La rinascita del fascismo
in Italia e in Europa
di Salvatore De Lorenzo
La coscienza di classe non si acquisisce all'atto di nascita o la si porta impressa sul proprio documento di identità. È un processo di acquisizione che può maturare a partire dall'analisi delle proprie condizioni sociali e rafforzarsi nelle fasi di lotta contro le altre classi sociali, quando le necessità materiali di sovvertire quei rapporti di forza o, solo, la necessità di porre un argine all'aggressione delle altre classi, diventa la piattaforma comune di diversi elementi della stessa classe. Nel corso della loro vita, dunque, gli operai e, più in generale, i lavoratori si trovano spesso nelle condizioni di doversi organizzare collettivamente anche solo per poter porre argine ad aggressioni alle loro condizioni di vita e di salario da parte della classe dominante, la borghesia, quella classe che detiene il controllo dei mezzi di produzione. Se queste esperienze divengono parte di un processo collettivo più ampio che pone in crisi i rapporti di produzione esistenti, cioè se esiste un organizzatore collettivo delle lotte, il partito, che indica alla classe lavoratrice la necessità della presa del potere e la dirige in questo processo, è possibile che quel processo di maturazione della coscienza conduca la classe lavoratrice allo scontro con le altre classi sociali e inneschi un processo rivoluzionario.
È tuttavia necessario, per un compito così arduo, che il partito sia prima di tutto credibile agli occhi della classe, cioè che non agiti verbosamente propositi rivoluzionari o fosse pure un programma minimo se poi, nelle retrovie o negli ambiti parlamentari, quello stesso partito svende quel programma. Se ciò accade, come purtroppo è accaduto diverse volte nella storia italiana, quella classe può perdere fiducia, dividersi al suo interno, cedere alla rassegnazione, ritenere utopistica la presa del potere, ritirarsi e quindi perdere la sua coscienza. E questi processi di riflusso spesso possono durare interi decenni, fino a quando una nuova generazione di rivoluzionari non rinasca dalle fila della classe e riproponga nuovamente il problema della presa del potere. In Italia l'ultima grande stagione rivoluzionaria, peraltro estremamente contraddittoria nelle sue direzioni politiche, si è sviluppata tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta e, da allora, nessun significativo processo di massa, in grado di rappresentare le istanze di cambiamento radicale dei rapporti di produzione, si è verificato.
Di ben altra consistenza furono invece i moti rivoluzionari che animarono l'Italia dopo la Prima guerra mondiale. E quando il Partito socialista italiano di Turati e la C.g.d.l. (Conferenza generale del lavoro) tradirono la classe operaia alla fine del biennio rosso (1919-20), impedendo che quel processo rivoluzionario in corso in tutte le principali fabbriche del Nord e nelle campagne meridionali si trasformasse nella presa del potere da parte della classe operaia, Trotsky sviluppò importanti riflessioni su quelle vicende, ponendo in evidenza le contraddizioni presenti all'interno dello stesso Psi che, da un lato, aveva preparato verbalmente, attraverso la propaganda, le condizioni per quell'esperienza rivoluzionaria ma che, all'atto di dirigere il proletariato verso la presa del potere, si era tirato indietro. Affermerà Trotsky nel 1921: «Se si giudica il partito politicamente, bisogna supporre -perché è la sola spiegazione che se ne possa dare- che il Partito socialista italiano, falsando la sua politica verbalmente rivoluzionaria, non ha mai tenuto conto delle conseguenze che tale politica poteva avere. Perché tutti sanno che l'organizzazione che fu la più spaventata e la più paralizzata dagli avvenimenti del settembre non era altra che il Partito socialista che li aveva preparati. Ed ecco, tali fatti ci provano che l'organizzazione italiana era cattiva, perché il Partito non è soltanto una corrente d'idee, uno scopo, un programma, è anche una macchina, un'organizzazione che crea con la sua opera costante le garanzie della vittoria. Il mese di settembre è stato il teatro di una grande crisi per il proletariato e per il Partito socialista italiano. Quali sono le conseguenze che il proletariato italiano ha tratto da questi avvenimenti? È molto difficile rendersene conto adesso, dato che la coscienza di una classe, quando tale classe rompe col suo partito, è subito disorientata».(1)
E quel disorientamento consentì ai fascisti guidati da Mussolini di prendere il potere in Italia e massacrare gli operai.
E un altro aspetto, di straordinaria attualità nelle vicende italiane, è la replica che Trotsky fornì a Turati sulla maturità del proletariato. Ed è straordinariamente attuale poiché ogni giorno chi fa attività di militanza in un'organizzazione rivoluzionaria si sente dire, dai riformisti di «sinistra» alla Turati, ossia da coloro che in questi anni hanno lavorato coscientemente alla divisione e alla sconfitta del proletariato, che, in fondo, non ci sono le condizioni per una rivoluzione perché il proletariato non sarebbe maturo. Bene, Trotsky, con la sua indiscutibile nettezza, smontò le tesi di Turati sull'immaturità del proletariato italiano, inchiodandolo alle sue responsabilità:
«Turati ha detto: "Nel mese di settembre, il proletariato non era maturo". Non era maturo, ma avete forse spiegato al proletariato perché il partito non lo era? Avete forse detto al proletariato: "Si, Turati ha ragione in questo senso, che voi, operai italiani, non eravate abbastanza maturi per purificare il vostro partito, prima di lanciarvi in un'azione decisiva, dagli elementi che paralizzano l'azione. Turati ha ragione in questo senso, che, dato che il proletariato italiano non lo aveva respinto dal suo seno, dimostrava con ciò che non era abbastanza maturo in settembre per un'azione decisiva". Qual è dunque la situazione attuale del proletariato italiano? Esso è diventato, ne sono certo, molto più prudente, dato che il partito nel quale aveva la più intera fiducia l'ha ingannato senza saperlo. Il compagno Lazzari è incline a comprendere delle espressioni simili; moralmente e individualmente il compagno Lazzari dice: "Ma se ci accusano di tradimento, che abbiamo ricevuto per il nostro tradimento?". Ora, non si tratta di un tradimento individuale e interessato: si tratta del fallimento di un partito, ciò che politicamente altro non è che il tradimento degli interessi del proletariato».(2)
La situazione attuale e l'asservimento dei partiti riformisti e delle organizzazioni sindacali al padronato
Il primo ostacolo che si frappone oggi allo sviluppo della coscienza di classe è l'asservimento delle organizzazioni dei lavoratori alle politiche della borghesia.
È ben chiaro che nella fase attuale siamo lontani da quella presa di coscienza che contraddistinse la classe operaia all'epoca del biennio rosso. E la ragione per cui ciò accade, a differenza di quanto vanno sostenendo i detrattori appartenenti alle organizzazioni riformiste, non è nella scomparsa della coscienza di classe dei lavoratori. La ragione principale per cui, ad oggi, è estremamente difficile ricreare le condizioni di una svolta rivoluzionaria in Italia, è che tutti i frammenti di coscienza di classe, che puntualmente emergono dalle infinite e sparpagliate lotte e vertenze che si sviluppano sul territorio italiano, vengono puntualmente traditi dalle direzioni sindacali e politiche in cui quei lavoratori si riconoscono o si riconoscevano.
Senza andare troppo indietro nel tempo, come pure forse sarebbe necessario, è sufficiente analizzare il comportamento dei principali sindacati italiani confederali e, purtroppo, non solo confederali, nell'ultimo quinquennio di governo. A fronte della più selvaggia aggressione ai diritti dei lavoratori da parte del governo Renzi, culminata con l'abolizione dell'articolo 18 e l'introduzione del jobs act, ossia la definitiva sostanziale abolizione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, la Cgil non ha messo in campo alcuna reazione significativa. A fronte cioè di aggressioni che hanno colpito al cuore i diritti conquistati dai lavoratori con le lotte e con il sangue negli autunni caldi degli anni Sessanta, nemmeno un sussulto di dignità si è levato dai «compagni» della Cgil.
E come se ciò non bastasse, la successiva aggressione del governo Renzi ai diritti e alla dignità del mondo della scuola, culminato con il cosiddetto decreto «buona scuola», che pure aveva creato una veemente reazione da parte degli insegnanti, costringendo la Cgil ad indire uno sciopero dei docenti, è stato sapientemente smorzato dalla successiva contrattazione e capitolazione dei burocrati confederali. E quei docenti che pure avrebbero potuto acquisire e, in parte, hanno acquisito, nei tanti comitati di lotta che si erano sviluppati nel corso di quell'esperienza, una flebile coscienza di classe, si sono visti traditi dagli accordi dei loro dirigenti sindacali con il mondo del padronato. Quella legge è passata e il movimento è rifluito.
Se questa evidente capitolazione delle burocrazie sindacali agli interessi del padronato si verifica un po' dappertutto in Europa, è però vero che in Italia essa ha assunto toni farseschi. È sufficiente confrontare la reazione, non pervenuta, al jobs act, messa in campo dalla Cgil con le importanti lotte contro l'equivalente loi travail, condotte dalla Cgt e che hanno paralizzato la Francia. Le stesse regole della contrattazione, firmate dai sindacati reazionari, confederali ma non solo, riducono fino ad azzerare lo spazio di democrazia delle poche sigle sindacali combattive ancora esistenti e prefigurano una pesante limitazione al diritto di sciopero.
A questi enormi ostacoli nel processo di ricomposizione di una identità di classe si aggiungono le irresponsabilità delle dirigenze dei sindacati di base, alcuni dei quali ormai passati su posizioni apertamente reazionarie. Per un'analisi più completa delle responsabilità dei sindacati, confederali e non solo, si suggerisce la lettura della recente intervista a Fabiana Stefanoni.(3)
Alcune considerazioni sulla situazione attuale: la competizione tra lavoratori
Un ulteriore ostacolo che si frappone allo sviluppo della coscienza di classe è rappresentato dal sapiente lavorio delle classi dominanti che utilizzano la potenza dei mezzi a loro disposizione per operare divisioni tra i lavoratori e alimentare gli opportunismi che inevitabilmente si sviluppano nel loro seno.
Attraverso gli strumenti legislativi e il controllo dei mezzi di informazione, la borghesia martella costantemente la coscienza dei lavoratori, tanto che non è infrequente ascoltare dei lavoratori affermare che le colpe del crollo di questo sistema sarebbero da attribuire ai lavoratori stessi. Ciò è peraltro sempre accaduto nella storia del capitalismo e Marx ed Engels sintetizzarono sapientemente ne “L'ideologia tedesca” queste osservazioni, affermando che «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti».(4)
Le norme recentemente introdotte, sia nel mondo dell'impresa che nel pubblico impiego, hanno alimentato ulteriormente la competizione tra lavoratori. L'introduzione degli strumenti di valutazione degli insegnanti(5) o della produttività nel mondo delle imprese(6) hanno avuto in effetti una duplice funzionalità: da un lato, aumentare il livello di sfruttamento dei lavoratori a parità di salario o addirittura riducendo il salario; dall'altro, innescare una competizione tra i lavoratori finalizzata a raggiungere irrisorie premialità, creando frustrazione e rabbia in chi perde o si rifiuta di partecipare a tale competizione. Il risultato è una guerriglia fratricida tra lavoratori invece che la loro unione per contrastare l'avversario.
Ed è sempre con lo stesso fine che la borghesia favorisce, sino a rendere oggettivamente insopportabile, l'accanimento mediatico contro gli immigrati, che il sistema dei pennivendoli italiani dipinge, agli occhi di un proletariato sempre più atterrito e in avanzata fase di sotto-proletarizzazione, come il suo avversario nella conquista del posto di lavoro o di un tetto sotto cui vivere. I proletari italiani vengono aizzati costantemente contro gli immigrati, in una gara, tra tutte le principali organizzazioni politiche della borghesia, a chi è più razzista. Succede così che a fare da contraltare a Salvini che afferma «prima la casa agli italiani» è il suo omo-cefalo PD Nardella, sindaco di Firenze, che lo scavalca a destra affermando: «Ho fatto più sgomberi in due anni e mezzo, di quanti ne abbia richiesti Salvini nelle sue campagne elettorali degli ultimi due anni».(7) Dimenticando, «casualmente», che in questo Paese, a fronte di circa centomila procedure di sfratto ogni anno per morosità, causate dalla sotto-proletarizzazione di fasce sempre più consistenti di popolazione, esistono circa 7 milioni di case vuote(8), di cui gran parte di proprietà del clero e di quelle imprese immobiliari che hanno prosperato prima della crisi del mattone e che ora non riescono a vendere agli elevati prezzi che gli immobili avevano nel mercato prima della crisi del 2007.
La ripresa del fascismo in Italia e in Europa
Questa panoramica sullo stato attuale della classe lavoratrice è premessa necessaria per tentare di comprendere le ragioni per le quali vi è una chiara ripresa, in Europa e in Italia, di organizzazioni dichiaratamente fasciste. Una classe lavoratrice senza coscienza, divisa al suo interno, senza una organizzazione di riferimento in grado di difenderne gli interessi, ma al contrario tradita costantemente dalle organizzazioni di cui si fidava, e per giunta, in una fase in cui una sostanziale parte di essa sprofonda sempre più verso situazioni di disagio e povertà, è terreno fertile per lo sviluppo di forze reazionarie.
Secondo i dati Istat, nel 2017 un italiano su tre e 4 famiglie su 10 sono a rischio di povertà(9); 1,6 milioni di famiglie a cui corrispondono 4 milioni e 742.000 sono già indigenti.(10) Questi dati sono indicativi della avanzata fase di sotto-proletarizzazione della società italiana. Importanti parti di questa classe, disseminate nelle periferie degradate delle città italiane, sono facile preda delle ideologie reazionarie dei Fiore, dei Di Stefano e dei Salvini. Il sotto-proletariato è, storicamente, una classe nella quale le forze fasciste penetrano con facilità, soffiando demagogicamente sul fuoco del disagio sociale. Le immagini passate per tutte le televisioni e i report giornalistici dei recenti fatti di Ostia hanno mostrato la chiara correlazione tra criminalità e organizzazioni fasciste.(11) La tecnica utilizzata dalle organizzazioni dichiaratamente fasciste è quella di utilizzare gli enormi finanziamenti provenienti dal capitale finanziario europeo, che sovvenziona con svariate centinaia di migliaia di euro i dirigenti di questa teppaglia fascista(12), per costruire la sua base militante nei quartieri degradati della periferia italiana, dove svolge un ruolo di assistenza sociale, portando viveri alle famiglie disagiate e costruendo dei luoghi di ritrovo (circoli, bar, palestre), in cui sottoproletari e anche proletari, in difficoltà economiche sempre maggiori, vengono indottrinati al culto della nazione, alla superiorità della razza e all'odio per gli immigrati.
La ripresa delle forze fasciste è un fenomeno che però investe tutta l'Europa e che deriva la sua rinnovata vitalità dagli effetti dell'aggressione capitalistica alle classi subalterne e ai ceti medi, in una fase di sostanziale assenza di una internazionale comunista che sia in grado di sviluppare una influenza di massa sulla classe operaia e quindi dirigerla nell'attuale fase di scontro con il capitalismo europeo.
La ripresa di egemonia del fascismo in Europa si innesta sullo sfondo della degenerazione e del fallimento di quell'organizzazione internazionale, il Segretariato unificato, che in Europa costituiva la corrente di maggior peso delle organizzazioni che facevano inizialmente riferimento al programma della Quarta Internazionale, e che è drammaticamente capitolata a tutte le organizzazioni riformiste, da Podemos in Spagna a Syriza in Grecia(13), sino al recente ultimo esperimento della sua sezione italiana con la «sinistra» chavista, riformista e stalinista di Potere al popolo in Italia.
Pertanto, il quadro in cui le organizzazioni fasciste riprendono consenso in tutta Europa è profondamente diverso da quello in cui esse si svilupparono nei primi anni Venti del secolo scorso, nel quale le organizzazioni comuniste rivoluzionarie di tutta Europa, che avevano peraltro una importante influenza di massa, erano confluite nella Terza Internazionale leninista, poi drammaticamente degenerata sotto il peso dello stalinismo. Sia il fascismo che il nazionalsocialismo si impiantarono nel cuore dell'Europa come reazione della piccola borghesia, di cui i fascismi si fecero i portatori di interessi, alle rivoluzioni fallite in Italia e in Germania. Ad oggi, in Europa, al contrario, nessuna fase rivoluzionaria è ancora emersa.
Esiste tuttavia un fattore comune tra la situazione attuale e quella del ventennio fascista, rappresentato dalla grande crisi economica che incalzava l'Europa allora e la colpisce oggi. Pur nella differenza delle dinamiche tra la crisi economica degli anni Venti in Europa e quella attuale, entrambe hanno avuto l'effetto di spostare su posizioni progressivamente più reazionarie i ceti medi e piccolo-borghesi. Ne è una dimostrazione lampante, per dire dei casi più eclatanti, il successo di formazioni come il M5s e la Lega in Italia, il Front national in Francia, l'Afd in Germania, l'Fpoe in Austria, tutte su posizioni apparentemente euroscettiche. Queste formazioni capitalizzano, tra l'altro, le paure di impoverimento della piccola borghesia europea nel suo scontro, ovviamente perdente, con il grande capitale finanziario europeo.
Oggi la crisi economica è probabilmente persino più drammatica di quella del 1929, avendo il capitalismo sviluppato al massimo grado i mezzi di produzione, essendosi esteso in importanti aree del pianeta come la Cina e il continente asiatico ed avendo quindi esso stesso difficoltà strutturali a crescere oltre. La crisi è ovviamente accelerata dall'imponente sviluppo tecnologico che richiede un sempre minor impiego di forza lavoro per produrre le merci. In Europa assume contorni drammatici, poiché gran parte della produzione industriale è stata demandata a quelle nuove potenze capitaliste che solo venti anni fa erano considerate emergenti e dove, ancora oggi, i costi di produzione delle merci si mantengono più bassi. Quella legge dello sviluppo ineguale e combinato scoperta da Lev Trotsky e da lui descritta nella “Storia della Rivoluzione Russa”(14) si è rivelata in tutta la sua potenza a scala mondiale negli ultimi decenni.
Tutte le organizzazioni tradizionali della borghesia, non avendo altre ricette da mettere in campo per mitigare gli effetti della crisi economica, tentano, strumentalmente, di indirizzare il malcontento delle classi che vanno impoverendosi contro i lavoratori e gli immigrati. Le campagne mediatiche, finalizzate a giustificare i tagli alla spesa pubblica per la riduzione del debito pubblico o quelle finalizzate a promuovere la divisione dei lavoratori tramite il mantra della meritocrazia, sino alle politiche messe in atto contro gli immigrati, servono però solo a negare la realtà della crisi mortale del sistema capitalistico. Le conseguenti politiche messe in campo dai governi borghesi segnano nel contempo una profonda svolta a destra, in Italia e in tutta Europa. Uno degli episodi probabilmente più eclatanti è rappresentato dal patto siglato con la Libia dal governo italiano, grazie all'opera del ministro degli interni ed ex «comunista» Minniti, per la creazione dei lager dove detenere i migranti, evitando che possano così giungere sulle coste italiane. Le conseguenti atrocità che si verificano nelle «terrificanti prigioni»(15) in cui Tripoli rinchiude i migranti per conto di Roma sono state denunciate persino dall'Onu , conducendo l'alto commissario delle Nazioni Unite, Zeid Raad Al Hussein, a dichiarare: «Non possiamo rimanere in silenzio di fronte a episodi di schiavitù moderna, uccisioni, stupri e altre forme di violenza sessuale pur di gestire il fenomeno migratorio e pur di evitare che persone disperate e traumatizzate raggiungano le coste dell’Europa».(16) Va da sé che, in tema di migrazione, le proposte delle altre forze politiche reazionarie o fasciste, da Salvini a Berlusconi, da Grillo a Di Stefano, sono esattamente sulla stessa lunghezza d'onda, se non peggiori, di quella realizzata dal «democratico» Minniti.
Il paradosso piccolo borghese
Nel ventennio fascista l'abilità politica di Mussolini e di Hitler fu quella di divenire il punto di riferimento politico europeo delle classi medie e piccolo-borghesi. E, una volta divenuti il riferimento per queste classi, tradirle in nome degli interessi del vero comandante, il grande capitale monopolistico.
Nei periodi di crisi economica la pressione del grande capitale monopolistico tende a schiacciare gli interessi della piccola borghesia, dei piccoli commercianti, degli artigiani, delle piccole imprese agricole e a concentrare nella grande impresa capitali, produzione e distribuzione di merci. La competizione tra piccoli e grandi capitali, che è tollerabile per la piccola-borghesia nelle fasi espansive di economia, consentendole di ritagliarsi un ruolo e prosperare in tempi di pace, emerge però chiaramente nelle fasi di crisi, dove la possibilità della grande borghesia di esercitare un ruolo di monopolio viene spinta alla massima potenza. È, in fondo, quello a cui abbiamo assistito in Italia in questi ultimi dieci anni, con la chiusura di migliaia e migliaia di piccoli negozi, con lo sviluppo esponenziale della grande concentrazione di merci (si pensi ad Amazon) a spese delle piccole botteghe e con lo sviluppo esponenziale della logistica, che consente la grande distribuzione e in tempi brevissimi delle merci ordinate mediante internet. Lo abbiamo visto con la progressiva chiusura dei piccoli negozi di alimentari o di elettronica, progressivamente sostituiti dai grandi ipermercati. Lo sviluppo della tecnologia e la concentrazione dei capitali consente al grande capitale di fornire merci a prezzi impensabili per i piccoli artigiani, per le piccole imprese agricole e così via. Nelle fasi di crisi dell'economia diviene cioè finalmente chiaro che la piccola borghesia non costituisce una delle due classi fondamentali del processo di produzione capitalistico, costituite dalla borghesia e dalla classe operaia. Tuttavia la piccola borghesia, detenendo capitali e ricchezze accumulate nei precedenti periodi di prosperità, teme come la peste bubbonica l'avvento del socialismo. Da un lato è schiacciata dal grande capitale monopolistico, che la impoverisce. Dall'altro odia le organizzazioni socialiste della classe operaia, che la priverebbero dei capitali e delle ricchezze accumulate. Ha dunque bisogno di una organizzazione politica che tuteli i suoi interessi, costruendo mitologie nazionalistiche finalizzate a costituire la sovrastruttura ideologica di copertura degli interessi nazionali, cioè piccolo-borghesi. Queste osservazioni e molte altre si trovano nello splendido articolo di Trotsky dal titolo “Che cos'è il nazionalsocialismo” in cui l'autore, tra l'altro, afferma: «Il fascismo tedesco, come il fascismo italiano, è giunto al potere appoggiandosi sulla piccola borghesia, che ha trasformato in ariete contro le organizzazioni della classe operaia e contro le organizzazioni della piccola democrazia. Ma il fascismo al potere è tutt’altro che un governo della piccola borghesia. Al contrario, è la dittatura più spietata del capitale monopolistico. Mussolini ha ragione: le classi medie sono incapaci di una politica indipendente. Nei periodi di grande crisi, sono chiamate a spingere all’assurdo la politica dell’una o dell’altra delle due classi fondamentali. Il fascismo è riuscito a porle al servizio del capitale. Parole d’ordine come la nazionalizzazione dei trust e la liquidazione degli illeciti profitti sono state improvvisamente gettate a mare sin dal momento dell’arrivo al potere […]. Un programma era necessario ai nazisti per arrivare al potere, ma il potere non serve affatto a Hitler per realizzare questo programma. L’obiettivo gli è fissato dal capitale monopolistico».(17)
È evidente, in particolare dall'analisi delle proposte che emergono dalla campagna elettorale in corso, che tutta la partita tra le forze reazionarie o dichiaratamente fasciste, ossia M5s, forze berlusconiane e Casapound è finalizzata alla conquista del consenso della piccola borghesia. E questa partita, che si gioca oggi sul territorio italiano, è stata giocata, e solo per ora perduta, in Francia da Marine Le Pen e in Germania dall'Afd. Le grida contro la perdita di sovranità, contro il potere della Bce e dell'Ue che si levano da queste forze politiche sono le grida del piccolo commerciante spazzato via dallo sviluppo esponenziale degli ipermercati, sono le grida delle piccole imprese agricole sottomesse dai grandi monopolisti dell'agricoltura.
Se pur con connotazioni diverse dalla crisi del 29, la crisi attuale ripropone il mostro della mitologia nazionalista, della superiorità della razza, dell'irrazionalismo più bieco della piccola borghesia nel non cogliere la necessità storica dell'avvento del socialismo internazionale, come sistema più razionale per l'intera umanità di produrre, in abbondanza, quei beni materiali di cui l'umanità intera necessita. E il disprezzo che Trotsky esprimeva per l'irrazionalismo di quella classe risuona come un monito per i futuri, probabilmente ancor più drammatici, avvenimenti europei: «I nazisti maledicono il materialismo, perché le vittorie della tecnica sulla natura significano la vittoria del grande capitale sul piccolo. I capi del movimento liquidano il razionalismo – perché essi non possiedono che intelletti di secondo o di terz’ordine, ma prima di tutto perché il loro ruolo storico non ammette che un pensiero sia elaborato sino in fondo. La piccola borghesia ha bisogno di un’istanza superiore al di sopra della natura e della storia, al riparo dalla concorrenza, dall’inflazione, dalla crisi e dalla vendita all’asta. Alla evoluzione, alla concezione materialistica, al razionalismo – al XX, al XIX e al XVIII secolo – viene contrapposto l’idealismo nazionale come fonte di ispirazione eroica. La nazione di Hitler è l’ombra mitologica della piccola borghesia stessa, delirio patetico che le mostra il regno millenario sulla terra».(17)
Antifascismo senza anticapitalismo
Storicamente, i movimenti fascisti, in Italia e in Germania, capitalizzarono lo scontento della piccola borghesia per annientare le organizzazioni proletarie che avrebbero potuto estendere in Europa la Rivoluzione russa del 1917. Sotto il dominio di Hitler e Mussolini i detentori dei grandi capitali e della grande produzione, scampato il pericolo della rivoluzione in Europa, poterono prosperare e incrementare a dismisura i loro profitti.
Il fascismo, che aveva usufruito dei finanziamenti del capitale europeo per prendere il potere, rappresentò dunque la reazione più feroce ed efferata del grande capitale alla necessità storica di una rivoluzione sociale in Europa, che avrebbe potuto annullare, una volta per tutte, quel sistema di produzione irrazionale le cui leve sono tuttora detenute da una piccola minoranza di parassiti.
È questa la ragione fondamentale per la quale non ha alcun senso, come pure spesso si vede nelle manifestazioni antifasciste dei giorni nostri, combattere il fascismo senza combattere il capitalismo, essendo il fascismo il rimedio estremo cui ricorre il capitalismo, nelle fasi in cui le democrazie liberali e le corrotte socialdemocrazie europee diventano incapaci di imporre alle grandi masse le regole necessarie alla crescita dei suoi profitti.
È tuttavia necessario, in una fase in cui la ripresa di egemonia nei quartieri degradati della periferia europea delle forze fasciste e le loro tetre manifestazioni, come quella verificatasi poche settimane fa ad Acca Larentia(18), riportano alla mente gli incubi del passato, che si lavori alla creazione di un fronte unico antifascista e anticapitalista contro questa teppaglia. È in questa direzione che procede il lavoro del Fronte di lotta no austerity (Flna), un fronte di lotta che raccoglie le avanguardie sindacali più combattive del movimento operaio indipendentemente dalla loro appartenenza a questa o a quell'altra sigla, cercando in tal modo di riaggregare la classe su una piattaforma di lotta per il cambiamento radicale dello stato di cose presente.(19)
Lo sviluppo di reti sindacali internazionali, cui Flna aderisce, è la risposta internazionalista della classe operaia alle mitologie della nazione, della superiorità della razza, dei dazi doganali, dell'odio per gli immigrati e di tutte le infinite altre idiozie messe in campo dalla piccola e dalla grande borghesia, dalle loro organizzazioni politiche e dalle burocrazie sindacali per distruggere l'unica strada progressiva che può percorrere l'umanità: quella del socialismo internazionale.
Note
1: L.Trotsky, Scritti sull'Italia, 1921-1938, introduzione a cura di A.Marazzi, Massari editore, 1990, p. 29.
2: L.Trotsky, Scritti sull'Italia, 1931-1938, introduzione a cura di A.Marazzi, Massari editore, 1990, p. 33.
3: https://www.alternativacomunista.it/content/view/2481/1/
4: https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1846/ideologia/capitolo_II.html
5: http://temi.repubblica.it/micromega-online/e-cosi-necessario-premiare-il-merito-dei-docenti/
7: http://www.lanazione.it/firenze/cronaca/nardella-troppi-immigrati-1.2937688
9: http://www.corriere.it/cronache/17_dicembre_06/istat-famiglie-soglia-poverta-sotto-30mila-euro-2002fc1c-da79-11e7-97c8-2b2709c9cc49.shtml
10: http://www.lastampa.it/2017/07/13/economia/istat-in-italia-cinque-milioni-di-poveri-assoluti-91VgWiz92Drujks34ww2EM/pagina.html
11: https://www.internazionale.it/reportage/2017/11/16/ostia-casapound-violenze
13: https://www.alternativacomunista.it/content/view/2105/47/
14: L.Trotsky, Storia della Rivoluzione Russa, 1932, Sugar Editore, 1967, pp. 40-41.
17: https://www.marxismo.net/index.php/autori/lev-trotskij/114-che-cos-e-il-nazionalsocialismo-2
18: https://video.espresso.repubblica.it/attualita/roma-strage-di-acca-larentia-saluti-romani-alla-commemorazione-di-casapound/11412/11510?ref=vd-auto&cnt=3
19: http://www.frontedilottanoausterity.org/index.php?mod=03_DOMANDE_FREQUENTI