Introduzione
Queste tesi costituiscono un documento aperto di lavoro,
contenente i principali contributi dati alla discussione che ha avuto luogo
durante le giornate europee promosse dal Prt-Ir, sezione spagnola della Lit nel
novembre scorso. Il dibattito è stato utile per integrare l’esperienza militante
dei compagni e delle compagne del Prt-Ir spagnolo, del portoghese Ruptura-Fer,
dell’Lct del Belgio e dell’inglese Isl – tutti membri della Lit-Ci – così come
del Pc-Rol, l’organizzazione trotzkista italiana che ha rotto con Rifondazione
Comunista quando il partito è entrato a far parte della coalizione di governo di
Romano Prodi, e della Frazione Pubblica di Lutte Ouvrière. Attualmente il Pc-Rol
si è costituito in Partito di Alternativa Comunista (PdAC) ed è divenuto la
sezione italiana della Lit-Ci.
Il dibattito estremamente fecondo svoltosi
durante le giornate europee, ci ha permesso di confrontare i punti di vista
delle diverse nazioni e di sviluppare il nostro lavoro, partendo da una visione
europea della militanza rivoluzionaria. Il lavoro sinergico e l’elaborazione
comune, accompagnati dal crescente radicamento tra i lavoratori e la gioventù
europea, ci consentiranno di compiere nuovi passi in avanti.
1. Tra gli intellettuali e tra la sinistra europea esiste
una marcata tendenza a identificare gli Stati Uniti come unico Paese
imperialista. A questa sinistra piace contrapporre il “modello sociale e
democratico” dell’Unione Europea (Ue) all’imperialismo statunitense, neoliberale
e bellicista. Ma nella sua essenza la Ue ha carattere di blocco regionale
imperialista. Lo zoccolo duro è formato da due grandi potenze tra loro rivali,
Germania e Francia, in competizione con la Gran Bretagna (che continua a
mantenere “relazioni speciali” con gli Stati Uniti). Attorno a questo nucleo si
raggruppano imperialismi di second’ordine, come quello italiano, spagnolo e
altri e, a livello ancora inferiore, i Paesi dell’Est, “annessi” tramite il
processo di ampliamento e sottoposti ad un processo di ricolonizzazione da parte
delle grandi multinazionali europee, soprattutto tedesche (senza dimenticare
quelle nordamericane).
2. L’Unione Europea non ha altra scelta che accettare
l’egemonia mondiale statunitense. In seguito alla Seconda Guerra Mondiale
l’Europa continua a mantenere una posizione secondaria rispetto agli Usa, e la
creazione della Ue non ha cambiato questa impostazione di fondo. Né ora né in un
futuro attualmente prevedibile esistono le condizioni economiche, politiche e
militari perché la(e) borghesia(e) imperialista(e) europea(e) si erga ad
alternativa al dominio Usa. La sottomissione europea si esprime
nell’accettazione da parte della Ue dell’occupazione nordamericana dell’Iraq e
nell’appoggio al governo titolare; nella massiccia partecipazione
all’occupazione militare dell’Afghanistan e nel recente invio di truppe europee
in Libano, su incarico di Usa ed Israele. Il testo costituzionale europeo, che
fruttò il No francese, designa la Nato, dominata dagli Stati Uniti, quale
“fondamento di sua difesa collettiva e organismo esecutivo di essa”.
3. L’Unione Europea rappresenta, in prima istanza, la
piattaforma comune di partenza che consente agli imperialismi europei di
aggredire i lavoratori del continente. Tutti i governi, a prescindere dal
colore, riconoscono unanimemente che mai avrebbero potuto sostenere con tale
successo i loro piani neoliberali se non avessero potuto fare affidamento sulla
Ue. Durante il Vertice di Lisbona del 2000, i governi che compongono la Ue si
impegnarono a rendere l’Europa “la regione più competitiva al mondo”, ponendosi
l’obiettivo di raggiungere e superare gli Usa. Ma sarà possibile arrivare a
questo traguardo solo imponendo un recesso storico alle conquiste sociali e
lavorative acquisite dalla classe operaia europea a partire dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale. Questa è una delle grandi ragioni che spingono a far
parte della Ue. I governi europei, di qualunque segno, hanno applicato
successive riforme che hanno “reso flessibile” il mercato del lavoro e
precarizzato l’impiego. Hanno compiuto “riconversioni industriali”. Hanno
ridotto pensione pubblica e diritti sociali. Hanno liquidato sanità e istruzione
pubblica, procedendo alla loro progressiva privatizzazione. Hanno imposto un
ribasso generale dei salari, specialmente a partire dall’entrata in vigore
dell’euro. Durante gli anni Novanta, i governi europei hanno privatizzato una
parte essenziale del patrimonio statale, realizzando un introito di 215 milioni
di euro (pari al 42% del totale mondiale). In Paesi quali la Spagna tendono a
riaffiorare, convertendosi in un dramma per le nuove generazioni proletarie,
vecchi problemi (come quello abitativo) che sembravano essere stati
definitivamente “superati” negli ultimi quarant’anni. L’offensiva neoliberale è
strettamente collegata alla configurazione di una nuova divisione del lavoro a
livello internazionale, che si esplica nelle delocalizzazioni verso i Paesi
dell’Est Europa e dell’Asia, divenuti riserve di mano d’opera a basso costo,
dequalificata e priva di diritti; nella creazione di piattaforme per
l’immigrazione verso i Paesi della Ue e nella destinazione assegnata alle
esportazioni delle grandi multinazionali.
4. L’Unione Europea rappresenta la piattaforma imperialista
congiunta dei grandi gruppi capitalisti europei e dei loro governi per la
ricolonizzazione dell’Est europeo e per la difesa della propria parte di bottino
dalla voracità statunitense (e giapponese). La politica estera della Ue è
marcata da una chiara preponderanza dell’asse franco-tedesco, al quale si
adeguano gli imperialismi minori. La conformazione di questa piattaforma ha
preso le mosse dal processo di accentramento di capitali attraverso la fusione e
l’acquisizione di imprese, fenomeno particolarmente esteso negli anni Ottanta e
Novanta, in particolare alla fine del ’90. Tra gennaio e maggio del 2006,
l’importo di queste operazioni superava quasi la cifra congiunta del 2005, pari
a 924 milioni di euro. Il processo di accentramento di capitali punta
attualmente sulle grandi compagnie energetiche, di telecomunicazioni o sui
gruppi bancari. Un esempio chiaro – considerando le tensioni e le contraddizioni
che lo caratterizzano è quello dell’Opa della tedesca E.on nei confronti
della spagnola Endesa.
5. La Ue rappresenta l’ultimo e contraddittorio tentativo da
parte delle potenze imperialiste europee di unificare il continente percorrendo
la via pacifica. La Ue riflette l’alto grado di unificazione economica del
continente e l’imperiosa necessità di eliminare le frontiere e gli Stati
nazionali. Ciò nonostante è, contemporaneamente, la negazione di tutto questo,
perché le borghesie imperialiste non hanno alcun potere a prescindere dai loro
singoli Stati. I capitalismi europei hanno unificato il mercato interno e la
moneta, e le loro multinazionali hanno completa libertà di movimento all’interno
della Ue. Però, d’altro canto, essi si rifiutano di unificare la legislazione
sociale e del lavoro. Non sono nemmeno disposti a unificare le imposte sui
salari e su altre rendite e benefici. Il capitale tenta quindi di approfittare
delle enormi differenze esistenti tra i vari Paesi per frammentare i lavoratori
e imporre un recesso sociale generalizzato. Le potenze europee manterranno saldi
i presupposti nazionali, tramite la polizia, l’esercito e la capacità di veto in
ambito di politica estera e di difesa. I diversi capitalismi europei manterranno
le alleanze che contrappongono i Paesi gli uni agli altri (denominandole
cooperazioni rafforzate) e continueranno ad essere subordinati e divisi rispetto
agli Stati Uniti. Il bilancio della Ue è ridicolo di fronte ai bilanci di
ciascun singolo Stato. Tutte le questioni fondamentali vengono regolate tra i
grandi governi e le multinazionali. Da essi dipende la Commissione Europea, e il
Parlamento Europeo non è nient’altro che un paravento democratico per
giustificare tutto ciò. I forti conflitti che sorgono ogni volta che si discute
delle prospettive finanziarie della Ue o, come di recente,
dell’approvvigionamento energetico, riflettono il fatto che la Ue non è solo una
piattaforma imperialista comune con lo scopo di attaccare i lavoratori e
disputarsi una parte del bottino imperialista con gli Usa. La Ue rappresenta al
pari il campo dove si combatte la battaglia per l’egemonia dell’Europa, dove la
potenza imperialista tedesca non deve essere messa in discussione.
6. Ne consegue che nessuna grande potenza può intendere
l’unificazione dell’Europa se non sulla base dei propri interessi imperialisti:
l’unificazione europea non si realizzerà per mano della borghesia e dei governi
imperialisti. Chi predica un’unità europea basata sull’ “Europa del bene comune”
(Susan George e il movimento Attac), “la rifondazione dell’Unione Europea”
(Bloco de Esquerda portoghese) o “l’Europa dei popoli, democratica, socialista e
pacifica” (Conferenza della Sinistra Anticapitalista, formata dalla Lcr,
dall’inglese Swp, dal Bloco portoghese e dallo scozzese Ssp) ci ripresenta un
remake poco originale delle vecchie e reazionarie utopie del riformismo
europeo.
Citando Trotsky nel 1929, diciamo alle potenze europee: “Per
unificare l’Europa è necessario, innanzitutto, strappare il potere dalle vostre
mani. Noi unificheremo l’Europa. La unificheremo in contrapposizione all’ostile
mondo capitalista. La trasformeremo in una poderosa base d’appoggio del
socialismo combattivo. Ne faremo la pietra angolare della federazione socialista
mondiale”. Una vera unificazione dell’Europa si otterrà solo tramite la formula
degli Stati Uniti Socialisti d’Europa. Questa consegna è il nodo cruciale del
programma rivoluzionario in Europa.
7. La progressiva spoliazione perpetrata dal capitalismo sta
spingendo la maggioranza della gioventù dei Paesi coloniali e semicoloniali a
cercare salvezza nell’emigrazione verso le metropoli. Nel caso della Ue, il
massiccio afflusso di lavoratori extracomunitari immigrati si unisce al potente
flusso migratorio proveniente dai Paesi dell’Est (alcuni dei quali “importano”,
a loro volta, manodopera asiatica). La borghesia imperialista europea, malgrado
i conflitti generati da questi arrivi anarchici e compulsivi, “accetta” questi
contingenti perché le servono come manodopera a buon mercato da utilizzare per
fomentare divisioni all’interno della classe lavoratrice, precarizzare
l’impiego, abbassare i salari e aumentare così il tasso di
sfruttamento.
Disdegnati dai grandi apparati sindacali e dalla sinistra
istituzionale, i lavoratori migranti si vedono privati dei più basilari diritti
democratici; sono oggetto di una repressione poliziesca mirata e vengono
costretti a vivere in ghetti, in condizioni di brutale diseguaglianza sociale
rispetto alla popolazione nativa. In Paesi come la Francia, i nuovi immigrati
vanno ad aggiungersi ai migranti di seconda o terza generazione. Sono stati
questi settori giovanili, composti da figli di immigrati già installatisi nel
Paese, condannati a vivere nelle periferie più squallide e a svolgere i lavori
peggiori, a rendersi protagonisti della rivolta delle banlieues.
I
lavoratori immigrati costituiscono una parte sostanziale della classe operaia
europea, e hanno un forte peso specifico nel settore edile, agricolo o in
determinati settori dei servizi.
In Paesi come la Spagna, che ha vissuto una
poderosa ondata migratoria durante gli ultimi dieci anni, raggiungono il 15%
della popolazione dei lavoratori salariati; in regioni come la Catalogna la
percentuale sale al 22% e in alcune province agricole, come Lérida, si suppone
arrivi al 52%.
I governi della Ue, sia di destra che di “sinistra”, hanno
promosso una vera crociata contro “l’immigrazione illegale”: chiudono le
frontiere, espellono i migranti senza permesso di soggiorno, inaspriscono le
leggi sull’immigrazione e sul diritto d’asilo e vincolano esplicitamente la
legalità al possesso di un contratto di lavoro. Alimentano il razzismo e la
xenofobia, associando l’immigrazione al degrado dell’educazione e della sanità e
alla delinquenza, se non al terrorismo, come succede nel caso di immigrati di
origine araba.
Attraverso meccanismi comunitari come il Frontex (preposto al
“controllo delle frontiere estere”) e di accordi bilaterali, stanno
militarizzando le coste africane e promuovendo la creazione di “campi di
internamento” per immigrati illegali nei Paesi di destinazione e nei Paesi
africani. Insieme a questi ultimi e ad alcuni Paesi asiatici, i governi della Ue
firmano accordi nei quali gli “aiuti economici” (associati per altro
all’impianto in loco delle multinazionali europee) sono subordinati al rimpatrio
degli immigrati, alla repressione dell’immigrazione e alla vigilanza delle
frontiere. Resta da aggiungere ,come segnala l’Appello ai popoli d’Africa e
d’Europa (siglato da Cnsp, Atraie e Udep), che questa rozza politica
imperialista non sarebbe perseguibile senza la complicità dei governi coloniali
africani, attuale reincarnazione dei vecchi commercianti di schiavi.
8. Il No francese alla Costituzione Europea del maggio del
2005 ha segnato la maggior vittoria politica delle masse europee da molto tempo
a questa parte. Quando la macchina neoliberale sembrava inarrestabile, i
lavoratori e i giovani francesi, a nome loro e per conto dei popoli del
continente, tennero testa alla borghesia europea e dimostrarono che la si poteva
vincere. Il No fece cadere il governo francese, investì la Presidenza della
Repubblica e mise in pericolo la Costituzione Europea. Il No, delegittimando la
Ue, il governo e il parlamento ( il 90% dei deputati francesi era a favore del
Trattato!) e ripudiando i loro piani liberali, ha aperto un’importante breccia
in Francia e in Europa. Il No francese, e più tardi quello olandese (che
gettarono nel panico i governi europei, dissuadendoli dal proporre altri
referendum) smontarono transitoriamente l’ipotesi della Ue di “inserire
formalmente nella Costituzione” il neoliberismo e il militarismo europei,
impedendo che i governi si accordassero su un piano alternativo. Il No ottenne
anche di mitigare alcuni degli aspetti più brutali dell’offensiva neoliberale,
come il cosiddetto “principio del Paese d’origine” della Direttiva Bolkenstein
(di liberalizzazione dei servizi pubblici).
Però le borghesie europee non
hanno rinunciato all’offensiva neoliberale contro le conquiste e i diritti dei
lavoratori. Hanno continuato ad attaccare i diritti e le libertà democratiche,
con la scusa della lotta al terrorismo. Hanno accentuato l’interventismo
militare, aggiungendo alla partecipazione piuttosto subordinata in Afghanistan
(dove coprono le spalle alle truppe statunitensi impantanate in Iraq),
l’intervento in Libano, sottoposto ai piani di Usa ed Israele. Senza dimenticare
gli interventi militari in Africa (ex-colonie francesi, Congo, ecc.), dove la
Francia, storica potenza coloniale, viene messa sempre più in ombra dagli Stati
Uniti.
9. L’offensiva neoliberale si esprime con diversa virulenza
da Paese a Paese. Il Portogallo affronta attualmente una grave crisi economica,
con chiusure di fabbriche, un tasso di disoccupazione al 10% ( che sale al 16%
tra i giovani) in un Paese che per molto tempo non ha conosciuto questo
problema, e con la precarietà che affligge tra il 60 e il 70% dei giovani. La
borghesia portoghese, premiata dalla Ue – che esige il rispetto del “patto di
stabilità” europeo – ha repentinamente sferrato i maggiori attacchi da dopo il
25 aprile 1974: ribasso dei salari nel settore pubblico, taglio di 75.000 posti
di lavoro, riforma della pensione pubblica, aumento delle tasse ospedaliere ed
universitarie, diminuzione del sussidio di disoccupazione, chiusura di centri
medici pubblici e consultori. Esecutore di questa operazione è il governo
socialdemocratico di Socrates. L’esperienza portoghese serve da spauracchio
quando in altri Paesi giungono periodi di vacche magre. Anche nei Paesi
dell’Est, dove la classe lavoratrice è duramente colpita, il raggiungimento
delle condizioni necessarie all’ingresso nella Ue e nell’euro spinge il governo
a colpire le condizioni d vita della popolazione. In Grecia il governo di
destra, costretto a fronteggiare una delle classi operaie più combattive
d’Europa, sta tentando di applicare duri piani neoliberali (portando avanti ciò
che aveva iniziato il governo socialdemocratico del Pasok).
Nei Paesi dove
esistono spazi di manovra più ampi, le riforme neoliberali vengono applicate dai
governi in modo graduale, e normalmente con la complicità dei grandi apparati
sindacali. E’ il caso della Spagna e del governo Zapatero, sostenuto da un
blocco di governo del quale fa parte Izquierda Unida, la coalizione elettorale
controllata da un Pce preda di divisioni interne. Con le debite differenze, è
lo stesso caso dell’Italia del governo Prodi (al quale partecipa Rifondazione
Comunista), che ha accelerato al 2007 quanto previsto dalla berlusconiana Legge
Maroni, per dare inizio alla prima fase di privatizzazione delle pensioni (che
passerebbero ad essere gestite da Confindustria e dai sindacati). Il governo
Prodi ha mantenuto le leggi di Berlusconi sul lavoro precario e sui Cpt e si
prefigge di portare a compimento i piani neoliberali che Prodi non ebbe tempo di
applicare durante il suo primo mandato nel 1996. La borghesia europea, impegnata
in quella che potremmo definire una politica di “reazione democratica”, quando
può e ne trae vantaggio non esita ad integrare nel suo apparato parlamentare e
istituzionale le forze che, agli occhi delle masse, sembrano posizionate più a
sinistra, come nel caso di Bertinotti e compagnia. Nello stesso modo ha teso una
mano ai movimenti nazionalisti radicali, come l’Ira-Sin Feinn dell’Irlanda del
Nord. E sta tentando di fare lo stesso, per ora senza successo, con Eta e
Batasuna nei Paesi Baschi, nell’ambito di un “processo di pace” giunto al
collasso.
10. In Europa, in seguito alle grandiose mobilitazioni del
movimento contro la guerra che ebbero luogo nel 2003, si è registrato un forte
crollo. Un crollo parallelo a quello del movimento No Global e dei Social Forum
che hanno perso progressivamente combattività e adesioni, rivelandosi sempre più
digeribili per la socialdemocrazia e la burocrazia sindacale.
In questo
periodo abbiamo vissuto – con notevoli differenze tra Paese e Paese – importanti
mobilitazioni operaie e popolari. Nel 2004 in Germania dell’Est hanno avuto
luogo le “mobilitazioni del lunedì”, contro i piani di austerità del governo
Schröder. In Italia sono stati indetti scioperi generali contro le misure del
governo Berlusconi e attualmente scioperi e manifestazioni contro il governo
Prodi. Tuttavia si tratta di mobilitazioni minoritarie dirette dalle diverse
sigle sindacali di base. Il 17 novembre 2006 sono scesi in piazza 300.000
manifestanti in tutta Italia, anche se l’impatto di questo sciopero è risultato
mitigato dal non aver concentrato tutte le forze in un unico grande corteo a
Roma. La Fiom si è accodata alla manifestazione del 4 novembre scorso contro la
precarietà e ha fornito un appoggio passivo alla mobilitazione del 17 novembre,
e per questo ha subito minacce da parte della direzione della Cgil. Il 15 marzo
del 2006 ha avuto luogo in Grecia uno sciopero generale, il quinto e più
riuscito nel corso dell’anno. Il Belgio, dopo 12 anni di pace sociale, ha
vissuto due scioperi generali nell’ottobre del 2005, intervallati tra loro di
sole tre settimane: nella prima fase i lavoratori riuscirono ad imporsi sugli
apparati sindacali (elemento cardine della “concertazione sociale” belga), ma
nella seconda occasione furono sconfitti usando l’arma delle precettazioni. La
mobilitazione più recente – novembre del 2006 – si è svolta contro la chiusura
dell’impianto della Volkswagen nel Furest, l’ultima grande fabbrica di
Bruxelles, dove 10.500 lavoratori (diretti e appartenenti all’indotto) rischiano
di perdere il posto. Il sindacato ha consigliato loro di “accettare tutto con
dignità”.
In contrasto con il riflusso spagnolo successivo alla costituzione
del governo Zapatero, il Portogallo ha vissuto mobilitazioni di massa, che
segnano il risveglio della classe lavoratrice portoghese, passiva da molto
tempo. La lotta ha visto protagonisti soprattutto i lavoratori del settore
pubblico. Il 5 ottobre del 2006 gli insegnanti proclamarono sciopero generale, e
marciarono in 20.000 a Lisbona, dando vita alla maggior manifestazione del
personale docente di tutti i tempi. Separatamente, una settimana dopo, la Cgtp
dichiarò sciopero generale nel Pubblico Impiego, che registrò a sua volta una
massiccia partecipazione, ed organizzò una marcia di 90.000 persone, la più
grande dal 1982. La Cgtp è la maggiore sigla sindacale, ed è dominata dal Pcp;
esercita un alto grado di controllo sui lavoratori, malgrado ciò al suo interno
non hanno preso vita correnti di sinistra critica. In Gran Bretagna ci sono
mobilitazioni, ma isolate e dispersive La Francia ha continuato a rivestire un
ruolo di avanguardia, portando avanti le grandi lotte iniziate nel 2003 contro
la riforma delle pensioni e con il No alla Costituzione europea del maggio 2005.
La scorsa primavera, nel corso di 10 settimane, gli studenti si sono mobilitati
con successo contro il Contratto di Primo Impiego (Cpe), forti dell’appoggio
della classe operaia francese e della partecipazione attiva di un settore di
essa. La base si organizzò su scala nazionale, furono occupate università e
licei e si organizzarono manifestazioni di massa.
Le mobilitazioni, ciò
nonostante, non sono in grado di superare le frontiere nazionali e importanti
lotte, come quelle del Portogallo, sono praticamente misconosciute nelle vicina
Spagna. Al pari, la sinistra sindacale europea muove all’interno di confini
nazionali isolati.
Sul terreno prettamente politico, la Francia è il punto
più avanzato nella configurazione di un raggruppamento di massa di sinistra, che
a livello elettorale si coagula intorno alle candidature di Lcr e Lo, che
puntano a presentarsi separatamente alle prossime Presidenziali. Per la prima
volta dal dopoguerra abbiamo assistito ad alcuni processi di parziale rottura
tra i partiti socialdemocratici in Germania (Lafontaine) e Francia (a campane
contrapposte in occasione del referendum sulla Costituzione Europea). I Partiti
Comunisti e le loro espressioni elettorali (come l’Iu spagnolo), vivono derive
socialdemocratiche (con alcune eccezioni, come il Pc portoghese) e versano in
uno stato di completa decadenza. Da parte loro, le burocrazie sindacali,
integrate nel Ces, sono sempre più servili e si rendono complici dei piani
neoliberali della borghesia e dei governi espressione di essa.
11. Il crescente scontento sociale sorto in seguito
all’offensiva neoliberale, il blocco dell’ascesa delle proteste operaie e
giovanili e la contemporanea assenza di una prospettiva rivoluzionaria rendono
la società vittima delle proprie contraddizioni, le esacerba e conduce alla
polarizzazione della vita politica e sociale. La crescente presenza, soprattutto
elettorale, dell’estrema destra razzista in Europa è esemplare. Le Pen in
Francia (al quale viene attribuita una previsione di voto alle Presidenziali
pari al 17%), il Dpf danese, l’estrema destra vallona o la lista elettorale Pim
Fortuym in Olanda sono esempi evidenti di questo fenomeno.
Il crescente
deterioramento delle condizioni lavorative e sociali, il pessimo stato in cui
versano sanità ed educazione pubblica, il ribasso dei salari, la precarizzazione
del lavoro vengono demagogicamente associati alla presenza di lavoratori
immigrati. La xenofobia e il razzismo sono due bandiere dell’estrema destra.
Altro elemento che utilizzano è il sentimento sempre più generalizzato tra la
popolazione, specialmente tra i giovani e nei quartieri più disagiati, della
mancanza di rappresentatività della democrazia borghese.
L’estrema destra è
alla ricerca di una parte della sua base sociale nelle periferie operaie più
povere e sfruttate, tra i disoccupati e coloro che sono privi di diritti. E’
proprio la politica criminale e claudicante dei governi “di sinistra” (e delle
burocrazie sindacali) a dare adito a questo tipo di correnti fasciste.
12. Tuttavia su scala europea non esistono significative
correnti di massa orientate verso un programma rivoluzionario. Nemmeno tra le
avanguardie degli attivisti si registrano movimenti rilevanti in questo senso.
Su questo terreno assistiamo generalmente ad un gran ritardo.
In cambio,
desta attenzione l’avanzato stadio di degenerazione di organizzazioni come
Rifondazione Comunista, che si presentava come il comunismo rifondato e unico
argine alla socialdemocrazia. In seguito al suo ingresso nel governi Prodi, il
partito di Bertinotti – grande referente europeo per i tanti naufraghi dello
stalinismo ansiosi di “rifondare” un Partito Comunista – si è dimostrato fedele
servo della borghesia italiana, profondamente integrato nell’apparato statale
borghese, e si è eretto a difesa dell’invio di truppe in Afghanistan e in Libano
e dei piani neoliberali del governo Prodi. Rifondazione consta di un ministro e
Bertinotti è stato designato Presidente della Camera, ruolo in cui si è
dimostrato strenuo difensore dello stato sionista d’Israele e ha partecipato al
congresso dei postfascisti di Fini “a rappresentanza di tutto il popolo
italiano”!
Occorre senza dubbio evidenziare un fatto molto importante: il
tradimento di Rifondazione non solo ha portato sconcerto e demoralizzazione tra
attivisti e settori di lavoratori, ma di pari misura ha portato alla fuoriuscita
a sinistra dei compagni e delle compagne del Pc-Rol che, di fronte ad uno spazio
politico inedito, si trovano ora in veste di principale organizzazione di
sinistra di fronte alla “sinistra” che sostiene il governo Prodi. I compagni e
le compagne si sono costituiti come forza indipendente, sulle basi di un
programma trotskista e animati dalla ferma determinazione di costruire un
partito rivoluzionario e ricostruire la Quarta Internazionale in Europa.
In
Gran Bretagna si è costituita la coalizione Respect, sulla base del sabotaggio
al movimento delle Socialist Alliances, che nelle intenzioni si prefiggevano di
difendere l’indipendenza di classe e lavorare alla costruzione di una nuova
direzione per la classe operaia inglese.
Uno dei suoi principali membri,
l’Swp di Tony Cliff, considera ora Respect – formata da una coalizione dell’Swp
con un ex parlamentare laburista riformista, Halloway (eletto deputato) e vari
gruppi musulmani – un ostacolo al suo progetto interclassista e parlamentarista.
13. Le organizzazioni europee del Su (il vecchio
“Segretariato Unificato della Quarta Internazionale”), a partire dalla sua nave
ammiraglia, la Lcr francese, pur senza scendere al livello di Bertinotti,
transitano lungo il medesimo percorso riformista. Da tempo il Su ha cessato di
essere un’organizzazione rivoluzionaria e ha abbandonato dichiaratamente la
lotta per ricostruire la Quarta Internazionale per trasformarsi in una
federazione lassa costituita da partiti a loro volta lassi che, come dimostra la
Ds brasiliana, entrano a far parte di governi borghesi filoimperialisti come
quello di Lula.
Queste organizzazioni hanno rinunciato al programma
rivoluzionario per presentarsi come difensori di un programma “anticapitalista”
che propone un’Europa sociale, un parlamento europeo democratizzato e la riforma
delle Nazioni Unite. Un programma, in definitiva, funzionale a mire
elettoralistiche.
La sezione italiana del Su (la tendenza Erre di
Rifondazione comunista, che conta un deputato e un senatore) ha votato in Senato
a favore del finanziamento delle truppe italiane in Afghanistan e dell’agenda
neoliberista di Prodi, con la motivazione che “non si può far cadere il governo
delle sinistre”. Si è pure astenuta sull’invio di truppe italiane in
Libano.
Nello Stato spagnolo, il Su è una federazione di piccole
organizzazioni, senza seggi parlamentari e senza la possibilità di ottenerli. E’
parte di Izquierda Unida occupando alcune posizioni negli organi dirigenti. In
Catalogna ha sostenuto, come “male minore”, il primo governo “tripartitico” e
social-liberista (del quale ha fatto parte il ramo catalano di Iu: l’EUiA).
L’asse della sua politica è stato “pungolare la sinistra al governo”.
Recentemente, si è insediata la seconda edizione del governo “tripartitico”
catalano, ma spostato più a destra rispetto quello precedente. Il principale
dirigente di EUiA è diventato ministro alla pubblica sicurezza e ha lanciato
un’ondata repressiva contro settori giovanili e militanti colpendo in
particolare il movimento delle casas okupadas. L’organizzazione catalana del Su
rivendica da allora la fuoriuscita di EUiA dall’esecutivo e reclama l’avvio di
una discussione sulla politica di alleanze.
Il Su, in ogni caso, continua
ostinatamente a rimanere in Izquierda Unida facendo diventare, a Barcellona come
a Madrid, la partecipazione alle scaramucce per l’acquisizione di posizioni
“strategiche” negli apparati di Iu l’asse della propria politica nello Stato
spagnolo.
14. La proposta strategica del Su, ed in particolare della
Lcr francese, è la costruzione di cosiddetti partiti anticapitalisti a base
larga che – aggiungiamo noi – sarebbero chiamati ad occupare lo spazio a
sinistra degli apparati socialdemocratici. Si tratterebbe di “raggruppare i
rivoluzionari con i riformisti onesti” in partiti o movimenti dal carattere
essenzialmente elettorale, sulla base di programmi condivisi da tutti i
partecipanti, ossia, programmi riformisti… In realtà, prospettano di costruire
all’esterno, e su scala più grande, quello che il Su ha già costruito al suo
interno: una federazione che incorpora di tutto, incluso un’organizzazione come
la Ds brasiliana il cui massimo dirigente, Miguel Rossetto, è ministro della
riforma agraria del governo Lula.
L’ultimo congresso della Lcr francese (dove
la discussione principale riguardava la possibilità di alleanza con il Pcf nelle
tornate elettorali del 2007) ratificava questa strategia. Il congresso affermava
che la caduta del muro di Berlino e l’offensiva neoliberista “hanno modificato i
confini e le divisioni della sinistra. Vi sono quindi due sinistre nella
sinistra. Una dominata dall’ideologia e dalla pratica social-liberista [che si
identifica con la socialdemocrazia contemporanea]…E l’altra [che] rifiuta i
limiti e le imposizioni del sistema in una prospettiva di cambiamento reale [ne
farebbero parte: l’estrema sinistra, il Pcf, gli altermondialisti di Attac e la
stessa sinistra del Ps]. Divisi, i partiti dell’anticapitalismo sono deboli. Noi
militiamo per la costruzione di una nuova formazione capace di esprimere i reali
rapporti di forza a favore di una sinistra al 100% (…) Le vie per raggiungere
tale obiettivo non sono evidenti. Per ora, e per una fase la cui durata non
possiamo prevedere, la principale linea di demarcazione (… ) è quella che separa
quanti pensano che per smantellare il neoliberismo sia necessario attaccare il
capitalismo da coloro che propongono solamente di condizionare questo sistema
con un’istanza antiliberista”.
Il centro di gravità di questo orientamento
evolve gradualmente verso l’elettoralismo, formando parte di un processo che
finisce col trasformare un’organizzazione in un apparato elettorale. La
Conferenza della Sinistra Anticapitalista promossa dal Su e dal Swp britannico
non ha posto nella sua agenda d’azione iniziative per aiutare l’unificazione
delle lotte operaie o dei giovani presenti in Europa, per collegare i
coordinamenti delle opposizioni sindacali alle burocrazie, o appoggiare
congiuntamente le lotte dei lavoratori migranti. La sua principale attività
internazionale si è ridotta ai Social Forum socialdemocratizzati. Per quanto
riguarda Lutte Ouvrière (Lo), presa dalla stessa deriva elettoralista, la sua
maggior attività internazionale è stata la propria Festa Annuale.
Questa
organizzazione si caratterizza per il suo nazionaltrotskismo e per una
combinazione di elettoralismo e di feticismo sindacale a livello aziendale.
Tutte queste organizzazioni costituiscono seri ostacoli – e nel futuro
probabilmente ancora di più – affinché le rotture con gli apparati riformisti e
l’entrata di masse giovanili nella vita politica si orientino verso la
costruzione di partiti rivoluzionari.
15. I “partiti anticapitalisti a base larga” propugnati dal
SU non sono né partiti rivoluzionari né blocchi anticapitalisti progressivi
(centristi progressivi) costruiti sulla base dell’indipendenza di classe. Al
contrario, tali “partiti anticapitalisti” cercano di ricondurre i movimenti di
rottura verso perimetri parlamentaristi e riformisti.
Comunque, far fronte
alla strategia dei “partiti anticapitalisti” obbliga a riconoscere che questa
appare agli occhi di settori militanti una risposta positiva (per deformata che
sia) alla necessità di un raggruppamento combattivo davanti alla dispersione
attuale. Ciò implica anche tenere in conto l’enorme ritardo accumulato nella
costruzione di partiti rivoluzionari. Le nostre organizzazioni sono ancora al
livello di piccoli “gruppi di propaganda” (in alcuni casi non raggiungiamo
neppure questo stadio di costruzione) e la nostra presenza organizzativa è
assente in Paesi centrali (come la Germania) o in intere aree regionali (come i
Paesi dell’Est o il nord d’Europa).
Questa situazione ci obbliga, da un lato,
a rivendicare la costruzione di partiti rivoluzionari e avanzare nella
costruzione della Lit e della Quarta Internazionale. D’altro lato, ci obbliga ad
assumere mediazioni tattiche che meglio ci permettono di collegarci ai settori
militanti operai e giovanili, intervenendo nel complesso processo di
riorganizzazione politica e sindacale. Senza questa combinazione non
raggiungeremo nessun avanzamento significativo nella fase attuale.
16. Riaffermare il partito che vogliamo vuol dire, prima di
tutto, bolscevizzare il regime interno dei nostri gruppi; collegarsi alle lotte
ovunque possibile, lottare per conquistarne la direzione; fuggire al
propagandismo e all’autoproclamazione. Per questo compito, dovremo essere
puntuali nel concentrare con cura e adeguatamente le nostre forze nei settori
più combattivi e sfruttati e con maggiori possibilità di crescita partitica:
precari, migranti, studenti, determinati settori produttivi. Sarà anche
necessario dare importanza speciale alla propaganda rivoluzionaria (attraverso
la rivista Marxismo Vivo, la nostra stampa, siti web, manifesti e
libri) su quegli assi che oggi delimitano una politica rivoluzionaria:
l’indipendenza di classe di fronte ai governi di collaborazione con la
borghesia, la denuncia della Ue e della sua natura imperialista, la critica del
chavismo e del castrismo…
17. Le mediazioni tattiche, d’altra parte, sono condizionate
strettamente dalle differenti situazioni nazionali. Vediamo alcuni casi. Il
Bloco de Esquerda portoghese (Be), rappresenta la più avanzata espressione
europea dei “partiti anticapitalisti” (assieme alla coalizione Respect in Gran
Bretagna). Il Bloco, con il 6,38% dei voti e otto deputati, rappresenta un
modello esemplare per il Su. La sua sezione portoghese (oggi trasformata in
“associazione politica” APSR) svolge un ruolo centrale nella direzione del Be (a
fianco degli ex maoisti della Udp). Il Be raccoglie la radicalizzazione di
settori giovanili, di lavoratori e di ceti medi, sebbene siano questi ultimi a
dare al Bloco l’impronta riformista. Nelle grandi mobilitazioni dello scorso
ottobre, il Be non ha sollevato alcuna critica alla direzione sindacale della
Cgtp, né ha rivendicato lo sciopero generale. Rifiutando di contestare al Pcp la
direzione della mobilitazione, il gruppo dirigente del Be ha concentrato la sua
azione sul solo terreno parlamentare, “suo” terreno naturale. In Portogallo,
facciamo parte del Be e lavoriamo al suo interno senza concederci illusioni
circa la sua evoluzione. Nel caso in cui il governo Socrates non mantenesse la
maggioranza assoluta, la pressione per formare una coalizione Psp-Be
diventerebbe molto forte. In ogni caso, stando le condizioni attuali, il lavoro
nel BE e, ancora di più, l’attività nei movimenti come militanti del Be,
rappresenta la migliore mediazione tattica per intercettare settori militanti, e
quella che offre maggiori possibilità di costruzione partitica, a partire dal
nostro inserimento nei movimenti giovanili e nel settore bancario.
Nel caso
della Corriente Roja (Cr) nello Stato spagnolo, a differenza del Portogallo, non
lavoriamo entro un quadro di “partito anticapitalista”, bensì in un fronte di
sinistra progressivo (centrista progressivo) che formiamo assieme a settori
radicali provenienti dal Pce che, al pari nostro, sono fuoriusciti da Iu,
rompendo con l’elettoralismo e l’adattamento al regime monarchico che sono
caratteristiche sia di Iu che del Pce. Sono presenti in Cr livelli di rottura
diseguale rispetto lo stalinismo, vi sono molte posizioni filochaviste e
filocastriste (ma sempre più in crisi) e persiste un gruppo minoritario di
matrice apertamente stalinista. Fallito il progetto di una “rifondazione
comunista” spagnola, Corriente Roja si è costituita come forza motrice di un
blocco anticapitalista della militanza operaia e giovanile. Sue basi fondative
sono: 1. l’indipendenza di classe; 2. l’organizzazione dell’opposizione di
sinistra al governo Zapatero; 3. l’appoggio e la promozione delle mobilitazioni;
4. la costruzione dal basso, senza ripartizioni dirigenziali sulla base di
spartizioni di vertice. Il nostro lavoro in seno a CR e, più ancora, il lavoro
nei movimenti come militanti di Cr, ci permette di avere un raggio d’azione più
esteso di quello che abbiamo come partito, e di guadagnare così maggior
influenza. Se la lotta di classe conoscerà un rilancio nel prossimo periodo e,
allo stesso tempo, non commetteremo gravi errori politici, il progetto di Cr
potrà trasformarsi in un referente per l’avanguardia militante, creando così un
grosso ostacolo alla costruzione di un “partito anticapitalista a base larga” in
versione spagnola.
Nel caso belga, si sono succedute recentemente due
iniziative a favore di un “partito anticapitalista”, promosse separatamente
dalle sezioni del Cwi (Militant) nelle Fiandre e del Su in Vallonia, entrambe
con finalità schiettamente elettorali. Tali iniziative, non consolidatesi, hanno
dato luogo ad una conferenza di 600 persone a Bruxelles (la maggioranza delle
quali senza partito), il che è una cifra rilevante per un Paese dalle dimensioni
del Belgio. Nel frattempo, persiste un partito di impronta stalinista, il Ptb,
con una certa base elettorale (15 consiglieri municipali) e una certa influenza
su alcuni settori operai.
18. In Europa, il programma rivoluzionario, per definirlo
come tale, inizia con la denuncia e la lotta contro il proprio imperialismo,
quello europeo e quello dei singoli Paesi, combattendo ogni aggressione militare
contro i popoli coloniali e semi-coloniali ed esigendo la chiusura delle basi
Nato e lo scioglimento di questa alleanza militare imperialista. Attualmente, la
lotta per il ritiro delle truppe europee dall’Afghanistan e dal Libano (e dallo
stesso Iraq per quei Paesi, come la Gran Bretagna, che vi mantengono contingenti
militari) detiene un’importanza centrale. Esigiamo anche la moratoria del debito
estero dei Paesi dipendenti e la restituzione a codesti Paesi delle imprese e
delle risorse rubate, denunciamo i governi di questi Paesi come agenti
dell’imperialismo.
La lotta contro le leggi sull’immigrazione, contro le
espulsioni, per la regolarizzazione, per l’eguaglianza dei diritti democratici,
sociali e religiosi dei lavoratori migranti, è parte distinta del programma
rivoluzionario nei Paesi dalla Ue. La denuncia e l’energica lotta contro la
xenofobia e il razzismo si sono trasformate in elemento essenziale per
affrontare il carattere reazionario dei governi, le bande fasciste, e per
costruire l’unità della classe operaia.
19. Il programma rivoluzionario in Europa ha per obiettivo
esenziale la lotta contro le delocalizzazioni, le serrate delle imprese e contro
i licenziamenti; per le 35 ore senza perdita di salario; la difesa del sistema
pensionistico pubblico; per il salario minimo, un sistema di protezione sociale
e una legislazione del lavoro unificati per tutta la Ue; per dei servizi
pubblici gratuiti e di qualità per tutta la popolazione; per l’abolizione delle
leggi reazionarie sull’immigrazione, per l’eguaglianza dei diritti; contro la
xenofobia e il razzismo; contro l’imperialismo europeo, per la solidarietà con i
popoli dei Paesi aggrediti; per il ritiro delle truppe europee di occupazione;
per lo scioglimento della Nato e lo smantellamento delle sue basi; per
l’abolizione del debito estero e la restituzione delle imprese e delle risorse
naturali ai Paesi dipendenti che ne sono stati spogliati; contro l’attacco ai
diritti democratici dietro il paravento della “lotta al terrorismo”; per il
diritto all’autodeterminazione dei popoli oppressi di Europa…Sono queste le basi
di un impegno di lotta il cui obiettivo ultimo può essere soltanto
l’espropriazione del capitale e l’edificazione, sopra le rovine della Ue, degli
Stati Uniti Socialisti d’Europa, che pongano fine alla disoccupazione, alla
precarietà e all’oppressione sul continente, e mettano le ingenti risorse
europee al servizio della maggioranza della popolazione e della liberazione dei
popoli del mondo.
20. Attualmente, in buona parte d’Europa esistono diverse
varianti di governi di collaborazione di classe, impegnati a dar continuità alle
offensive neoliberiste contro i lavoratori e a sostenere l’interventismo
imperialista all’estero. E’ il caso del governo di “grande coalizione” tra l’Spd
e la destra tedesca presieduto da Angela Merkel. E’ il caso del governo
monocolore di Socrates (Psp) in Portogallo che, dopo esser stato eletto con il
voto maggioritario dei lavoratori, lancia contro di essi un brutale attacco
neoliberista. E’ il caso del governo Prodi, formato dai Ds, diverse formazioni
borghesi e Rifondazione comunista, e appoggiato dalla burocrazia della Cgil. E’
pure il caso del governo monocolore social-liberista di Zapatero, insediato
sotto la spinta del movimento anti-guerra, appoggiato dagli apparati sindacali
(Cc.Oo e Ugt) e sostenuto da un blocco parlamentare con Iu, l’Erc, e formazioni
nazionaliste borghesi minori della Catalogna e dei Paesi baschi.
Con la scusa
della crescente polarizzazione sociale, la “sinistra di governo” chiama ad
appoggiare tali esecutivi al fine di “sconfiggere la destra e l’estrema destra”.
Questi stessi argomenti sono utilizzati da alcuni settori della stessa “estrema
sinistra” per giustificare la loro capitolazione davanti a questi governi. Ma
non c’è politica rivoluzionaria che non passi per la denuncia e la
contrapposizione alle misure di questi governi e lo smascheramento della loro
natura. Per questo, il nostro profilo politico si qualifica con la costruzione
dell’opposizione di sinistra a questi governi. In Italia i compagni del PC-Rol
(oggi PdAC) combinano giustamente la denuncia del governo Prodi con l’appello a
Rifondazione comunista e alla Cgil affinché rompano con esso.
21. L’offensiva neoliberista dei diversi governi e padronati
europei contro le conquista sociali detiene nella burocrazia sindacale,
raggruppata su scala europea nella Ces, un complice necessario e fondamentale.
Il rifiuto operaio – in particolare nei settori giovanili e maggiormente
sfruttati – della politica arrendevole della burocrazia, ha trovato espressione
diseguale nei diversi Paesi europei, poiché – parallellamente a ciò che succede
sul terreno politico – persiste un grave ritardo nella costruzione di correnti
classiste di opposizione alla burocrazia.
Vi è un importante differenza tra
il Nord Europa (dove l’opposizione si esprime in maniera quasi esclusiva in seno
ai grandi apparati socialdemocratici tradizionali) e i Paesi mediterranei come
Spagna e Italia – con diverse tradizioni e diversi meccanismi di rappresentanza
del mondo de lavoro – nei quali sono sorti sindacati minoritari di opposizione
contrapposti alle confederazioni tradizionali. In Italia, accanto ad
un’opposizione interna alla Cgil (la Rete 28 Aprile) diretta da settori di
sinistra della burocrazia, sono sorti diversi sindacati di base (Cub-Rdb,
Confederazione Cobas, Slai Cobas) che costituiscono l’opposizione maggiormente
attiva ai programmi di Prodi.
Nello Stato spagnolo, diversamente dall’Italia,
non esiste un’opposizione interna alla direzione burocratica in nessuna delle
due confederazioni, Ugt e Cc.Oo (entrambe dichiarano un’affiliazione del 10%
della popolazione lavoratrice). Per gli iscritti a queste due centrali la vita
sindacale è pressoché inesistente e i locali del sindacato sono deserti. Fino a
pochi anni fa, il movimento dei “Criticos de Cc.Oo”, diretto da un settore della
burocrazia vincolata al Pce, e nel quale abbiamo partecipato, era relativamente
attivo, ma ormai è spirato per inazione, fagocitato nell’apparato burocratico.
Complessivamente, l’opposizione alla burocrazia concertativa si presenta
alquanto frammentata: nei sindacati nazionalisti (che in Galizia e nei Paesi
baschi sono maggioritari), nei sindacati di categoria, nei coordinamenti
territoriali del “sindacalismo alternativo” e nella Cgt, un sindacato di
ispirazione anarco-sindacalista, molto settario, con un’ampia autonomia delle
sue organizzazioni territoriali.
Nel caso portoghese, come abbiamo già
riportato, la Cgtp, dominata dal Pcp, mantiene un alto grado di controllo sul
movimento operaio, senza che siano sorte tendenze di opposizione al suo interno.
La Ugt portoghese, diretta dal Psp, è la centrale minoritaria. Il suo principale
sindacato è quello bancario, dove siamo animatori della corrente critica Mudar,
con un peso specifico importante tanto nel sindacato che nella categoria.
La
politica sindacale dei nostri gruppi deve essere incentrata nella costruzione di
opposizioni sindacali di classe alla burocrazia, attorno alle bandiere della
mobilitazione contro i piani governativi e padronali, dell’unità di classe e
della democrazia operaia. Questo compito esige di appoggiarsi ai raggruppamenti
di opposizione realmente esistenti e mantenere un impegno sistematico per
trovare il modo di collegarli ai conflitti reali e ai settori combattivi.
Implica pure una battaglia permanente per coordinare e sviluppare accordi per
l’unità d’azione tra i vari settori dell’opposizione alla burocrazia, portando
tali sviluppi il più lontano possibile.
Il compito di costruzione di correnti
classiste di opposizione è un compito alquanto complesso e, comunque, è basilare
per acquisire un salto nella nostra implementazione nella classe, nei suoi
settori più combattivi, dialettizzandosi con l’attivismo che ne esce.
E’
anche condizione per educare i/le nostri/e militanti al compito di direzione
della classe.
Uno dei maggiori rischi che possiamo incontrare è la caduta nel
propagandismo sterile, che abbandona la lotta pratica per organizzare
l’opposizione classista. Costruire una direzione classista alternativa alla
burocrazia non è il risultato di proclami propagandistici ne dello spontaneismo:
esige che i militanti rivoluzionari si attivino sin da ora a gettare le basi per
detta costruzione.
Bisogna altresì combattere contro le deviazioni
sindacalistiche, che dissociano la lotta sindacale dalla lotta politica e
riflettono la pressione della burocrazia sindacale e quella delle correnti
antipartito. Al di là dell’obbligata diffusione della propaganda rivoluzionaria
nei centri di socializzazione del lavoro, come marxisti rivoluzionari non
limitiamo la nostra attività sindacale alle rivendicazioni immediate. Al
contrario, in accordo con la situazione concreta e con la consistenza delle
nostre forze, sviluppiamo iniziative di transizione tra queste rivendicazioni
immediate e questioni economiche, sociali e politiche generali che coinvolgono
la condizione di vita della classe operaia. Ad esempio, non può accadere che
battaglie decisive come quelle per il diritto all’alloggio, per la difesa delle
pensioni pubbliche o la difesa della scuola pubblica, siano condotte al di fuori
dei luoghi del lavoro, come se fossero tematiche estranee alla classe
operaia.
22. I programmi sulla formazione e istruzione dei governi
della UE seguono il passo segnato dal cosiddetto Processo di Bologna
(sottoscritto nel 1999 dai ministri dell’istruzione, grande impresa, personalità
accademiche), basato sull’Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (Agcs)
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). Attraverso la dichiarazione di
Bologna, si pretende di applicare criteri di libera concorrenza imprenditoriale
nell’istruzione universitaria. Gli eurocrediti, la struttura dei titoli
universitari, la mobilità accademica, i costi esorbitanti, l’apertura alle
trasformazioni imprenditoriali, la precarizzazione del personale docente…sono
gli strumenti che accompagnano i progetti destinati allo smantellamento
dell’università pubblica e la sua privatizzazione mascherata.
Circa
l’istruzione secondaria, i governi avanzano con l’applicazione delle linee guida
del programma europeo Pisa (Programma per la valutazione internazionale degli
studenti), promosso dall’Ocse, la cui essenza è la selezione di classe degli
studenti attraverso l’accertamento di conoscenze e competenze a quindici anni di
età. Gli studenti, una volta “valutati”, a secondo del risultato ottenuto,
vengono forzatamente indirizzati verso un determinato percorso formativo. La
maggioranza è incanalata verso percorsi per lavori a bassa qualifica, senza
possibilità di accesso all’università. Mentre agli istituti secondari privati
rimangono, normalmente, quei percorsi formativi che poi fanno accedere
all’università, alla scuola pubblica rimangono i percorsi inferiori.
La
propulsione della lotta contro le varie traduzioni governative del Processo di
Bologna e del Pisa deve diventare un’asse dell’attività e una bandiera di lotta
delle sezioni europee della Lit-Ci.
23. Il coordinamento e l’unificazione delle mobilitazioni
operaie e popolari su scala europea è una necessità vitale che affronta, in ogni
caso, grandi ostacoli. E’ compito delle sezioni della Lit promuovere iniziative
di lotta su scala europea, per modeste che siano in principio. Un esempio è
stato l’appello congiunto di Cnsp, Atraie e la Udep a mobilitarsi in difesa dei
lavoratori migranti. Questo terreno, come quello del ritiro delle truppe, è
propizio per attivare iniziative a larga sensibilità. Lo stesso può dirsi, se
disponiamo di una massa critica sufficiente, circa l’unificazione delle forze
sul terreno dell’opposizione sindacale e delle lotte
studentesche.
Congiuntamente a questa attività, procediamo nello sviluppo
dell’elaborazione politica nel quadro della Lit e avanziamo, in breve, verso
l’obiettivo centrale: configurare una direzione europea della Lit.
(traduzione di Sabrina Pattarello e Fulvio
Zorzenon)