È stata sicuramente una misura rivendicata dall’imperialismo, appoggiata dai settori borghesi che spalleggiano il governo di Siniora, il milionario sunnita Saad Hariri, e la sua organizzazione Mufti, e il leader della minoranza drusa Walid Jumblatt. L’obiettivo era fare un passo avanti nel “compito irrisolto” di debilitare l’organizzazione sciita Hezbollah, che controlla un autentico “Stato nello Stato”, non portando a termine il quale nessun progetto di Libano proimperialista “stabile” è possibile.
Il proposito del governo è sconfitto
In questo quadro, gli scontri si sono prodotti fra le milizie di Hezbollah, da un lato, e le milizie di Hariri e Jumblatt, dall’altro. Al contempo, il Fronte Patriottico del cristiano maronita Michel Aoun, il Partito Comunista Libanese ed il Movimento Amal, hanno appoggiato Hezbollah.
L’imperialismo non è intervenuto direttamente nel conflitto benché lo abbia fatto in modo indiretto come un avvertimento ad Hezbollah a non oltrepassare certi limiti: la IV Flotta navale degli Usa è stazionata in acque internazionali di fronte a Beirut e le truppe francesi della Finul (caschi azzurri delle Nazioni Unite) hanno realizzato una “esercitazione militare” nel sud del Paese.
Il tentativo di Siniora-Hariri-Jumblatt è stato totalmente sconfitto: Hezbollah non solo mantiene la sua rete di comunicazioni e il controllo dell’aeroporto ma ha finito per dominare la metà della capitale rendendo Hariri e Jumblatt ostaggi virtuali in casa propria. Da questo punto di vista, dobbiamo definire questo risultato come un trionfo delle masse libanesi contro il piano imperialista.
La classe operaia entra in scena
Questo fatto aiuta a sgombrare l’equivoco “confessionale” del conflitto libanese per chiarirne il carattere di scontro di classe e gli interessi economici: da un lato, la classe operaia, la piccola borghesia impoverita (sciita, cristiana e sunnita) e settori borghesi colpiti dal piano economico proimperialista; dall’altro, la borghesia proimperialista beneficiaria degli aiuti internazionali per la “ricostruzione” del Paese e le classi medie ad essa alleate (principalmente settori sunniti e cristiani). Non è casuale che Saad Hariri sia un ricchissimo imprenditore edile i cui affari fioriscono sempre di più con questi “aiuti”.
I limiti di Hezbollah
Vale a dire, ancora una volta, permette la ricomposizione delle forze proimperialiste ed il mantenimento dell’attuale Stato libanese, diviso per settori confessionali nella composizione del parlamento e nella formazione del governo.
In termini strategici, la politica di Hezbollah, consistente nel non approfittare fino in fondo dei suoi trionfi sopravanzando le forze proimperialiste, è suicida. Un futuro combinarsi di un cambio nei rapporti di forza nel Libano (per esempio, un cambio dell’attuale posizione dell’esercito libanese ed un intervento diretto della Finul) ed un recupero di Israele dalla sua sconfitta del 2006 potrebbe trovare Hezbollah totalmente presa fra due fuochi nemici, col rischio di essere distrutta come organizzazione.
In questo senso, la nostra critica ad Hezbollah si basa sulla mancata realizzazione dei compiti essenziali da portare a termine nel Libano. Il primo di essi è la liquidazione dell’attuale struttura confessionale dello Stato libanese e la costruzione di un Libano laico e democratico, sulla base del principio “una testa - un voto”. Nelle attuali condizioni, questo sistema darebbe sicuramente una chiara maggioranza ad Hezbollah e ai suoi alleati. Il secondo è la rivendicazione del ritiro della Finul [cui partecipano anche i caschi blu italiani, inviati dal governo Prodi con l'apprezzamento della sinistra governista, ndt], la cui presenza significa una chiara limitazione della sovranità del Paese e un’avanzata militare dell’imperialismo. Si pone anche la necessità di una riforma agraria, specialmente nel nord del Paese, per strappare ad Hariri la sua base latifondista.
Infine, ed è un punto centrale, è evidente che nessuno Stato libanese potrà essere stabile e realmente autonomo finché continui la permanente minaccia militare di Israele alle sue frontiere. Per questo, il Libano, se vuole sopravvivere, non può ipotizzare la “coesistenza pacifica” con il sionismo, ma al contrario la necessità di distruggere lo Stato d’Israele. Ciò pone l’urgente necessità dell’unità dei libanesi con i palestinesi, a partire dal riconoscimento dei pieni diritti politici ai palestinesi rifugiati in Libano (senza che essi debbano per ciò solo rinunciare alla propria nazionalità palestinese o al diritto di ritornare nella loro terra storica) e dal pieno appoggio nella loro lotta contro Israele.
Sappiamo che la battaglia contro Israele non è facile perché si tratta di un nemico armato fino ai denti con moderni equipaggiamenti e appoggiato incondizionatamente dall’imperialismo statunitense. Però la vittoria contro l’invasione del 2006 ha mostrato che è possibile. E lo sarà ancor di più nel quadro di una grande mobilitazione di tutte le masse arabe e musulmane con questo intento. Per noi, questa grande mobilitazione deve inquadrarsi nella prospettiva della costruzione di una Federazione Socialista delle Repubbliche Arabe.
La discesa in campo della classe operaia libanese, rompendo la trappola della divisione religiosa, mostra la strada per portare avanti questi compiti.
(*) membro del Segretariato Internazionale della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale