Il nucleare iraniano casus belli per l’imperialismo
Ovviamente nulla di più lontano dalla realtà. Ne è prova il recente accordo nucleare in chiave anticinese siglato dal governo degli Stati Uniti con l’India che pone fine all’embargo che durava dai primi anni Settanta; oppure basterebbe ricordare come i primi reattori nucleari in Iran furono costruiti ai tempi dello Scià con l’aiuto degli stessi Stati Uniti.
Secondo la National Intelligence Estimate, l'Iran avrebbe bisogno di almeno una decina d'anni per poter sviluppare qualche forma di armamento atomico. Mohammed El Baradei, il direttore della Iaea (l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), ha sempre affermato che l'agenzia di controllo non ha trovato "nessuna prova" che esista un programma nucleare militare.
Ogni guerra è preceduta e accompagnata da un’intensa propaganda di massa per convincere chi non ha proprio nulla da guadagnarci, i lavoratori, ad appoggiare qualcosa che va precisamente contro i propri interessi. Le presunte trattative non sono altro che una recita con un finale scontato: o resa senza condizioni o guerra.
Se la guerra all’Iran non ci sarà, non sarà certo grazie alla diplomazia europea o russa, guerrafondai quanto gli angloamericani, né tanto meno per merito dell’Onu, che anche con la recente risoluzione anti-iraniana si conferma come agenzia mondiale dell’imperialismo, ma unicamente grazie al fatto che l’imperialismo si trova ancora imbrigliato dalla resistenza dei popoli iracheno ed afgano.
Al momento è impossibile stabilire quando, ma l’ipotesi più probabile è quella di un’aggressione militare a Teheran in un futuro non troppo lontano.
I Paesi imperialisti sono costantemente in lotta tra loro e con il resto del mondo per accaparrarsi le migliori condizioni politiche e finanziarie possibili per gli affari delle proprie borghesie. Questo talvolta li porta ad allearsi, talvolta allo scontro diretto.
Questa è la ragione centrale di tutte le guerre imperialiste della nostra epoca: senza comprendere questo fatto elementare, non è possibile comprendere nulla della guerra, né il modo per combatterla concretamente.
E’ noto come gran parte dell’economia mondiale sia legata al petrolio, una risorsa in via di esaurimento, cosa che la rende ancora più preziosa. E già questa sarebbe una valida ragione per invadere o sabotare a proprio favore un qualsiasi Paese produttore di petrolio. I nemici del popolo iraniano si annidano tuttavia anche in Medio Oriente, in Arabia Saudita, da sempre attenta ad osteggiare ogni possibile potenza regionale concorrente, e l’Iran oggi è il diretto antagonista proprio della monarchia wahhabita.
Con la fine del dominio sunnita in Iraq in seguito alla caduta del regime baathista e l’ascesa di Hamas in Palestina e Hezbollah in Libano (tutti legati al regime sciita iraniano), l’Iran può far valere come mai prima il proprio peso nella regione, a scapito proprio dell’Arabia Saudita.
Gli Usa hanno il monopolio sul mercato del petrolio, essendo questo venduto esclusivamente in dollari americani nelle borse di New York e di Londra.
Per questa ragione tutte le banche centrali del mondo sono obbligate a mantenere enormi riserve di dollari (oggi rappresenta il 68% delle riserve mondiali), nonostante il debito americano di oltre 8000 miliardi di dollari.
Il progetto iraniano è quello di aprire una terza borsa petrolifera indipendente dagli Usa, basata sull’Euro, più stabile e meno indebitato. Questo causerebbe il riflusso negli Usa di centinaia di miliardi di dollari, schiacciando un’economia che attualmente vive ben al di sopra delle sue reali possibilità, grazie alla opportunità di potersi indebitare senza pagare pegno dato che tutti sono costretti a comprare dollari per poter acquistare petrolio.
Se la borsa iraniana, che per ora è ancora un progetto, avesse successo, il riflusso in America di questa montagna di dollari provocherebbe un devastante ciclo di iperinflazione: il dollaro crollerebbe, così come l’intera economia americana.
Tutti gli esperti sono d’accordo su questo. Un articolo di Alan Peter, "La minaccia dei Mullah non è infondata", afferma: “ (...) le stime più diffuse ritengono che il dollaro possa scendere a livelli terra-terra con una rapida perdita di almeno il 50%, tenuto conto della sua supervalutazione attuale del 40%”. Lo stesso Paul Volcker, ex direttore della Fed (la Banca centrale americana), ha affermato che "vi è il 75% di probabilità che il dollaro crolli entro i prossimi cinque anni".
E’ superfluo a questo punto aggiungere che un crollo dell’economia americana, agli attuali livelli di divisione del lavoro mondiale e di globalizzazione della produzione, avrebbe effetti non meno devastanti sugli altri Paesi imperialisti e quindi sul sistema capitalista nel suo insieme.
Il progetto di una borsa petrolifera legata all’Euro era già stato portato avanti negli anni scorsi da Saddam Hussein, e tutti sanno come è andata a finire...
La situazione è tesissima, come dimostra il recente arresto di quindici marines inglesi da parte di Teheran. Il governo iraniano sa di non avere scelta e, qualunque cosa decida di fare, sa di essere sotto tiro: così come per Milosevic e Saddam, l’unica possibilità di evitare la guerra sarebbe quella di rinunciare alla sovranità nazionale, cioè di perdere la partita a tavolino.
La guerra della borghesia è duplice: all’esterno contro i Paesi dipendenti, all’interno contro il proprio proletariato; se vince la prima guerra, si rafforza di conseguenza anche nella seconda.
Ancora una volta, saremo contro l’imperialismo mondiale qualunque sìa la bandiera dietro la quale esso si celerà, dalla parte della resistenza dei popoli oppressi “come” Ahmadinejad e la borghesia clericale che esso rappresenta, ma non “con” quella borghesia, consapevoli che solo una sconfitta dell’imperialismo può favorire le lotte del proletariato, in ogni angolo del pianeta. Attualmente non esiste in Iran una direzione in grado di sconfiggere l’imperialismo e porsi il compito di rovesciare il regime borghese-clericale interno.
E’ compito di tutti i marxisti rivoluzionari del mondo lavorare per costruire questa direzione e lottare innanzitutto contro i propri governi di guerra: l’internazionalismo proletario non può limitarsi solo ad un’astratta solidarietà internazionale, bisogna convincersi che solo la sconfitta del proprio governo e della propria borghesia è una vittoria per i proletari di tutto il mondo.