Francia
La lotta contro la Loi Travail 2.0.
Il proletariato francese indica la strada
di Alberto Madoglio
“Macron sei fottuto! I fannulloni sono in piazza”
Con questo slogan centinaia di migliaia di lavoratori hanno manifestato lo
scorso 12 settembre contro l’approvazione della cosiddetta Loi Travail 2.0.
Marcon aveva etichettato come fannulloni quei
lavoratori e attivisti sindacali che avevano fin da subito manifestato la loro
opposizione a una modifica che peggiora ulteriormente la prima versione della
riforma del lavoro varata dal governo Hollande (del quale Macron è stato a
lungo ministro) nel 2016.
Passata alla cronache nazionali come la versione
francese del Jobs Act di renziana memoria, questa riforma del mondo del lavoro
sferra un attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori, cancellando le
conquiste ottenute in un secolo di mobilitazioni operaie, che hanno avuto i
livelli di massima radicalità tra il 1934/1936 e poi nel maggio 1968.
Cosa prevede il jobs act in salsa francese?
Abolizione del contratto nazionale a vantaggio
della contrattazione aziendale per le imprese con meno di 50 dipendenti.
Possibilità di derogare al ribasso a quanto previsto nazionalmente. Possibilità
di ricorrere senza limiti all’assunzione di lavoratori con contratti precari.
Aumento della contribuzione a carico dei lavoratori, mentre allo stesso tempo
si smantella lo stato sociale. Cancellazioni delle maggiorazioni salariali e
del riposo extra per chi svolge lavoro notturno (prima si riteneva tale un
lavoro che iniziava alle 21, ora si passa alle 24). Riduzione di centinaia di
migliaia di posti nel pubblico impiego.
Il tutto facendo ricorso a una serie di
“ordinanze”, cioè la possibilità da parte del Presidente di ottenere
dall’Assemblea nazionale (il parlamento transalpino) una sorta di assegno in
bianco, della durata di un anno, per poter distruggere le garanzie a favore dei
lavoratori senza controllo e discussione preventiva.
In sostanza, lo stato d’eccezione in materia di
ordine pubblico stabilito dal governo Hollande all’indomani degli attentati al
Bataclan del novembre 2015 viene esteso anche in campo legislativo. A
dimostrazione del fatto che il governo dell’imperialismo francese utilizza
strumentalmente le azioni dei terroristi per colpire il mondo del lavoro, con
l’obiettivo di spezzarne la resistenza.
Tuttavia, al momento questo auspicio da parte di
Macron fatica a concretizzarsi. La classe operaia francese, anche sulla scorta
delle sue tradizioni rivoluzionarie (non ci riferiamo solo alle lotte radicali
che ricordavamo all’inizio, ma anche a quelle del 1830, 1848 e soprattutto
1871, quando con la Comune di Parigi diede vita al primo governo operaio della
storia), non è intenzionata a piegarsi così facilmente.
Per mesi, nel 2016, ci sono state imponenti
mobilitazioni operaie contro la prima versione della Loi Travail. Questo
autunno già due scioperi generali hanno bloccato il Paese (oltre a quello del
12 settembre, c’è stato quello del 21).
Tuttavia, bisogna chiedersi come mai, nonostante
queste imponenti forme di lotta, sia Hollande che Macron non abbiano dato segno
di cedimento.
La crisi economica impone misure draconiane contro i lavoratori
Sappiamo benissimo che in Francia, così come è
stato in Grecia, Portogallo, Spagna, Brasile, quella che si gioca è, per certi
versi, la partita della vita.
La borghesia sta faticosamente tentando di uscire
da una crisi ormai ultra decennale. Ci sta in parte riuscendo non per mezzo di
nuovi investimenti, aumenti della produttività del lavoro, con
l’efficientamento del processo produttivo. Lo sta facendo comprimendo a più non
posso il salario (diretto e indiretto) dei lavoratori, aumentando quello che
Marx chiamava il plusvalore assoluto.
Gli aumenti del Pil e della produzione
industriale della quale, negli ultimi mesi, stanno beneficiando un po' tutte le
potenze industriali del pianeta, non consentono una redistribuzione di questa
ricchezza, appunto perché si fondano sullo sfruttamento più brutale. È ormai
ampiamente riconosciuto che tutto ciò non sia congiunturale ma il modo normale
che il capitalismo ha per mantenere i propri guadagni per gli anni a venire.
Quindi nessun passo indietro, da parte dei
padroni, è possibile. Se ciò è ben chiaro alle classi dominanti francesi (così
come a quelle mondiali), altrettanto non pare essere per i gruppi dirigenti del
movimento operaio (siano essi sindacali o politici).
Agli operai non manca la volontà di lottare ma una direzione adeguata
La Cgt, equivalente della Cgil in Italia, segue
una linea di opposizione alle decisioni governative assolutamente inefficace.
Anziché radicalizzare la lotta,
prepararla, estenderla di modo da costruire le condizioni per un vero sciopero
generale prolungato, segue la linea della Camusso e di Landini. Scioperi rituali,
con manifestazioni che, seppur molto partecipate, sono fine a se stesse, aventi
come obiettivo quello di aprire un confronto col governo, nella speranza,
illusoria per i motivi detti sopra, di poter ottenere la convocazione di un
tavolo negoziale. Solo il sindacato Solidaires (che fa parte della Rete
Sindacale Internazionale) propone un percorso che superi la routine di
mobilitazioni fine a se stesse, come si evince dall’appello lanciato per una
nuova giornata di lotta prevista per il 6 ottobre.
Stesso discorso per l’opposizione politica alla presidenza
Macron e al suo movimento La Republique en Marche. Non sarà certo il programma
neo riformista (con accenni molto gravi alla difesa della eccezionalità
francese, versione presunta di sinistra del sovranismo) di Melenchon che potrà
rappresentare un’alternativa reale alle politiche di austerità che si stanno
imponendo ai lavoratori d’oltralpe.
Inoltre il leader del movimento di sinistra
France Insoumise non sta certo compiendo delle azioni volte a unificare la
lotta sindacale e politica. La scelta di indire una manifestazione appena due
giorni dopo lo sciopero del 21 settembre non è stata una scelta felice. Ovvio
che l’auspicio è quello che a breve si apra una fase di mobilitazione
permanente in cui le manifestazioni si convochino giornalmente. Purtroppo non è
ancora questo il caso, e scelte del genere rischiano solo di creare confusione
e dividere il fronte di lotta.
Nemmeno alla sinistra del partito di Melenchon si
intravede chi possa rappresentare un’alternativa allo stato di cose attuale.
L’Npa, nato nel 2009 sulle ceneri della maggior organizzazione trotskista in
Francia, la Lcr, non fornisce alcuna proposta concreta per contrapporre
all’attacco di Macron un'adeguata risposta di classe. Vaghi appelli alla
mobilitazione, alla resistenza, alla necessità di usare parole d’ordine di
“transizione”. Ma transizione verso cosa?. Chiaro che una forza che ha
abbandonato la prospettiva di un altro Stato, di un’altra società, non possa
che essere condannata alla irrisolutezza,
specialmente in una situazione in cui non sono possibili vie di mezzo. Stesso
discorso vale per la sezione francese
del raggruppamento internazionale di cui fa parte per l’Italia Sinistra Classe
e Rivoluzione (ex Falcemartello). In un articolo apparso sul web in data 28
settembre dal titolo “La lutte contre Macron e la fiction de l’independance
syndicale” giustamente segnala la necessità di unire lotta politica e lotta
sindacale, salvo proporre come parola d’ordine per la situazione francese
quella di un “gouvernement populaire”, riprendendo una formula di Melenchon.
Possiamo presumere che si tratti dell’ennesima versione di un "governo di
sinistra" che dovrebbe... rappresentare gli interessi dei lavoratori.
Questo gruppo, a cento anni dalla rivoluzione d’Ottobre, si dimentica di
precisare che l’unico governo che possa assolvere a questo compito deve
inevitabilmente sorgere da una lotta rivoluzionaria che abbia spezzato
l’apparato statale borghese. "Governi popolari", "delle sinistre",
e altre formule simili, sono in realtà niente altro che riproposizione di vecchie esperienze tutte
inequivocabilmente fallite. Attualmente l’esempio più lampante di questo
fallimento lo abbiamo in Venezuela, dove il "socialismo del XXI secolo"
ha dichiarato bancarotta.
Che i lavoratori e le forze che li organizzano ne siano consapevoli o meno è la questione del potere, cioè della rivoluzione socialista, il vero centro della lotta in corso. Nessuna vittoria parziale, nessuna riforma è oggi possibile senza porsi la prospettiva della creazione di un governo dei lavoratori per i lavoratori. Senza espropriare la borghesia, senza sostituire alla democrazia borghese la democrazia operaia, chiunque siederà all’Assemblea nazionale o all’Eliseo non potrà far altro che difendere gli interessi delle classi dominanti.