Partito di Alternativa Comunista

Costruendo l'Internazionale

COSTRUENDO L'INTERNAZIONALE
 
Come sanno i compagni che seguono l'attività del PdAC, il nostro partito è partecipe, in quanto sezione italiana, della costruzione della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale (Lit-Ci), organizzazione con sezioni in molti Paesi di tutto il mondo, impegnata nel lavoro di ricostruzione dell'Internazionale rivoluzionaria dei lavoratori, la Quarta Internazionale.

1) Sabato sera si è tenuta a San Paolo (Brasile) una importante manifestazione internazionale della Lit, ospitata dal Pstu (la sezione brasiliana, che è anche la principale forza dell'estrema sinistra in quel Paese, partito di opposizione al governo Lula). L'assemblea di sabato era convocata per rendere omaggio a Nahuel Moreno, dirigente trotskista (di cui ricorrono i venti anni della morte), fondatore della Lit. Tra i relatori, in un palasport riempito da diverse migliaia di persone, anche Valerio Torre, dirigente del PdAC. Il filmato (davvero emozionante) con le riprese in diretta è scaricabile dal sito del Pstu (www.pstu.org.br).

2) Nel quadro del lavoro comune con le sezioni europee della Lit, è stato elaborato nei mesi scorsi, in un seminario tenuto a Madrid (cui partecipava per il PdAC la compagna Fabiana Stefanoni), un documento a tesi sulla battaglia dei rivoluzionari in Europa contro l'imperialismo europeo. Qui sotto potete leggere il testo.
 
3) Segnaliamo infine che nei prossimi giorni sarà attiva sul nostro sito web una nuova sezione multilingue con documenti del PdAC tradotti in spagnolo, portoghese, francese, inglese, ecc.
 

Buona lettura.

 

 

Una politica rivoluzionaria per l’Europa
 
testo delle sezioni europee della Lega Internazionale dei Lavoratori
 

Introduzione
 
Queste tesi costituiscono un documento aperto di lavoro, contenente i principali contributi dati alla discussione che ha avuto luogo durante le giornate europee promosse dal Prt-Ir, sezione spagnola della Lit nel novembre scorso. Il dibattito è stato utile per integrare l’esperienza militante dei compagni e delle compagne del Prt-Ir spagnolo, del portoghese Ruptura-Fer, dell’Lct del Belgio e dell’inglese Isl – tutti membri della Lit-Ci – così come del Pc-Rol, l’organizzazione trotzkista italiana che ha rotto con Rifondazione Comunista quando il partito è entrato a far parte della coalizione di governo di Romano Prodi, e della Frazione Pubblica di Lutte Ouvrière. Attualmente il Pc-Rol si è costituito in Partito di Alternativa Comunista (PdAC) ed è divenuto la sezione italiana della Lit-Ci.

Il dibattito estremamente fecondo svoltosi durante le giornate europee, ci ha permesso di confrontare i punti di vista delle diverse nazioni e di sviluppare il nostro lavoro, partendo da una visione europea della militanza rivoluzionaria. Il lavoro sinergico e l’elaborazione comune, accompagnati dal crescente radicamento  tra i lavoratori e la gioventù europea, ci consentiranno di compiere nuovi passi in avanti.
 

1. Tra gli intellettuali e tra la sinistra europea esiste una marcata tendenza a identificare gli Stati Uniti come unico Paese imperialista. A questa sinistra piace contrapporre il “modello sociale e democratico” dell’Unione Europea (Ue) all’imperialismo statunitense, neoliberale e bellicista. Ma nella sua essenza la Ue ha carattere di blocco regionale imperialista. Lo zoccolo duro è formato da due grandi potenze tra loro rivali, Germania e Francia, in competizione con la Gran Bretagna (che continua a mantenere “relazioni speciali” con gli Stati Uniti). Attorno a questo nucleo si raggruppano imperialismi di second’ordine, come quello italiano, spagnolo e altri e, a livello ancora inferiore, i Paesi dell’Est, “annessi” tramite il processo di ampliamento e sottoposti ad un processo di ricolonizzazione da parte delle grandi multinazionali europee, soprattutto tedesche (senza dimenticare quelle nordamericane).
 
2. L’Unione Europea non ha altra scelta che accettare l’egemonia mondiale statunitense. In  seguito alla Seconda Guerra Mondiale l’Europa continua a mantenere una posizione secondaria rispetto agli Usa, e la creazione della Ue non ha cambiato questa impostazione di fondo. Né ora né in un futuro attualmente prevedibile esistono le condizioni economiche, politiche e militari perché la(e) borghesia(e) imperialista(e) europea(e) si erga ad alternativa al dominio Usa. La sottomissione europea si esprime nell’accettazione da parte della Ue dell’occupazione nordamericana dell’Iraq e nell’appoggio al governo titolare; nella massiccia partecipazione all’occupazione militare dell’Afghanistan e nel recente invio di truppe europee in Libano, su incarico di Usa ed Israele. Il testo costituzionale europeo, che fruttò il No francese, designa la Nato, dominata dagli Stati Uniti, quale “fondamento di sua difesa collettiva e organismo esecutivo di essa”.
 
3. L’Unione Europea rappresenta, in prima istanza, la piattaforma comune di partenza che consente agli imperialismi europei di aggredire i lavoratori del continente. Tutti i governi, a prescindere dal colore, riconoscono unanimemente che mai avrebbero potuto sostenere con tale successo i loro piani neoliberali se non avessero potuto fare affidamento sulla Ue. Durante il Vertice di Lisbona del 2000, i governi che compongono la Ue si impegnarono a rendere l’Europa “la regione più competitiva al mondo”, ponendosi l’obiettivo di raggiungere e superare gli Usa. Ma sarà possibile arrivare a questo traguardo solo imponendo un recesso storico alle conquiste sociali e lavorative acquisite dalla classe operaia europea a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questa è una delle grandi ragioni che spingono a far parte della Ue. I governi europei, di qualunque segno, hanno applicato successive riforme che hanno “reso flessibile” il mercato del lavoro e precarizzato l’impiego. Hanno compiuto “riconversioni industriali”. Hanno ridotto pensione pubblica e diritti sociali. Hanno liquidato sanità e istruzione pubblica, procedendo alla loro progressiva privatizzazione. Hanno imposto un ribasso generale dei salari, specialmente a partire dall’entrata in vigore dell’euro. Durante gli anni Novanta, i governi europei hanno privatizzato una parte essenziale del patrimonio statale, realizzando un introito di 215 milioni di euro (pari al 42% del totale mondiale). In Paesi quali la Spagna tendono a riaffiorare, convertendosi in un dramma per le nuove generazioni proletarie, vecchi problemi (come quello abitativo) che sembravano essere stati  definitivamente “superati” negli ultimi quarant’anni. L’offensiva neoliberale è strettamente collegata alla configurazione di una nuova divisione del lavoro a livello internazionale, che si esplica nelle delocalizzazioni verso i Paesi dell’Est Europa e dell’Asia, divenuti riserve di mano d’opera a basso costo, dequalificata e priva di diritti; nella creazione di piattaforme per l’immigrazione verso i Paesi della Ue e nella destinazione assegnata alle esportazioni delle grandi multinazionali.
 
4. L’Unione Europea rappresenta la piattaforma imperialista congiunta dei grandi gruppi capitalisti europei e dei loro governi per la ricolonizzazione dell’Est europeo e per la difesa della propria parte di bottino dalla voracità statunitense (e giapponese). La politica estera della Ue è marcata da una chiara preponderanza dell’asse franco-tedesco, al quale si adeguano gli imperialismi minori. La conformazione di questa piattaforma ha preso le mosse dal processo di accentramento di capitali attraverso la fusione e l’acquisizione di imprese, fenomeno particolarmente esteso negli anni Ottanta e Novanta, in particolare alla fine del ’90. Tra gennaio e maggio del 2006, l’importo di queste operazioni superava quasi la cifra congiunta del 2005, pari a 924 milioni di euro. Il processo di accentramento di capitali punta attualmente sulle grandi compagnie energetiche, di telecomunicazioni o sui gruppi bancari. Un esempio chiaro – considerando le tensioni e le contraddizioni che lo caratterizzano   è quello dell’Opa della tedesca E.on nei confronti della spagnola Endesa.
 
5. La Ue rappresenta l’ultimo e contraddittorio tentativo da parte delle potenze imperialiste europee di unificare il continente percorrendo la via pacifica. La Ue riflette l’alto grado di unificazione economica del continente e l’imperiosa necessità di eliminare le frontiere e gli Stati nazionali. Ciò nonostante è, contemporaneamente, la negazione di tutto questo, perché le borghesie imperialiste non hanno alcun potere a prescindere dai loro singoli Stati. I capitalismi europei hanno unificato il mercato interno e la moneta, e le loro multinazionali hanno completa libertà di movimento all’interno della Ue. Però, d’altro canto, essi si rifiutano di unificare la legislazione sociale e del lavoro. Non sono nemmeno disposti a unificare le imposte sui salari e su altre rendite e benefici. Il capitale tenta quindi  di approfittare delle enormi differenze  esistenti tra i vari Paesi per frammentare i lavoratori e imporre un recesso sociale generalizzato. Le potenze europee manterranno saldi i presupposti nazionali, tramite la polizia, l’esercito e la capacità di veto in ambito di politica estera e di difesa. I diversi capitalismi europei manterranno le alleanze che contrappongono i Paesi gli uni agli altri (denominandole cooperazioni rafforzate) e continueranno ad essere subordinati e divisi rispetto agli Stati Uniti. Il bilancio della Ue è ridicolo di fronte ai bilanci di ciascun singolo Stato. Tutte le questioni fondamentali vengono regolate tra i grandi governi e le multinazionali. Da essi dipende la Commissione Europea, e il Parlamento Europeo non è nient’altro che un paravento democratico per giustificare tutto ciò. I forti conflitti che sorgono ogni volta che si discute delle prospettive finanziarie della Ue o, come di recente, dell’approvvigionamento energetico, riflettono il fatto che la Ue non è solo una piattaforma imperialista comune con lo scopo di attaccare i lavoratori e disputarsi una parte del bottino imperialista con gli Usa. La Ue rappresenta al pari il campo dove si combatte la battaglia per l’egemonia dell’Europa, dove la potenza imperialista tedesca non deve essere messa in discussione.
 
6. Ne consegue che nessuna grande potenza può intendere l’unificazione dell’Europa se non sulla base dei propri interessi imperialisti: l’unificazione europea non si realizzerà per mano della borghesia e dei governi imperialisti. Chi predica un’unità europea basata sull’ “Europa del bene comune” (Susan George e il movimento Attac), “la rifondazione dell’Unione Europea” (Bloco de Esquerda portoghese) o “l’Europa dei popoli, democratica, socialista e pacifica” (Conferenza della Sinistra Anticapitalista, formata dalla Lcr, dall’inglese Swp, dal Bloco portoghese e dallo scozzese Ssp) ci ripresenta un remake poco originale  delle vecchie e reazionarie utopie del riformismo europeo.

Citando Trotsky nel 1929, diciamo alle potenze europee: “Per unificare l’Europa è necessario, innanzitutto, strappare il potere dalle vostre mani. Noi unificheremo l’Europa. La unificheremo in contrapposizione all’ostile mondo capitalista. La trasformeremo in una poderosa base d’appoggio del socialismo combattivo. Ne faremo la pietra angolare della federazione socialista mondiale”. Una vera unificazione dell’Europa si otterrà solo tramite la formula degli Stati Uniti Socialisti d’Europa. Questa consegna è il nodo cruciale del programma rivoluzionario in Europa.
 
7. La progressiva spoliazione perpetrata dal capitalismo sta spingendo la maggioranza della gioventù dei Paesi coloniali e semicoloniali  a cercare salvezza nell’emigrazione verso le metropoli. Nel caso della Ue, il massiccio afflusso di lavoratori extracomunitari immigrati si unisce al potente flusso migratorio proveniente dai Paesi dell’Est (alcuni dei quali “importano”, a loro volta, manodopera asiatica). La borghesia imperialista europea, malgrado i conflitti generati da questi arrivi anarchici e compulsivi, “accetta” questi contingenti perché le servono come manodopera a buon mercato da utilizzare per fomentare divisioni all’interno della classe lavoratrice, precarizzare l’impiego, abbassare i salari e aumentare così il tasso di sfruttamento.

Disdegnati dai grandi apparati sindacali e dalla sinistra istituzionale, i lavoratori migranti si vedono privati dei più  basilari diritti democratici; sono oggetto di una repressione poliziesca mirata e vengono costretti a vivere in ghetti, in condizioni di brutale diseguaglianza sociale rispetto alla popolazione nativa. In Paesi come la Francia, i nuovi immigrati vanno ad aggiungersi ai migranti di seconda o terza generazione. Sono stati questi settori giovanili, composti da figli di immigrati già installatisi nel Paese, condannati a vivere nelle periferie più squallide e a svolgere i lavori peggiori, a rendersi protagonisti della rivolta delle banlieues.

I lavoratori immigrati costituiscono una parte sostanziale della classe operaia europea, e hanno un forte peso specifico nel settore edile, agricolo o in determinati settori dei servizi.

In Paesi come la Spagna, che ha vissuto una poderosa ondata migratoria durante gli ultimi dieci anni, raggiungono il 15% della popolazione dei lavoratori salariati; in regioni come la Catalogna la percentuale sale al 22% e in alcune province agricole, come Lérida, si suppone arrivi al 52%.

I governi della Ue, sia di destra che di “sinistra”, hanno promosso una vera crociata contro “l’immigrazione illegale”: chiudono le frontiere, espellono i migranti senza permesso di soggiorno, inaspriscono le leggi sull’immigrazione e sul diritto d’asilo e vincolano esplicitamente la legalità al possesso di un contratto di lavoro. Alimentano il razzismo e la xenofobia, associando l’immigrazione al degrado dell’educazione e della sanità e alla delinquenza, se non al terrorismo, come succede nel caso di immigrati di origine araba.

Attraverso meccanismi comunitari come il Frontex (preposto al “controllo delle frontiere estere”) e di accordi bilaterali, stanno militarizzando le coste africane e promuovendo la creazione di “campi di internamento” per immigrati illegali nei Paesi di destinazione e nei Paesi africani. Insieme a questi ultimi e ad alcuni Paesi asiatici, i governi della Ue firmano accordi  nei quali gli “aiuti economici” (associati per altro all’impianto in loco delle multinazionali europee) sono subordinati al rimpatrio degli immigrati, alla repressione dell’immigrazione e alla vigilanza delle frontiere. Resta da aggiungere ,come segnala l’Appello ai popoli d’Africa e d’Europa (siglato da Cnsp, Atraie e Udep), che questa rozza politica imperialista non sarebbe perseguibile senza la complicità dei governi coloniali africani, attuale reincarnazione dei vecchi commercianti di schiavi.
 
8. Il No francese alla Costituzione Europea del maggio del 2005 ha segnato la maggior vittoria politica delle masse europee da molto tempo a questa parte. Quando la macchina neoliberale sembrava inarrestabile, i lavoratori e i giovani francesi, a nome loro e per conto dei popoli del continente, tennero testa alla borghesia europea e dimostrarono che la si poteva vincere. Il No fece cadere il governo francese, investì la Presidenza della Repubblica e mise in pericolo la Costituzione Europea. Il No, delegittimando la Ue, il governo e il parlamento ( il 90% dei deputati francesi era a favore del Trattato!) e ripudiando i loro piani liberali, ha aperto un’importante breccia in Francia e in Europa. Il No francese, e più tardi quello olandese (che gettarono nel panico i governi europei, dissuadendoli dal proporre altri referendum) smontarono transitoriamente l’ipotesi della Ue di “inserire formalmente nella Costituzione” il neoliberismo e il militarismo europei, impedendo che i governi si accordassero su un piano alternativo. Il No ottenne anche di mitigare alcuni degli aspetti più brutali dell’offensiva neoliberale, come il cosiddetto “principio del Paese d’origine” della Direttiva Bolkenstein (di liberalizzazione dei servizi pubblici).

Però le borghesie europee non hanno rinunciato all’offensiva neoliberale contro le conquiste e i diritti dei lavoratori. Hanno continuato ad attaccare i diritti e le libertà democratiche, con la scusa della lotta al terrorismo. Hanno accentuato l’interventismo militare, aggiungendo alla partecipazione piuttosto subordinata in Afghanistan (dove coprono le spalle alle truppe statunitensi impantanate in Iraq), l’intervento in Libano, sottoposto ai piani di Usa ed Israele. Senza dimenticare gli interventi militari in Africa (ex-colonie francesi, Congo, ecc.), dove la Francia, storica potenza coloniale, viene messa sempre più in ombra dagli Stati Uniti.
 
9. L’offensiva neoliberale si esprime con diversa virulenza da Paese a Paese. Il Portogallo affronta attualmente una grave crisi economica, con chiusure di fabbriche, un tasso di disoccupazione al 10% ( che sale al 16% tra i giovani) in un Paese che per molto tempo non ha conosciuto questo problema, e con la precarietà che affligge tra il 60 e il 70% dei giovani. La borghesia portoghese, premiata dalla Ue – che esige il rispetto del “patto di stabilità” europeo – ha repentinamente sferrato i maggiori attacchi da dopo il 25 aprile 1974: ribasso dei salari nel settore pubblico, taglio di 75.000 posti di lavoro, riforma della pensione pubblica, aumento delle tasse ospedaliere ed universitarie, diminuzione del sussidio di disoccupazione, chiusura di centri medici pubblici e consultori. Esecutore di questa operazione è il governo socialdemocratico di Socrates. L’esperienza portoghese serve da spauracchio quando in altri Paesi giungono periodi di vacche magre. Anche nei Paesi dell’Est, dove la classe lavoratrice è duramente colpita, il raggiungimento delle condizioni necessarie all’ingresso nella Ue e nell’euro spinge il governo a colpire le condizioni d vita della popolazione. In Grecia il governo di destra, costretto a fronteggiare una delle classi operaie più combattive d’Europa, sta tentando di applicare duri piani neoliberali (portando avanti ciò che aveva iniziato il governo socialdemocratico del Pasok).

Nei Paesi dove esistono spazi di manovra più ampi, le riforme neoliberali vengono applicate dai governi in modo graduale, e normalmente con la complicità dei grandi apparati sindacali. E’ il caso della Spagna e del governo Zapatero, sostenuto da un blocco di governo del quale fa parte Izquierda Unida, la coalizione elettorale controllata da un  Pce preda di divisioni interne. Con le debite differenze, è lo stesso caso dell’Italia del governo Prodi (al quale partecipa Rifondazione Comunista), che ha accelerato al 2007 quanto previsto dalla berlusconiana Legge Maroni, per dare inizio alla prima fase di privatizzazione delle pensioni (che passerebbero ad essere gestite da Confindustria e dai sindacati). Il governo Prodi ha mantenuto le leggi di Berlusconi sul lavoro precario e sui Cpt e si prefigge di portare a compimento i piani neoliberali che Prodi non ebbe tempo di applicare durante il suo primo mandato nel 1996. La borghesia europea, impegnata in quella che potremmo definire una politica di “reazione democratica”, quando può e ne trae vantaggio non esita ad integrare nel suo apparato parlamentare e istituzionale le forze che, agli occhi delle masse, sembrano posizionate più a sinistra, come nel caso di Bertinotti e compagnia. Nello stesso modo ha teso una mano ai movimenti nazionalisti radicali, come l’Ira-Sin Feinn dell’Irlanda del Nord. E sta tentando di fare lo stesso, per ora senza successo, con Eta e Batasuna nei Paesi Baschi, nell’ambito di un “processo di pace” giunto al collasso.
 
10. In Europa, in seguito alle grandiose mobilitazioni del movimento contro la guerra che ebbero luogo nel 2003, si è registrato un forte crollo. Un crollo parallelo a quello del movimento No Global e dei Social Forum che hanno perso progressivamente combattività e adesioni, rivelandosi sempre più digeribili per la socialdemocrazia e la burocrazia sindacale.

In questo periodo abbiamo vissuto – con notevoli differenze tra Paese e Paese – importanti mobilitazioni operaie e popolari. Nel 2004 in Germania dell’Est hanno avuto luogo le “mobilitazioni del lunedì”, contro i piani di austerità del governo Schröder. In Italia sono stati indetti scioperi generali contro le misure del governo Berlusconi e attualmente scioperi e manifestazioni contro il governo Prodi. Tuttavia si tratta di mobilitazioni minoritarie dirette dalle diverse sigle sindacali di base. Il 17 novembre 2006 sono scesi in piazza 300.000 manifestanti in tutta Italia, anche se l’impatto di questo sciopero è risultato mitigato dal non aver concentrato tutte le forze in un unico grande corteo a Roma. La Fiom si è accodata alla manifestazione del 4 novembre scorso contro la precarietà e ha fornito un appoggio passivo alla mobilitazione del 17 novembre, e per questo ha subito minacce da parte della direzione della Cgil. Il 15 marzo del 2006 ha avuto luogo in Grecia uno sciopero generale, il quinto e più riuscito nel corso dell’anno. Il Belgio, dopo 12 anni di pace sociale, ha vissuto due scioperi generali nell’ottobre del 2005, intervallati tra loro di sole tre settimane: nella prima fase i lavoratori riuscirono ad imporsi sugli apparati sindacali (elemento cardine della “concertazione sociale” belga), ma nella seconda occasione furono sconfitti usando l’arma delle precettazioni. La mobilitazione più recente – novembre del 2006 – si è svolta contro la chiusura dell’impianto della Volkswagen nel Furest, l’ultima grande fabbrica di Bruxelles, dove 10.500 lavoratori (diretti e appartenenti all’indotto) rischiano di perdere il posto. Il sindacato ha consigliato loro di “accettare tutto con dignità”.

In contrasto con il riflusso spagnolo successivo alla costituzione del governo Zapatero, il Portogallo ha vissuto mobilitazioni di massa, che segnano il risveglio della classe lavoratrice portoghese, passiva da molto tempo. La lotta ha visto protagonisti soprattutto i lavoratori del settore pubblico. Il 5 ottobre del 2006 gli insegnanti proclamarono sciopero generale, e marciarono in 20.000 a Lisbona, dando vita alla maggior manifestazione del personale docente di tutti i tempi. Separatamente, una settimana dopo, la Cgtp dichiarò sciopero generale nel Pubblico Impiego, che registrò a sua volta una massiccia partecipazione, ed organizzò una marcia di 90.000 persone, la più grande dal 1982. La Cgtp è la maggiore sigla sindacale, ed è dominata dal Pcp; esercita un alto grado di controllo sui lavoratori, malgrado ciò al suo interno non hanno preso vita correnti di sinistra critica. In Gran Bretagna ci sono mobilitazioni, ma isolate e dispersive La Francia ha continuato a rivestire un ruolo di avanguardia, portando avanti le grandi lotte iniziate nel 2003 contro la riforma delle pensioni e con il No alla Costituzione europea del maggio 2005. La scorsa primavera, nel corso di 10 settimane, gli studenti si sono mobilitati con successo contro il Contratto di Primo Impiego (Cpe), forti dell’appoggio della classe operaia francese e della partecipazione attiva di un settore di essa. La base si organizzò su scala nazionale, furono occupate università e licei e si organizzarono manifestazioni di massa.

Le mobilitazioni, ciò nonostante, non sono in grado di superare le frontiere nazionali e importanti lotte, come quelle del Portogallo, sono praticamente misconosciute nelle vicina Spagna. Al pari, la sinistra sindacale europea muove all’interno di confini nazionali isolati.

Sul terreno prettamente politico, la Francia è il punto più avanzato nella configurazione di un raggruppamento di massa di sinistra, che a livello elettorale si coagula intorno alle candidature di Lcr e Lo, che puntano a presentarsi separatamente alle prossime Presidenziali. Per la prima volta dal dopoguerra abbiamo assistito ad alcuni processi di parziale rottura tra i partiti socialdemocratici in Germania (Lafontaine) e Francia (a campane contrapposte in occasione del referendum sulla Costituzione Europea). I Partiti Comunisti e le loro espressioni elettorali (come l’Iu spagnolo), vivono derive socialdemocratiche (con alcune eccezioni, come il Pc portoghese) e versano in uno stato di completa decadenza. Da parte loro, le burocrazie sindacali, integrate nel Ces, sono sempre più servili e si rendono complici dei piani neoliberali della borghesia e dei governi espressione di essa.
 
11. Il crescente scontento sociale sorto in seguito all’offensiva neoliberale, il blocco dell’ascesa delle proteste operaie e giovanili e la contemporanea assenza di una prospettiva rivoluzionaria rendono la società vittima delle proprie contraddizioni, le esacerba e conduce alla polarizzazione della vita politica e sociale. La crescente presenza, soprattutto elettorale, dell’estrema destra razzista in Europa è esemplare. Le Pen in Francia (al quale viene attribuita una previsione di voto alle Presidenziali pari al 17%), il Dpf danese, l’estrema destra vallona  o la lista elettorale Pim Fortuym in Olanda sono esempi evidenti di questo fenomeno.

Il crescente deterioramento delle condizioni lavorative e sociali, il pessimo stato in cui versano sanità ed educazione pubblica, il ribasso dei salari, la precarizzazione del lavoro vengono demagogicamente associati alla presenza di lavoratori immigrati. La xenofobia e il razzismo sono due bandiere dell’estrema destra. Altro elemento che utilizzano è il sentimento sempre più generalizzato tra la popolazione, specialmente tra i giovani e nei quartieri più disagiati, della mancanza di rappresentatività della democrazia borghese.

L’estrema destra è alla ricerca di una parte della sua base sociale nelle periferie operaie più povere e sfruttate, tra i disoccupati e coloro che sono privi di diritti. E’ proprio la politica criminale e claudicante dei governi “di sinistra” (e delle burocrazie sindacali) a dare adito a questo tipo di correnti fasciste.
 
12. Tuttavia su scala europea non esistono significative correnti di massa orientate verso un programma rivoluzionario. Nemmeno tra le avanguardie degli attivisti si registrano movimenti rilevanti in questo senso. Su questo terreno assistiamo generalmente ad un gran ritardo.

In cambio, desta attenzione l’avanzato stadio di degenerazione di organizzazioni come Rifondazione Comunista, che si presentava come il comunismo rifondato e unico argine alla socialdemocrazia. In seguito al suo ingresso nel governi Prodi, il partito di Bertinotti – grande referente europeo per i tanti naufraghi dello stalinismo ansiosi di “rifondare” un Partito Comunista – si è dimostrato fedele servo della borghesia italiana, profondamente integrato nell’apparato statale borghese, e si è eretto a difesa dell’invio di truppe in Afghanistan e in Libano e dei piani neoliberali del governo Prodi. Rifondazione consta di un ministro e Bertinotti è stato designato Presidente della Camera, ruolo in cui si è dimostrato strenuo difensore dello stato sionista d’Israele e ha partecipato al congresso dei postfascisti di Fini “a rappresentanza di tutto il popolo italiano”!

Occorre senza dubbio evidenziare un fatto molto importante: il tradimento di Rifondazione non solo ha portato sconcerto e demoralizzazione tra attivisti e settori di lavoratori, ma di pari misura ha portato alla fuoriuscita a sinistra dei compagni e delle compagne del Pc-Rol che, di fronte ad uno spazio politico inedito, si trovano ora in veste di principale organizzazione di sinistra di fronte alla “sinistra” che sostiene il governo Prodi. I compagni e le compagne si sono costituiti come forza indipendente, sulle basi di un programma trotskista e animati dalla ferma determinazione di costruire un partito rivoluzionario e ricostruire la Quarta Internazionale in Europa.

In Gran Bretagna si è costituita la coalizione Respect, sulla base del sabotaggio al movimento delle Socialist Alliances, che nelle intenzioni si prefiggevano di difendere l’indipendenza di classe e lavorare alla costruzione di una nuova direzione per la classe operaia inglese.

Uno dei suoi principali membri, l’Swp di Tony Cliff, considera ora Respect – formata da una coalizione dell’Swp con un ex parlamentare laburista riformista, Halloway (eletto deputato) e vari gruppi musulmani – un ostacolo al suo progetto interclassista e parlamentarista.
 
13. Le organizzazioni europee del Su (il vecchio “Segretariato Unificato della Quarta Internazionale”), a partire dalla sua nave ammiraglia, la Lcr francese, pur senza scendere al livello di Bertinotti, transitano lungo il medesimo percorso riformista. Da tempo il Su ha cessato di essere un’organizzazione rivoluzionaria e ha abbandonato dichiaratamente la lotta per ricostruire la Quarta Internazionale per trasformarsi in una federazione lassa costituita da partiti a loro volta lassi che, come dimostra la Ds brasiliana, entrano a far parte di governi borghesi filoimperialisti come quello di Lula.

Queste organizzazioni hanno rinunciato al programma rivoluzionario per presentarsi come difensori di un programma “anticapitalista” che propone un’Europa sociale, un parlamento europeo democratizzato e la riforma delle Nazioni Unite. Un programma, in definitiva, funzionale a mire elettoralistiche.

La sezione italiana del Su (la tendenza Erre di Rifondazione comunista, che conta un deputato e un senatore) ha votato in Senato a favore del finanziamento delle truppe italiane in Afghanistan e dell’agenda neoliberista di Prodi, con la motivazione che “non si può far cadere il governo delle sinistre”. Si è pure astenuta sull’invio di truppe italiane in Libano.

Nello Stato spagnolo, il Su è una federazione di piccole organizzazioni, senza seggi parlamentari e senza la possibilità di ottenerli. E’ parte di Izquierda Unida occupando alcune posizioni negli organi dirigenti. In Catalogna ha sostenuto, come “male minore”, il primo governo “tripartitico” e social-liberista (del quale ha fatto parte il ramo catalano di Iu: l’EUiA). L’asse della sua politica è stato “pungolare la sinistra al governo”. Recentemente, si è insediata la seconda edizione del governo “tripartitico” catalano, ma spostato più a destra rispetto quello precedente. Il principale dirigente di EUiA è diventato ministro alla pubblica sicurezza e ha lanciato un’ondata repressiva contro settori giovanili e militanti colpendo in particolare il movimento delle casas okupadas. L’organizzazione catalana del Su rivendica da allora la fuoriuscita di EUiA dall’esecutivo e reclama l’avvio di una discussione sulla politica di alleanze.

Il Su, in ogni caso, continua ostinatamente a rimanere in Izquierda Unida facendo diventare, a Barcellona come a Madrid, la partecipazione alle scaramucce per l’acquisizione di posizioni “strategiche” negli apparati di Iu l’asse della propria politica nello Stato spagnolo.
 
14. La proposta strategica del Su, ed in particolare della Lcr francese, è la costruzione di cosiddetti partiti anticapitalisti a base larga  che – aggiungiamo noi – sarebbero chiamati ad occupare lo spazio a sinistra degli apparati socialdemocratici. Si tratterebbe di “raggruppare i rivoluzionari con i riformisti onesti” in partiti o movimenti dal carattere essenzialmente elettorale, sulla base di programmi condivisi da tutti i partecipanti, ossia, programmi riformisti… In realtà, prospettano di costruire all’esterno, e su scala più grande, quello che il Su ha già costruito al suo interno: una federazione che incorpora di tutto, incluso un’organizzazione come la Ds brasiliana il cui massimo dirigente, Miguel Rossetto, è ministro della riforma agraria del governo Lula.

L’ultimo congresso della Lcr francese (dove la discussione principale riguardava la possibilità di alleanza con il Pcf nelle tornate elettorali del 2007) ratificava questa strategia. Il congresso affermava che la caduta del muro di Berlino e l’offensiva neoliberista “hanno modificato i confini e le divisioni della sinistra. Vi sono quindi due sinistre nella sinistra. Una dominata dall’ideologia e dalla pratica social-liberista [che si identifica con la socialdemocrazia contemporanea]…E l’altra [che] rifiuta i limiti e le imposizioni del sistema in una prospettiva di cambiamento reale [ne farebbero parte: l’estrema sinistra, il Pcf, gli altermondialisti di Attac e la stessa sinistra del Ps]. Divisi, i partiti dell’anticapitalismo sono deboli. Noi militiamo per la costruzione di una nuova formazione capace di esprimere i reali rapporti di forza a favore di una sinistra al 100% (…) Le vie per raggiungere tale obiettivo non sono evidenti. Per ora, e per una fase la cui durata non possiamo prevedere, la principale linea di demarcazione (… ) è quella che separa quanti pensano che per smantellare il neoliberismo sia necessario attaccare il capitalismo da coloro che propongono solamente di condizionare questo sistema con un’istanza  antiliberista”.

Il centro di gravità di questo orientamento evolve gradualmente verso l’elettoralismo, formando parte di un processo che finisce col trasformare un’organizzazione in un apparato elettorale. La  Conferenza della Sinistra Anticapitalista promossa dal Su e dal Swp britannico non ha posto nella sua agenda d’azione iniziative per aiutare l’unificazione delle lotte operaie o dei giovani presenti in Europa, per collegare i coordinamenti delle opposizioni sindacali alle burocrazie, o appoggiare congiuntamente le lotte dei lavoratori migranti. La sua principale attività internazionale si è ridotta ai Social Forum socialdemocratizzati. Per quanto riguarda Lutte Ouvrière (Lo), presa dalla stessa deriva elettoralista, la sua maggior attività internazionale è stata la propria Festa Annuale.

Questa organizzazione si caratterizza per il suo nazionaltrotskismo e per una combinazione di elettoralismo e di feticismo sindacale a livello aziendale. Tutte queste organizzazioni costituiscono seri ostacoli – e nel futuro probabilmente ancora di più – affinché le rotture con gli apparati riformisti e l’entrata di masse giovanili nella vita politica si orientino verso la costruzione di partiti rivoluzionari.
 
15. I “partiti anticapitalisti a base larga” propugnati dal SU non sono né partiti rivoluzionari né blocchi anticapitalisti progressivi (centristi progressivi) costruiti sulla base dell’indipendenza di classe. Al contrario, tali “partiti anticapitalisti” cercano di ricondurre i movimenti di rottura verso perimetri parlamentaristi e riformisti.

Comunque, far fronte alla strategia dei “partiti anticapitalisti” obbliga a riconoscere che questa appare agli occhi di settori militanti una risposta positiva (per deformata che sia) alla necessità di un raggruppamento combattivo davanti alla dispersione attuale. Ciò implica anche tenere in conto l’enorme ritardo accumulato nella costruzione di partiti rivoluzionari. Le nostre organizzazioni sono ancora al livello di piccoli “gruppi di propaganda” (in alcuni casi non raggiungiamo neppure questo stadio di costruzione) e la nostra presenza organizzativa è assente in Paesi centrali (come la Germania) o in intere aree regionali (come i Paesi dell’Est o il nord d’Europa).

Questa situazione ci obbliga, da un lato, a rivendicare la costruzione di partiti rivoluzionari e avanzare nella costruzione della Lit e della Quarta Internazionale. D’altro lato, ci obbliga ad assumere mediazioni tattiche che meglio ci permettono di collegarci ai settori militanti operai e giovanili, intervenendo nel complesso processo di riorganizzazione politica e sindacale. Senza questa combinazione non raggiungeremo nessun avanzamento significativo nella fase attuale.
 
16. Riaffermare il partito che vogliamo vuol dire, prima di tutto, bolscevizzare il regime interno dei nostri gruppi; collegarsi alle lotte ovunque possibile, lottare per conquistarne la direzione; fuggire al propagandismo e all’autoproclamazione. Per questo compito, dovremo essere puntuali nel concentrare con cura e adeguatamente le nostre forze nei settori più combattivi e sfruttati e con maggiori possibilità di crescita partitica: precari, migranti, studenti, determinati settori produttivi. Sarà anche necessario dare importanza speciale alla propaganda rivoluzionaria (attraverso la rivista Marxismo Vivo, la nostra stampa, siti web, manifesti e libri) su quegli assi che oggi delimitano una politica rivoluzionaria: l’indipendenza di classe di fronte ai governi di collaborazione con la borghesia, la denuncia della Ue e della sua natura imperialista, la critica del chavismo e del castrismo…
 
17. Le mediazioni tattiche, d’altra parte, sono condizionate strettamente dalle differenti situazioni nazionali. Vediamo alcuni casi. Il Bloco de Esquerda portoghese (Be), rappresenta la più avanzata espressione europea dei “partiti anticapitalisti” (assieme alla coalizione Respect in Gran Bretagna). Il Bloco, con il 6,38% dei voti e otto deputati, rappresenta un modello esemplare per il Su. La sua sezione portoghese (oggi trasformata in “associazione politica” APSR) svolge un ruolo centrale nella direzione del Be (a fianco degli ex maoisti della Udp). Il Be raccoglie la radicalizzazione di settori giovanili, di lavoratori e di ceti medi, sebbene siano questi ultimi a dare al Bloco l’impronta riformista. Nelle grandi mobilitazioni dello scorso ottobre, il Be non ha sollevato alcuna critica alla direzione sindacale della Cgtp, né ha rivendicato lo sciopero generale. Rifiutando di contestare al Pcp la direzione della mobilitazione, il gruppo dirigente del Be ha concentrato la sua azione sul solo terreno parlamentare, “suo” terreno naturale. In Portogallo, facciamo parte del Be e lavoriamo al suo interno senza concederci illusioni circa la sua evoluzione. Nel caso in cui il governo Socrates non mantenesse la maggioranza assoluta, la pressione per formare una coalizione Psp-Be diventerebbe molto forte. In ogni caso, stando le condizioni attuali, il lavoro nel BE e, ancora di più, l’attività nei movimenti come militanti del Be, rappresenta la migliore mediazione tattica per intercettare settori militanti, e quella che offre maggiori possibilità di costruzione partitica, a partire dal nostro inserimento nei movimenti giovanili e nel settore bancario.

Nel caso della Corriente Roja (Cr) nello Stato spagnolo, a differenza del Portogallo, non lavoriamo entro un quadro di “partito anticapitalista”, bensì in un fronte di sinistra progressivo (centrista progressivo) che formiamo assieme a settori radicali provenienti dal Pce che, al pari nostro, sono fuoriusciti da Iu, rompendo con l’elettoralismo e l’adattamento al regime monarchico che sono caratteristiche sia di Iu che del Pce. Sono presenti in Cr livelli di rottura diseguale rispetto lo stalinismo, vi sono molte posizioni filochaviste e filocastriste (ma sempre più in crisi) e persiste un gruppo minoritario di matrice apertamente stalinista. Fallito il progetto di una “rifondazione comunista” spagnola, Corriente Roja si è costituita come forza motrice di un blocco anticapitalista della militanza operaia e giovanile. Sue basi fondative sono: 1. l’indipendenza di classe; 2. l’organizzazione dell’opposizione di sinistra al governo Zapatero; 3. l’appoggio e la promozione delle mobilitazioni; 4. la costruzione dal basso, senza ripartizioni dirigenziali sulla base di spartizioni di vertice. Il nostro lavoro in seno a CR e, più ancora, il lavoro nei movimenti come militanti di Cr, ci permette di avere un raggio d’azione più esteso di quello che abbiamo come partito, e di guadagnare così maggior influenza. Se la lotta di classe conoscerà un rilancio nel prossimo periodo e, allo stesso tempo, non commetteremo gravi errori politici, il progetto di Cr potrà trasformarsi in un referente per l’avanguardia militante, creando così un grosso ostacolo alla costruzione di un “partito anticapitalista a base larga” in versione spagnola.

Nel caso belga, si sono succedute recentemente due iniziative a favore di un “partito anticapitalista”, promosse separatamente dalle sezioni del Cwi (Militant) nelle Fiandre e del Su in Vallonia, entrambe con finalità schiettamente elettorali. Tali iniziative, non consolidatesi, hanno dato luogo ad una conferenza di 600 persone a Bruxelles (la maggioranza delle quali senza partito), il che è una cifra rilevante per un Paese dalle dimensioni del Belgio. Nel frattempo, persiste un partito di impronta stalinista, il Ptb, con una certa base elettorale (15 consiglieri municipali) e una certa influenza su alcuni settori operai.
 
18. In Europa, il programma rivoluzionario, per definirlo come tale, inizia con la denuncia e la lotta contro il proprio imperialismo, quello europeo e quello dei singoli Paesi, combattendo ogni aggressione militare contro i popoli coloniali e semi-coloniali ed esigendo la chiusura delle basi Nato e lo scioglimento di questa alleanza militare imperialista. Attualmente, la lotta per il ritiro delle truppe europee dall’Afghanistan e dal Libano (e dallo stesso Iraq per quei Paesi, come la Gran Bretagna, che vi mantengono contingenti militari) detiene un’importanza centrale. Esigiamo anche la moratoria del debito estero dei Paesi dipendenti e la restituzione a codesti Paesi delle imprese e delle risorse rubate, denunciamo i governi di questi Paesi come agenti dell’imperialismo.

La lotta contro le leggi sull’immigrazione, contro le espulsioni, per la regolarizzazione, per l’eguaglianza dei diritti democratici, sociali e religiosi dei lavoratori migranti, è parte distinta del programma rivoluzionario nei Paesi dalla Ue. La denuncia e l’energica lotta contro la xenofobia e il razzismo si sono trasformate in elemento essenziale per affrontare il carattere reazionario dei governi, le bande fasciste, e per costruire l’unità della classe operaia.
 
19. Il programma rivoluzionario in Europa ha per obiettivo esenziale la lotta contro le delocalizzazioni, le serrate delle imprese e contro i licenziamenti; per le 35 ore senza perdita di salario; la difesa del sistema pensionistico pubblico; per il salario minimo, un sistema di protezione sociale e una legislazione del lavoro unificati per tutta la Ue; per dei servizi pubblici gratuiti e di qualità per tutta la popolazione; per l’abolizione delle leggi reazionarie sull’immigrazione, per l’eguaglianza dei diritti; contro la xenofobia e il razzismo; contro l’imperialismo europeo, per la solidarietà con i popoli dei Paesi aggrediti; per il ritiro delle truppe europee di occupazione; per lo scioglimento della Nato e lo smantellamento delle sue basi; per l’abolizione del debito estero e la restituzione delle imprese e delle risorse naturali ai Paesi dipendenti che ne sono stati spogliati; contro l’attacco ai diritti democratici dietro il paravento della “lotta al terrorismo”; per il diritto all’autodeterminazione dei popoli oppressi di Europa…Sono queste le basi di un impegno di lotta il cui obiettivo ultimo può essere soltanto l’espropriazione del capitale e l’edificazione, sopra le rovine della Ue, degli Stati Uniti Socialisti d’Europa, che pongano fine alla disoccupazione, alla precarietà e all’oppressione sul continente, e mettano le ingenti risorse europee al servizio della maggioranza della popolazione e della liberazione dei popoli del mondo.
 
20. Attualmente, in buona parte d’Europa esistono diverse varianti di governi di collaborazione di classe, impegnati a dar continuità alle offensive neoliberiste contro i lavoratori e a sostenere l’interventismo imperialista all’estero. E’ il caso del governo di “grande coalizione” tra l’Spd e la destra tedesca presieduto da Angela Merkel. E’ il caso del governo monocolore di Socrates (Psp) in Portogallo che, dopo esser stato eletto con il voto maggioritario dei lavoratori, lancia contro di essi un brutale attacco neoliberista. E’ il caso del governo Prodi, formato dai Ds, diverse formazioni borghesi e Rifondazione comunista, e appoggiato dalla burocrazia della Cgil. E’ pure il caso del governo monocolore social-liberista di Zapatero, insediato sotto la spinta del movimento anti-guerra, appoggiato dagli apparati sindacali (Cc.Oo e Ugt) e sostenuto da un blocco parlamentare con Iu, l’Erc, e formazioni nazionaliste borghesi minori della Catalogna e dei Paesi baschi.

Con la scusa della crescente polarizzazione sociale, la “sinistra di governo” chiama ad appoggiare tali esecutivi al fine di “sconfiggere la destra e l’estrema destra”. Questi stessi argomenti sono utilizzati da alcuni settori della stessa “estrema sinistra” per giustificare la loro capitolazione davanti a questi governi. Ma non c’è politica rivoluzionaria che non passi per la denuncia e la contrapposizione alle misure di questi governi e lo smascheramento della loro natura. Per questo, il nostro profilo politico si qualifica con la costruzione dell’opposizione di sinistra a questi governi. In Italia i compagni del PC-Rol (oggi PdAC) combinano giustamente la denuncia del governo Prodi con l’appello a Rifondazione comunista e alla Cgil affinché rompano con esso.
 
21. L’offensiva neoliberista dei diversi governi e padronati europei contro le conquista sociali detiene nella burocrazia sindacale, raggruppata su scala europea nella Ces, un complice necessario e fondamentale. Il rifiuto operaio – in particolare nei settori giovanili e maggiormente sfruttati – della politica arrendevole della burocrazia, ha trovato espressione diseguale nei diversi Paesi europei, poiché – parallellamente a ciò che succede sul terreno politico – persiste un grave ritardo nella costruzione di correnti classiste di opposizione alla burocrazia.

Vi è un importante differenza tra il Nord Europa (dove l’opposizione si esprime in maniera quasi esclusiva in seno ai grandi apparati socialdemocratici tradizionali) e i Paesi mediterranei come Spagna e Italia – con diverse tradizioni e diversi meccanismi di rappresentanza del mondo de lavoro – nei quali sono sorti sindacati minoritari di opposizione contrapposti alle confederazioni tradizionali. In Italia, accanto ad un’opposizione interna alla Cgil (la Rete 28 Aprile) diretta da settori di sinistra della burocrazia, sono sorti diversi sindacati di base (Cub-Rdb, Confederazione Cobas, Slai Cobas) che costituiscono l’opposizione maggiormente attiva ai programmi di Prodi.

Nello Stato spagnolo, diversamente dall’Italia, non esiste un’opposizione interna alla direzione burocratica in nessuna delle due confederazioni, Ugt e Cc.Oo (entrambe dichiarano un’affiliazione del 10% della popolazione lavoratrice). Per gli iscritti a queste due centrali la vita sindacale è pressoché inesistente e i locali del sindacato sono deserti. Fino a pochi anni fa, il movimento dei “Criticos de Cc.Oo”, diretto da un settore della burocrazia vincolata al Pce, e nel quale abbiamo partecipato, era relativamente attivo, ma ormai è spirato per inazione, fagocitato nell’apparato burocratico.

Complessivamente, l’opposizione alla burocrazia concertativa si presenta alquanto frammentata: nei sindacati nazionalisti (che in Galizia e nei Paesi baschi sono maggioritari), nei sindacati di categoria, nei coordinamenti territoriali del “sindacalismo alternativo” e nella Cgt, un sindacato di ispirazione anarco-sindacalista, molto settario, con un’ampia autonomia delle sue organizzazioni territoriali.

Nel caso portoghese, come abbiamo già riportato, la Cgtp, dominata dal Pcp, mantiene un alto grado di controllo sul movimento operaio, senza che siano sorte tendenze di opposizione al suo interno. La Ugt portoghese, diretta dal Psp, è la centrale minoritaria. Il suo principale sindacato è quello bancario, dove siamo animatori della corrente critica Mudar, con un peso specifico importante tanto nel sindacato che nella categoria.

La politica sindacale dei nostri gruppi deve essere incentrata nella costruzione di opposizioni sindacali di classe alla burocrazia, attorno alle bandiere della mobilitazione contro i piani governativi e padronali, dell’unità di classe e della democrazia operaia. Questo compito esige di appoggiarsi ai raggruppamenti di opposizione realmente esistenti e mantenere un impegno sistematico per trovare il modo di collegarli ai conflitti reali e ai settori combattivi. Implica pure una battaglia permanente per coordinare e sviluppare accordi per l’unità d’azione tra i vari settori dell’opposizione alla burocrazia, portando tali sviluppi il più lontano possibile.

Il compito di costruzione di correnti classiste di opposizione è un compito alquanto complesso e, comunque, è basilare per acquisire un salto nella nostra implementazione nella classe, nei suoi settori più combattivi, dialettizzandosi con l’attivismo che ne esce.

E’ anche condizione per educare i/le nostri/e militanti al compito di direzione della classe.

Uno dei maggiori rischi che possiamo incontrare è la caduta nel propagandismo sterile, che abbandona la lotta pratica per organizzare l’opposizione classista. Costruire una direzione classista alternativa alla burocrazia non è il risultato di proclami propagandistici ne dello spontaneismo: esige che i militanti rivoluzionari si attivino sin da ora a gettare le basi per detta costruzione.

Bisogna altresì combattere contro le deviazioni sindacalistiche, che dissociano la lotta sindacale dalla lotta politica e riflettono la pressione della burocrazia sindacale e quella delle correnti antipartito. Al di là dell’obbligata diffusione della propaganda rivoluzionaria nei centri di socializzazione del lavoro, come marxisti rivoluzionari non limitiamo la nostra attività sindacale alle rivendicazioni immediate. Al contrario, in accordo con la situazione concreta e con la consistenza delle nostre forze, sviluppiamo iniziative di transizione tra queste rivendicazioni immediate e questioni economiche, sociali e politiche generali che coinvolgono la condizione di vita della classe operaia. Ad esempio, non può accadere che battaglie decisive come quelle per il diritto all’alloggio, per la difesa delle pensioni pubbliche o la difesa della scuola pubblica, siano condotte al di fuori dei luoghi del lavoro, come se fossero tematiche estranee alla classe operaia.
 
22. I programmi sulla formazione e istruzione dei governi della UE seguono il passo segnato dal cosiddetto Processo di Bologna (sottoscritto nel 1999 dai ministri dell’istruzione, grande impresa, personalità accademiche), basato sull’Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (Agcs) dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). Attraverso la dichiarazione di Bologna, si pretende di applicare criteri di libera concorrenza imprenditoriale nell’istruzione universitaria. Gli eurocrediti, la struttura dei titoli universitari, la mobilità accademica, i costi esorbitanti, l’apertura alle trasformazioni imprenditoriali, la precarizzazione del personale docente…sono gli strumenti che accompagnano i progetti destinati allo smantellamento dell’università pubblica e la sua privatizzazione mascherata.

Circa l’istruzione secondaria, i governi avanzano con l’applicazione delle linee guida del programma europeo Pisa (Programma per la valutazione internazionale degli studenti), promosso dall’Ocse, la cui essenza è la selezione di classe degli studenti attraverso l’accertamento di conoscenze e competenze a quindici anni di età. Gli studenti, una volta “valutati”, a secondo del risultato ottenuto, vengono forzatamente indirizzati verso un determinato percorso formativo. La maggioranza è incanalata verso percorsi per lavori a bassa qualifica, senza possibilità di accesso all’università. Mentre agli istituti secondari privati rimangono, normalmente, quei percorsi formativi che poi fanno accedere all’università, alla scuola pubblica rimangono i percorsi inferiori.

La propulsione della lotta contro le varie traduzioni governative del Processo di Bologna e del Pisa deve diventare un’asse dell’attività e una bandiera di lotta delle sezioni europee della Lit-Ci.
 
23. Il coordinamento e l’unificazione delle mobilitazioni operaie e popolari su scala europea è una necessità vitale che affronta, in ogni caso, grandi ostacoli. E’ compito delle sezioni della Lit promuovere iniziative di lotta su scala europea, per modeste che siano in principio. Un esempio è stato l’appello congiunto di Cnsp, Atraie e la Udep a mobilitarsi in difesa dei lavoratori migranti. Questo terreno, come quello del ritiro delle truppe, è propizio per attivare iniziative a larga sensibilità. Lo stesso può dirsi, se disponiamo di una massa critica sufficiente, circa l’unificazione delle forze sul terreno dell’opposizione sindacale e delle lotte studentesche.

Congiuntamente a questa attività, procediamo nello sviluppo dell’elaborazione politica nel quadro della Lit e avanziamo, in breve, verso l’obiettivo centrale: configurare una direzione europea della Lit.
 

(traduzione di Sabrina Pattarello e Fulvio Zorzenon)

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