulla espulsione dei palestinesi dalla loro terra: ma "due contendenti in armi" che un arbitro neutrale (l'imperialismo italiano ed europeo) deve dividere perché la smettano insensatamente di litigare. Come fare tutto ciò? Cannavò avanza una proposta simile a quella di Masella: bisogna sviluppare una discussione in parlamento e approntare "un documento politico ad hoc che faccia la dovuta chiarezza (...) sulla prospettiva in cui l'Italia decide di collocarsi." Una prospettiva che Cannavò - ne prenda nota chi di dovere - pretende di vedere con chiarezza.
C'è da sperare che i sostenitori onesti di queste cosiddette "aree critiche" si rendano conto della deriva a cui li condannano i vari Grassi e Cannavò che, non capendo la lingua in cui è scritto il mondo capitalista, costringono diverse centinaia di militanti, per rubare le parole a Galileo, "ad aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto." (4)
(2) L. Masella, "Libano, le condizioni per non essere trascinati in una vera e propria guerra" su Liberazione, 23 agosto 2006.
(3) "I tanti punti controversi della missione Onu in Libano" di S. Cannavò, su Liberazione del 24 agosto 2006.
(4) Galileo (ne Il Saggiatore, 1623) scrive del libro della natura "che ci sta aperto innanzi agli occhi" e che "non si può intendere se prima non si impara a intender la lingua e conoscere i caratteri ne i quali è scritto": il riferimento, nel suo caso, è alla matematica.