Bolivia
EVO CAPITOLA
NUOVAMENTE ALL'ESTREMA DESTRA
(Correo Internacional -
pubblicazione del Segretariato Internazionale
della Lega Internazionale
dei Lavoratori - Quarta Internazionale)
Dopo
vari giorni di estrema tensione nello scontro tra il governo di Evo Morales, da
una parte, ed i prefetti (governatori) e la borghesia di estrema destra della cosiddetta
Mezza Luna, dall’altra, la situazione è evoluta in un negoziato ufficiale tra
il governo ed i prefetti (raggruppati nella Conalde – Coordinazione Nazionale
Democratica), per giungere ad un accordo.
Secondo la stampa internazionale, questo negoziato rappresenta l’unico sbocco possibile per la situazione, al fine di evitare una guerra civile nel Paese. Allo stesso tempo, si ritiene che esso guardi agli interessi di entrambe le parti, che dovranno cedere qualcosa per raggiungere un’intesa.
Tuttavia, la realtà mostra che questo negoziato ed il suo possibile risultato rappresentano, in realtà, una nuova capitolazione di Evo tale da consentire un trionfo della borghesia di estrema destra.
Per comprendere quest’affermazione, è sufficiente guardare i punti che saranno sottoscritti nell’accordo. Da una parte, la borghesia della Mezza Luna si impegna a far cessare i blocchi, alla restituzione degli edifici nazionali occupati ed all’accettazione della detenzione e del processo al prefetto di Pando, Leopoldo Fernández (non per le decine di assassini di cui è responsabile, bensì solo per la “violazione dello stato di assedio”). Dall’altra, il governo nazionale accetterebbe di posticipare il referendum per approvare il progetto di Costituzione elaborato dall’Assemblea Costituente (considerato “eccessivamente indigenista e statalista” dalla borghesia della Mezza Luna) e ne ridiscuterebbe il contenuto al tavolo del negoziato; inoltre, si impegna a restituire ai prefetti la parte corrispondente dell’IDH (imposta sugli idrocarburi) e ad “aumentare l’autonomia”.
In altre parole, in cambio di punti che sono parte del suo pieno diritto legale e politico (che non dovrebbero essere, pertanto, soggetti ad alcun negoziato), il governo di Evo cederebbe a tutte le rivendicazioni per le quali la borghesia della Mezza Luna ha iniziato di recente le sue violente manifestazioni. Perché succede questo?
Che cos’è la borghesia della Mezza Luna?
In Bolivia è denominata Mezza Luna la regione che abbraccia i dipartimenti di Santa Croce, Beni, Pando e Tarija. Benché abbiano appena un terzo della popolazione del Paese, questi dipartimenti possiedono una parte molto importante delle ricchezze naturali boliviane (petrolio, gas, ferro, produzione di soia e carne), creano quasi il 60% del PIL nazionale e più di due terzi delle sue esportazioni.
Un sviluppo che si è verificato negli ultimi decenni, mentre, al contrario, l’economia del resto della Bolivia (l’altopiano centrale) ristagnava o era in recessione. Questa realtà ha indotto quelle borghesie regionali a sostenere la rivendicazione di un supposto “diritto all’autonomia” nella Bolivia che minaccia persino di dividere al Paese. Non si tratta della giusta richiesta di una nazionalità oppressa contro il Paese oppressore. Al contrario, si tratta della rivendicazione reazionaria di un settore borghese molto forte che vuole questa “autonomia” per negoziare direttamente con l’imperialismo ed i paesi più forti della regione, come il Brasile, la consegna di quelle ricchezze, ottenere una fetta maggiore di quella che ricava ora (eliminando l’intermediazione del potere centrale di La Paz) e, contemporaneamente, sbarazzarsi dell’“altipiano indigeno, povero e rivoltoso”.
Secondo un articolo dell’agenzia Econoticias Bolivia, i padroni della regione sono “vicini ai 100 forti clan familiari che controllano l’agroindustria, il commercio estero, la banca ed i grandi mezzi di comunicazione”. Questi clan di famiglie imprenditrici possiedono giganteschi latifondi che, secondo una relazione del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Pnud), ammontano a 25 milioni di ettari.
Questa coalizione di “grandi autonomisti” è diretta dalla borghesia cruceña, la più forte e dinamica del Paese, con un progetto politico proprio, sviluppato da alcuni anni. Alcuni dei suoi membri sono di origine europea molto più recente. Per esempio, il suo principale dirigente, Branko Marinkovic, è figlio di un immigrato croato. Oltre ad essere un grande latifondista (possiede 26.000 ettari), ha gran peso nel settore della produzione ed esportazione di olio di soia ed è dirigente della grande impresa Trasporti di Idrocarburi, titolare di 6.000 km, di gasdotti ed oleodotti che arrivano fino in Brasile, Argentina e Cile. Il 50% del capitale di questa impresa appartiene ad Exxon e Shell.
Un progetto di estrema destra
Poggiando su questo potere economico, le borghesie della Mezza Luna hanno già ottenuto, attraverso le elezioni, il potere politico dei loro dipartimenti. Da lì, cercano di armare il loro “proprio Stato”, con Parlamento e Polizia autonomi, e di ottenere il controllo assoluto sulle ricchezze della terra, gli idrocarburi, le imposte, l’educazione, ecc.
È un progetto che adotta un’ideologia profondamente razzista, di disprezzo verso gli “indios”. Cioè verso la maggioranza della popolazione boliviana e, perfino, di quelle stesse regioni. Tuttavia, questo carattere di estrema destra non si limita solo all’ideologia, ma si esprime anche nella loro azione.
I “comitati civici” formati da quelle borghesie regionali, ed organizzazioni come l’Unione della Gioventù Civica Cruceña (Ujc), utilizzano metodi fascisti, cioè, di guerra civile, per reprimere le masse, specialmente i contadini della regione. I recenti assassini di decine di contadini nella regione di Pando ne sono un esempio (v. riquadro). Nel caso dell’Ujc, l’organizzazione è costituita dai figli di imprenditori e latifondisti, ma comprende anche giovani di classe media, ansiosi di scalare la società.
La borghesia della Mezza Luna è riuscita a guadagnare un’importante frangia delle classi medie regionali per il suo progetto. Al tempo stesso, le elezioni mostrano che ha appoggio elettorale di settori del movimento di massa. Ciò che ancora non è chiaro è se quest’appoggio è all’insieme della sua politica ed ai suoi metodi o, al contrario, esprime solo una confusione temporanea di fronte alle promesse di un miglioramento delle condizioni di vita attraverso la “autonomia”.
Questo progetto di estrema destra conta sull’appoggio del governo degli Usa. Circostanza che è confermata dalle strette relazioni di Phillip Goldberg, l’ambasciatore espulso dal governo di Evo, con Marinkovic; ed anche dal finanziamento che l’agenzia nordamericana di cooperazione, Usaid, dà ai politici di estrema destra della Mezza Luna. Probabilmente, conta anche sull’appoggio di settori della borghesia brasiliana, con forti interessi nella regione, attraverso la Petrobras e la produzione di soia (il 33% della terra con questa destinazione è nelle mani di borghesi brasiliani o di prestanomi).
Le capitolazioni di Evo
Questo progetto di estrema destra cresce rapidamente: controlla già parte del Paese, minaccia la produzione di gas e si sta imponendo di fronte all’impotenza o l’inazione del governo. Per questo motivo, come segnala la recente dichiarazione della Lit Ci, ci domandiamo: “Come è possibile che quello succeda in un Paese che visse, in questi ultimi anni, due rivoluzioni che abbatterono governi di destra … Come può avere tanta forza questo movimento in un Paese dove, meno di due mesi fa, il presidente ha ottenuto quasi il 70% dei voti a conferma de suo mandato in un referendum revocatorio?”.
La stessa dichiarazione risponde a queste domande: “L’unica spiegazione possibile è la politica conciliatoria del governo. Il governo di Evo Morales si rifiuta di reprimere il movimento di estrema destra e di mobilitargli contro le masse, mentre poco tempo fa non ha esitato a reprimere duramente la lotta dei minatori di Huanuni in difesa della loro pensione e di altre rivendicazioni, uccidendo alcuni operai in questa repressione. In ogni momento, Evo cerca accordi o patti con la borghesia della Mezza Luna per governare congiuntamente ad essa il Paese. Si rifiuta di inviare truppe in tutti i Dipartimenti per recuperare gli edifici pubblici occupati, utilizzando la giustificazione di ‘non voler versare sangue’”.
Ma decine di contadini ed indigeni sono stati già assassinati nei dipartimenti della Mezza Luna da bande di estrema destra. Il loro sangue è già stato versato. Non è questa, pertanto, la vera ragione della politica di Evo. Per noi, la spiegazione profonda di questa politica è che, al di là della sua origine contadina ed indigena e del fatto che la maggioranza del popolo boliviano lo vede come il “suo governo”, quello di Evo è un governo borghese che cerca difendere il sistema capitalista e lo stato borghese boliviano ed evitare la radicalizzazione dei processi di mobilitazione di massa che minacciano di distruggerlo. Perciò, benché venga duramente attaccato dalla borghesia della Mezza Luna e dall’imperialismo, insiste nella sua politica di conciliazione con essi.
La conciliazione rafforza l’ultradestra
Già appare chiaro che la “conciliazione” sostenuta da Evo è riuscita solo a lasciare il campo aperto affinché l’estrema destra avanzi. In primo luogo, ha guadagnato i dipartimenti della Mezza Luna e la legalità ed i fondi per sviluppare il suo progetto. Ora, attraverso l’azione diretta, si ringalluzzisce e si fortifica sempre di più, occupando il vuoto di potere lasciato dal governo ed avanzando nel suo progetto.
Peggio ancora, questa politica conciliatrice cerca di paralizzare e demoralizzare una possibile reazione delle masse che sarebbero l’unica forza in grado di affrontare e sconfiggere l’ultradestra. È una politica che può essere qualificata solo come “suicida” e che la destra sfrutterà con nuovi attacchi, nonostante l’accordo che sta firmando col governo, un accordo che consolida i suoi progressi.
È necessario organizzarsi per affrontare la destra nelle strade
Fortificata da questa possibile vittoria, l’ultradestra vuole continuare ad avanzare e ripeterà i metodi violenti che fino ad ora le hanno dato un così buon risultato. Gli assassini di Pando mostrano quello che sarà il futuro boliviano se l’ultradestra si imporrà. Se il governo di Evo non è disposto a combatterla a fondo, il Paese boliviano deve mobilitarsi e rivendicare che lo faccia.
Ma non può aspettare passivamente la risposta di un governo che, fino ad ora, ha optato sempre per la conciliazione. Per affrontare e sconfiggere l’ultradestra, è necessario che i lavoratori e le masse boliviane sviluppino la propria mobilitazione autonoma e si organizzino in questo senso.
Perciò, rivendichiamo la dichiarazione votata dai minatori di Huanuni che recita: “Prigione a tutti i sediziosi! Che se ne vadano dal nostro Paese! Facciamo con questi fascisti la stessa cosa che il Presidente ha fatto con l’Ambasciatore degli Stati Uniti! Basta con gli assassini di minatori e contadini! Basta attentati al Paese! Basta ai proprietari terrieri ed agli oligarchi che vogliono comandare in tutta la Bolivia! È necessario frenare la violenza dell’oligarchia.
Tutta la classe operaia deve riprendere le mobilitazioni e fare valere la ‘agenda di ottobre’, che pone l’obiettivo di lottare per l’espropriazione dei proprietari terrieri dell’Oriente boliviano, per la Terra ai contadini ed agli indios e per una vera nazionalizzazione del gas e del settore minerario. Mai più razzismo e discriminazione ai nostri fratelli! … Per l’unità del popolo in lotta contro i separatisti e per frenare l’ondata di violenza, l’unica strada è mobilitare operai e contadini per sconfiggere l’oligarchia”.
Una proposta assolutamente possibile, sia per la combattiva storia che per l’attuale realtà del Paese boliviano. Perfino quando la maggioranza mostra ancora fiducia ed appoggia il governo di Evo Morales, dappertutto sorgono mobilitazioni che mostrano la sua volontà di affrontare e sconfiggere l’ultradestra.
Come le massicce mobilitazioni convocate a partire da El Alto e dalla Cob nazionale, che hanno visto riunirsi decine di migliaia di persone a La Paz, ed il blocco della strada Cochabamba-Santa Cruz da parte dei contadini del Chaparé. O gli abitanti di Plan 3000, uno dei quartieri più poveri della città di Santa Cruz, con 300.000 abitanti costantemente attaccati dalle bande fasciste dei “civici”, che hanno cominciato ad organizzarsi per difendersi dagli attacchi e sono riusciti già a difendere il quartiere in varie occasioni.
Sono state queste mobilitazioni, generate in larga misura dal ripudio al massacro di Pando, quelle che hanno obbligato il governo di Evo ad un atteggiamento più “duro” e ad adottare provvedimenti per dare soddisfazione a questa base con l’arresto del prefetto di Pando; ed è grazie ad esse se, fino ad ora, Evo non ha potuto concedere, al tavolo dei negoziati, includendole nel progetto di Costituzione, le “autonomie delle nazioni originarie”.
Se la Cob vuole assumere la direzione di questa lotta, deve essere indipendente rispetto al governo
In un altro articolo di questa edizione, analizziamo più approfonditamente cos’è il fascismo e come affrontarlo. La conclusione principale è che solo la classe operaia, alla testa delle masse contadine, indigene e popolari, può sconfiggerlo, senza nessuna fiducia e con totale autonomia dai governi che conciliano con l’estrema destra.
In questo senso, è centrale il ruolo che può giocare la Cob. Ma, per farlo, questa organizzazione deve cambiare indirizzo e ritirare l’appoggio ed il sostegno al governo di Evo che il suo segretario esecutivo, Pedro Montes, ha appena dato firmando un’intesa col governo, a nome della COB, insieme a dirigenti contadini ed al leader di El Alto, Edgar Patana, che sempre hanno appoggiato il governo.
Ci riferiamo all’“Accordo per la difesa della democrazia, l’unità e l’integrità del Paese”. L’obiettivo di questo patto sarebbe “la difesa dell’unità del Paese e la difesa della democrazia colpita da un golpe” insieme al ripudio dell’“odio e del razzismo fascista e neonazista e l’atteggiamento dei prefetti e dirigenti neoliberali”. Tuttavia, il testo include anche, esplicitamente, “il sostegno all’atteggiamento rivoluzionario” del presidente Morales come risposta alla sommossa della borghesia della Mezza Luna. In altri termini, la necessità di affrontare questa borghesia è presa a pretesto per un accordo che, invece, pone la Cob in un fronte di appoggio al governo di Evo ed alla sua politica conciliatrice. Se si mantiene quest’accordo, non esiste alcuna possibilità che la Cob sia la direzione di cui hanno bisogno le masse boliviane per sconfiggere l’estrema destra.
Per questo motivo, condividiamo le critiche mosse dai settori più combattivi della Cob che non sono stati consultati. È il caso di Guido Mitma, segretario esecutivo della Federazione dei Minatori, che ha dichiarato che la firma dell’accordo era “unilaterale ed inorganica” e che comprometteva “l’indipendenza politica dei lavoratori”. Ha messo anche in discussione “il dialogo ed i negoziati realizzati dal presidente Morales con l’oligarchia” ed ha aggiunto: “I minatori assumono l’impegno di preservare l’integrità del territorio nazionale e della democrazia. Ma il dialogo e le concessioni all’oligarchia non porteranno niente di buono per i lavoratori ed il Paese … Al contrario, è necessario approfondire ‘l’agenda di ottobre’ che consiste nella reale nazionalizzazione delle risorse naturali non rinnovabili che ancora continuano ad essere nelle mani delle multinazionali, l’espropriazione degli immensi latifondi nell’Oriente e le valli, la distribuzione di terre ai contadini ed agli indigeni poveri, ed il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori”. Ha rivendicato, inoltre, risoluzioni di congressi dei minatori che rivendicano: “Basta negoziati coi cospiratori e sabotatori del vero processo di cambiamento”. È imprescindibile che questa corretta proposta si realizzi a fondo nell’azione. Per esempio, nell’immediata espropriazione dei “100 clan”.
Perciò, è necessario riprendere la gloriosa tradizione dei minatori nella Rivoluzione del 1952, specialmente quella delle milizie operaie della Cob, delle mobilitazioni del 1985 e delle vittoriose sollevazioni del 2003 e del 2005, quando operai e settori popolari affrontarono e sconfissero la repressione armata per le strade.
I minatori, che hanno criticato duramente la firma dell’accordo col governo, devono lottare affinché la Cob rompa questo patto e faccia appello a tutti i sindacati, organizzazioni contadine, popolari e democratiche, a formare una grande Fronte Unico per affrontare i fascisti attraverso l’azione diretta. È necessaria una grande mobilitazione nazionale di massa per sconfiggere la destra.
È evidente, inoltre, che non si possono affrontare i gruppi fascisti con parole o manifestazioni. È necessario difendersi dai gruppi fascisti nelle strade, utilizzando metodi di azione diretta. È urgente che i sindacati e le organizzazioni contadine organizzino migliaia di gruppi di autodifesa tra i minatori, i contadini, gli operai dell’industria ed i settori popolari, riprendendo la gloriosa tradizione delle milizie della Cob del 1952. Questa è l’unica strada per sconfiggere l’estrema destra e le organizzazioni fasciste.
La necessità dell’appoggio internazionale
Il progetto dell’ultradestra della Mezza Luna rappresenta una grande minaccia: non solo per le masse boliviane, ma anche per il movimento operaio ed i popoli di tutta l’America Latina. Si tratta di un “esperimento” che, se trionfasse, potrebbe ripetersi in altri paesi e regioni “conflittuali”. Perciò è imprescindibile sconfiggerlo e che tutto il continente dia il proprio appoggio al popolo boliviano. Aiutiamo a sconfiggere questo progetto di estrema destra prima che si rafforzi ulteriormente e si estenda ad altri paesi.
Il compito immediato è far nascere intorno alla Bolivia azioni di solidarietà e di rifiuto dei progetti estremisti di destra, come le mobilitazioni che si sono già realizzate in Argentina, Ecuador, Uruguay e Brasile. In questo senso va la proposta della Conlutas del Brasile, affinché la solidarietà col Paese boliviano ed il ripudio dell’estrema destra sia uno degli assi centrali della “settimana antimperialista” che l’Elac (Incontro Latinoamericano e Caraibico dei Lavoratori) ha deciso di realizzare in ottobre. La Lit Ci si impegna a dare tutto il suo appoggio in queste iniziative.
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Gli assassini di Pando
Nei recenti avvenimenti, nel dipartimento di Pando si sono verificati gli attacchi più violenti ai contadini a favore del governo da parte di gruppi armati di ultradestra. Si sono verificati già 28 assassini e ci sono 45 desaparecidos che non si sa se pure siano stati uccisi o se siano riusciti a scampare alle bande fasciste.
In Internet, sta circolando un video, originalmente diffuso dal Canale 7 statale, che mostra come bande di paramilitari e sicari, al servizio del prefetto di Pando, Leopoldo Fernández, secondo le testimonianze raccolte da alcuni sopravvissuti, consumano il massacro di contadini indifesi nel fiume Tahuamanu.
Del materiale ricevuto da BoliviaEnVideos.com (16/9/08), riproduciamo il seguente testo:
“Le immagini mostrano come i contadini si gettino nel fiume per cercare di salvare la vita e nuotando tentino di attraversare l’affluente, ma gli uomini armati sparano. ‘Lì ci sono più indios’, si ascolta in almeno due occasioni. Chi parla è una delle persone sulla riva del Tahuamanu, mentre si ascoltano le raffiche di mitragliatrici … Si vede una persona, presumibilmente un medico, che dichiara: mentre i suoi compagni continuano sparando le sue armi. ‘Ascoltate, è terribile, queste sono fucilate, stiamo assistendo i feriti, in realtà questa situazione ha passato i limiti, questo è terribile, è il colmo, non abbiamo nessuna sicurezza’. Mentre scorrono le immagini, presumibilmente uno dei sicari, di cui si intravede una mano, segnala con ironia: ‘Sono spaventati’, mentre i suoi compagni continuano a sparare. ‘Ci sono parecchi indios nascosti lì’, assicura un altro dei paramilitari, mentre le sue vittime nuotano disperatamente cercando di raggiungere l’altra riva del fiume Tahuamanu e così potere scampare alla sparatoria. Si odono ovunque raffiche di mitragliatrici ed i proiettili, colpendo la superficie dell’acqua, sollevano onde che certificano il massacro. Il video mostra anche alcune delle vittime, come il corpo di Alfonzo Cruz, inerte; così come di bare trasportate in un camioncino. Uno dei testimoni segnala che si è trovato un corpo, più tardi e più a valle, morto per una pallottola entrata attraverso la nuca ed uscita dalla bocca, completamente distrutta”.
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Il vero ruolo dell’Unasur
Creata nel maggio di quest’anno, l’Unasur (Unione delle Nazioni Sudamericane) ha appena avuto il suo “battesimo del fuoco” con la riunione dei presidenti dei paesi membri, compreso Evo Morales, che si è tenuta in Cile, nel bel mezzo della recente crisi boliviana.
Un fatto molto importante di questa riunione è consistito nella chiara dimostrazione del peso centrale che ha il Brasile nella regione. Sebbene, inizialmente, l’hanno promossa paesi più favorevoli ad Evo Morales (Venezuela ed Argentina, ai quali si è aggiunto il Cile, che ha la presidenza di turno), la riunione è stata confermata solo nel momento in cui il presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, ha confermato la sua partecipazione.
Chiaramente, per partecipare, Lula ha posto alcune condizioni: che fosse richiesta da Evo Morales e che l’orientamento fosse nella direzione di un “dialogo conciliatore” con la borghesia di ultradestra della Mezza Luna (chiamata, ipocritamente, “attore politico del Paese”), con l’obiettivo di raggiungere una “soluzione negoziata e sostenibile”, il cui contenuto, essenzialmente, è quello dell’accordo che Evo firmerà con l’opposizione, e che commentiamo nell’articolo principale di quest’edizione. Non è casuale che il diario spagnolo El País dia conto della riunione col titolo: “Lula prende le redini della crisi boliviana”.
Affinché non rimangano dubbi sul fatto che la posizione di Lula e del governo brasiliano è pienamente favorevole alla borghesia della Mezza Luna, leggiamo queste dichiarazioni di Marco Aurélio Garcia, consulente speciale del governo per le Relazioni Estere, sulla situazione (O Estado de São Paulo, 17/9/08): “Nella nostra valutazione, c’è un aspetto negativo ed altro positivo … Quello negativo è stato l’ordine di carcerazione per il governatore di Pando, Leopoldo González. Quello positivo è stato lo stabilirsi di un’agenda di negoziati tra governo ed opposizione intorno a tre punti: cambiamenti nel progetto costituzionale, autonomia dei dipartimenti ed imposte”.
Nero su bianco, per il governo brasiliano, è “negativa” la detenzione di un governatore responsabile per l’assassinio di decine di contadini da parte di bande fasciste ed è “positivo” che il governo accetti di capitolare a tutte le richieste della borghesia della Mezza Luna.
È a partire da questa posizione del governo di Lula che deve valorizzare il vero significato della riunione e della dichiarazione dell’Unasur. È certo che, da una parte, si appoggia il governo di Evo di fronte a “qualunque tentativo di golpe o di divisione del Paese”. Ma, contemporaneamente, e questo finisce per essere l’obiettivo di fondo della riunione, la dichiarazione finale è tutta incentrata nel sostenere e garantire un negoziato che significhi una nuova capitolazione di Evo all’estrema destra.
L’Unasur nacque con la supposta intenzione da essere un’organizzazione internazionale diversa dall’Oea, più indipendente dagli Usa, poiché i rappresentanti di questo Paese non v partecipano. Di fronte alla situazione boliviana, avrebbe potuto dimostrare subito questa “indipendenza”. Per esempio, decidendo di espellere tutti gli ambasciatori statunitensi del subcontinente, come hanno fatto i governi di Evo e di Chávez, e rompendo le relazioni diplomatiche con gli Usa fino a che il governo di questo Paese darà appoggio alla borghesia della Mezza Luna. Ma, lungi dal prendere questi minimi provvedimenti politici indipendenti, oggi i rappresentanti dell’Unasur, insieme all’Oea, all’Onu ed alla Chiesa, stanno in Bolivia come ispettori per “santificare” la capitolazione di Evo.
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Che cos’è il fascismo e come combatterlo?
Negli ultimi decenni si è generalizzata una tendenza nella sinistra mondiale di definire come “fascista” ogni movimento, governo o politica reazionaria di destra o che sostenga una politica repressiva contro il movimento di massa. In questo modo, si considerano “fascisti” numerosi movimenti, organizzazioni e governi in tutto il mondo, a partire da quello di Bush con la sua politica.
Questa generalizzazione abusiva, inaugurata dallo stalinismo durante il periodo in cui sorse il fascismo europeo (gli anni ’20 e ’30), impedisce di comprendere e studiare le vere caratteristiche di questi processi e, pertanto, proporre le politiche ed i metodi adeguati per lottare contro di essi.
Ma la cosa più grave è che coloro che utilizzano in modo generalizzato la definizione di “fascista” non applicano le lezioni storiche su come i lavoratori e le masse dovrebbero combattere il vero fascismo. In tal modo, le loro proposte politiche confondono doppiamente il movimento di massa.
Attualmente, questo dibattito si sviluppa attorno alla discussione sulle caratteristiche dal movimento politico sostenuto dalla borghesia della Mezza Luna in Bolivia e come affrontarlo. Per meglio affrontare questo tema specifico, ci sembra opportuno richiamare alcuni definizioni di León Trotsky che, di fronte alla confusione creata dallo stalinismo, fu quello che più seriamente studiò il fenomeno del fascismo e realizzò le proposte più appropriate per sconfiggerlo, specialmente nella serie di articoli scritti durante gli anni ’30, riuniti nell’opera “La lotta contro il fascismo in Germania”.
Alcune definizioni di Trotsky
Vediamo le questioni centrali sviluppate dal rivoluzionario russo in questi articoli:
a) Egli definisce al fascismo come un movimento politico sostenuto ed al servizio dei settori più concentrati del capitale finanziario e monopolistico, che recluta la piccola borghesia disperata ed impoverita dalla crisi, frange operaie colpite dalla disoccupazione ed elementi del sottoproletariato, per attaccare e sconfiggere il movimento operaio e di massa con metodi di guerra civile.
b) Le organizzazioni fasciste sono, inizialmente, marginali o piccole. Ma rapidamente possono acquisire un peso di massa poiché l’aumento della disperazione di quei settori sociali li spinge verso destra, nella misura in cui la prospettiva della rivoluzione socialista non si concreta e, pertanto, la classe operaia si debilita come alternativa di direzione per offrire un’uscita alla crisi e la decadenza. In questo senso, Trotsky segnala, nel 1930, che “se il partito comunista è il partito della speranza rivoluzionaria, il fascismo, come movimento di massa, è il partito della disperazione controrivoluzionaria”.
La lotta per la piccolo-borghesia
Per questo, la politica che Trotsky propone per combattere il fascismo si concentra su due questioni principali. La prima è che questa battaglia era, in larga misura, una lotta affinché il movimento operaio guadagnasse al suo campo la piccola borghesia o suoi settori importanti. In epoche di crisi e di processi rivoluzionari, questo complesso settore sociale, incapace di essere il soggetto di un’adeguata via d’uscita politica, oscilla tra la classe operaia e la borghesia, tra svolte a sinistra o a destra.
Se la classe lavoratrice appare come un chiaro polo indipendente ed offre una possibilità certa di rivoluzione socialista, guadagnerà a questa prospettiva importanti settori piccolo borghesi. Qui entra in gioco un fattore fondamentale: l’esistenza di una direzione rivoluzionaria (o un’alternativa di direzione) che sostenga questa politica.
Al contrario, se la classe operaia non offre una chiara alternativa e la prospettiva della rivoluzione socialista si stempera e ritarda, il fascismo guadagna settori crescenti e si rafforza sempre di più. In altre parole, la crescita delle organizzazioni fasciste è inversamente proporzionale alla forza di attrazione della classe operaia e delle sue organizzazioni.
Perciò, egli criticò duramente la politica di spingere i governi di “fronte popolare” (che si produssero, ad esempio, in Francia e Spagna) che lo stalinismo cominciò a sostenere nel 1934. Cioè, governi borghesi composti dalle organizzazioni e dai partiti operai insieme a settori non fascisti della borghesia. Trotsky qualificò il fronte popolare come “il penultimo tentativo della borghesia per frenare la rivoluzione, prima del fascismo”.
Avvisava che, lungi dall’aiutare a sconfiggere il fascismo, giustificazione utilizzata dallo stalinismo e dalla socialdemocrazia per entrarvi, i fronti popolari, per la loro politica di conciliazione di classe e di controllo della mobilitazione operaia affinché non superasse i limiti del regime borghese, avrebbero aiutato solo il suo trionfo, come poi sarebbe successo in Spagna, nel 1939.
Egli sosteneva che, al di là della possibilità di realizzare azioni unitarie specifiche con settori borghesi per combattere il fascismo, l’unica politica rivoluzionaria per i partiti e le organizzazioni operaie era quella di non riporre alcuna fiducia né dare nessun appoggio a questi governi. Doveva essere mantenuta la più assoluta indipendenza ed autonomia politica, per combattere sia il fascismo, sia l’insieme della borghesia ed il suo governo. Qualunque forma di appoggio a quei governi, comprese quelle indirette o dissimulate, avrebbero porterebbero, come abbiamo visto, alla sconfitta della classe operaia ed avrebbero aperto la strada al trionfo del fascismo.
La necessità di combattere il fascismo nelle strade
Il secondo aspetto centrale della sua proposta si riassume in una frase di grande importanza: “Col fascismo non si discute, il fascismo lo si combatte”. In tal modo, evidenziava che, di fronte a movimenti di questo tipo, non si poteva agire come con altre correnti, disputando la sua influenza tra i lavoratori e le masse attraverso l’attività politica tradizionale (“Col fascismo non si discute”).
Per Trotsky, il centro dell’azione dei lavoratori doveva stare nella lotta fisica, il combattimento militare contro le bande fasciste (“il fascismo lo si combatte”). Perciò, proponeva la formazione di gruppi di autodifesa e milizie operaie, capaci, in primo luogo, di difendere i quartieri, i sindacati, gli scioperi e le mobilitazioni operaie contro gli attacchi fascisti. Nella misura in cui si fossero ottenuti trionfi parziali in questi scontri, questo avrebbe rafforzato la fiducia e la determinazione dei lavoratori ed avrebbe continuato a demoralizzare le basi fasciste, permettendo così di passare ad un’offensiva più generalizzata per distruggere quelle organizzazioni.
Assolutamente in rapporto con quanto appena detto, è la sua proposta di formare un fronte unico delle organizzazioni operaie (principalmente di quelle comuniste e socialdemocratiche, i due grandi partiti operai dell’Europa, in quell’epoca). Questo fronte aveva come obiettivo quello di dare una risposta unitaria della classe agli attacchi fascisti. Al tempo stesso, costituiva il tentativo di sostenere le lotte unificanti contro gli attacchi economici della borghesia (caduta del salario per l’inflazione, disoccupazione, ecc.), nella prospettiva che queste lotte potessero essere il preambolo della lotta più strategica per la rivoluzione socialista.
Alcuni lezioni per la Bolivia attuale
In questo quadro teorico politico, affrontiamo, ora, la situazione boliviana. È necessario aggiungere un elemento: la Bolivia non è un Paese imperialista, bensì una semicolonia molto povera. Vale a dire, non si tratta direttamente di un movimento sostenuto direttamente dalla borghesia monopolista più concentrata (quella imperialista), bensì da una borghesia profondamente dipendente. Ricordiamo che Trotsky, paragonando le forme che adottavano i regimi politici in America Latina e quelli dei paesi imperialisti, negli anni ’30, sottolineò sempre questa differenza ed utilizzò denominazioni distinte per caratterizzarle: bonapartismo sui generis, semifascismo, etc.
Indipendentemente da queste considerazioni teoriche, è evidente che il progetto politico della borghesia della Mezza Luna ha sviluppato forti tratti fascisti. In primo luogo, è la risposta del settore più forte della borghesia del Paese ad un processo rivoluzionario che non è stato sconfitto ma che, contemporaneamente, non avanza verso una rivoluzione operaia socialista. In secondo luogo, coesiste con un governo di fronte popolare rispetto al quale si considera “nemico”, senza che ciò gli impedisca di approfittare della politica del governo stesso, conciliatrice e di controllo della mobilitazione delle masse, per avanzare e fortificarsi. Al tempo stesso, la sua ideologia è chiaramente razzista e di disprezzo verso gli “indios”.
Tuttavia l’aspetto più importante, è che, essendo riuscito ad ottenere il potere dipartimentale, questa borghesia sostiene e si appoggia su organizzazioni che, come l’Unione Giovanile Cruceña, guadagnano settori della piccola borghesia per attaccare il movimento di massa con metodi di guerra civile. Non solo lavoratori e settori urbani poveri bensì, specialmente, contadini.
È molto difficile precisare se questi “distaccamenti di scontro” hanno già peso di massa o se sono ancora organizzazioni di un’avanguardia numerosa ed attiva. Ma l’esperienza storica dimostra che, se il rivale non lo si affronta con grande decisione, esso cresce molto rapidamente.
Perciò, mentre progrediamo nell’elaborazione teorico politica per precisare la sua caratterizzazione, è imprescindibile riprendere le proposte politiche di Trotsky per combattere il fascismo.
In primo luogo, che col fascismo non si discute ma lo si combatte nella lotta fisica e nello scontro militare. Questa è l’unica forma reale per sconfiggerlo. In secondo luogo, che la politica di conciliazione di classe proposta dai fronti popolari porta solo al rafforzamento ed al trionfo del fascismo. Pertanto, appoggiare quei governi borghesi, con la giustificazione di “combattere uniti il fascismo”, finisce per essere una strada verso la sconfitta. Solo un’azione e l’organizzazione indipendente della classe operaia può affrontarlo. In terzo posto, è necessario che la classe operaia avanzi nella prospettiva della rivoluzione socialista per essere un polo chiaro di riferimento per la piccola borghesia, sempre più sedotta dal fascismo, e così guadagnarla o, per lo meno, dividerla.
(Traduzione dall’originale in spagnolo di Valerio Torre)