Partito di Alternativa Comunista

Alt al massacro israeliano nella Striscia di Gaza!

Alt al massacro israeliano nella Striscia di Gaza!

dichiarazione della lit-ci

 

 

Lo Stato d’Israele sta realizzando un massacro nella striscia di Gaza. Più di 300 palestinesi sono già morti in seguito ai bombardamenti indiscriminati dell’esercito sionista. Con questo massacro della popolazione civile, Israele pretende di sconfiggere il popolo palestinese. Hamas, che ha vinto le elezioni nel 2006, è riuscita a rendere indipendente un pezzo della sua terra espellendo gli agenti di Israele, come dicevamo nella dichiarazione della Lit-Ci in occasione del 60° anniversario della creazione dello Stato d’Israele:

"Nonostante i tentativi conciliatori di Hamas, che ha fatto appello a formare un ‘governo di unità nazionale' con Al Fatah, a metà del 2007, la situazione si è trasformata in uno scontro aperto tra entrambe le forze ed in un colpo di stato organizzato da Abbas per sostituire Hamas e prendere il controllo totale del governo. La reazione delle masse di Gaza ha spinto Hamas ad espellere da questo territorio l'apparato militare di Abbas e la polizia di Al Fatah. È stato un grande trionfo delle masse palestinesi perché hanno liberato Gaza dal controllo di Israele e dei suoi agenti, trasformandola così, nei fatti, in un territorio palestinese indipendente, benché in condizioni di isolamento molto difficili".

 

 

Sconfiggere Gaza a qualunque prezzo

Questa situazione era del tutto intollerabile per un Stato come Israele, che ha cominciato un'azione combinata di attacchi militari, prima per distruggere le infrastrutture per la produzione di elettricità e somministrazione d'acqua e dopo con bombardamenti diretti sulla popolazione civile, ed un embargo assoluto per ostacolare l'ingresso di alimenti, medicine e combustibili. Bisognava sconfiggere ad ogni costo la resistenza del popolo di Gaza ed obbligarlo ad arrendersi.
All'embargo, alle incursioni ed ai bombardamenti, che si susseguivano senza soluzione di continuità dal 2006, si è aggiunta ora quest'offensiva brutale. Il popolo palestinese ha poco più che i propri corpi per resistere alle bombe israeliane. L'attacco, che si è verificato pochi giorni prima dell'insediamento del neoeletto presidente degli Usa, Barack Obama, serve a non lasciare dubbi su qual è la strada che Israele intende percorrere. Benché Obama non si sia pronunciato in questa occasione, quando ha visitato Israele già ha detto che farebbe la stessa cosa degli israeliani se vivesse dove arrivano i missili palestinesi.
Per poter appoggiare ancora Israele sul suo genocidio, il governo Bush attribuisce la responsabilità ad Hamas. I rappresentanti europei insistono sul fatto che il mondo arabo deve accettare le pretese israeliane in territorio palestinese, sicché il ministro degli Esteri britannico ha dichiarato: "I leader del mondo arabo hanno una grande opportunità di rendere chiaro che gli interessi del popolo palestinese possono essere assicurati solo attraverso un stato palestinese realizzabile in coesistenza con un Israele sicuro". Moratinos, il ministro degli Esteri di Zapatero, ha chiesto una tregua affinché si torni al tavolo del negoziato, avvertendo anche che è Hamas che è responsabile dell'attuale offensiva dell'Israele.
L'amministrazione fantoccio di Mahmoud Abbas si è aggiunta a questa mostruosa tiritera ed ha avuto l'audacia di dire che responsabile degli attacchi genocidi di Israele era la stessa Hamas, per "non aver rinnovato la tregua con Israele", in un tradimento in più alla causa palestinese. In realtà, quella tregua era stata utilizzata da Israele per mantenere l'assedio alle somministrazioni di alimenti, medicine e combustibili, contemporaneamente esigendo che nessun missile o arma fosse utilizzata dai palestinesi assediati e che lo Stato nazista potesse perseguire e bombardare a suo piacimento qualunque zona della stessa Striscia di Gaza (30 morti in 6 mesi). Quando è finito il primo periodo, Hamas ha preteso di esigere la rimozione dell'assedio per rinnovare la tregua.
Perfino i funzionari dell'Unrwa, organismo dell'Onu per i rifugiati, hanno dichiarato che Israele commetteva crimini umanitari mantenendo quell'assedio. Come rappresaglia per questa dichiarazione, ad uno dei suoi funzionari, Richard Falk, il governo israeliano ha impedito di entrare nei territori occupati.
Il governo egiziano di Mubarak ha tollerato che il primo ministro Tzipi Livni dichiarasse la sua intenzione di invadere Gaza dal suo stesso palazzo presidenziale nel Cairo, e, ciò che è più grave, ha ostacolato l'ingresso di rifugiati mantenendo chiuse le frontiere con Gaza, aiutando così l'assedio sionista. Mubarack si è trasformato in complice della morte di centinaia di palestinesi.
Il governo israeliano, che ha ammazzato quotidianamente in tutto questo periodo e sottomette a condizioni subumane più di 1.500.000 persone, ha accampato la scusa della mancata ratifica da parte di Hamas del cessate il fuoco, che è una condanna a morte in vita, ed i missili che dalla Striscia di Gaza riescono ad arrivare sulle popolazioni israeliane con i pochi bersagli colpiti, per giustificare il suo attacco. Le aggressioni continue che ha portato a termine durante il cosiddetto cessate il fuoco non contano, Israele pretende che il cessate il fuoco sia unilaterale: i palestinesi devono lasciarsi massacrare senza difendersi.
La Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale (Lit-Ci) si colloca al fianco del paese palestinese e del suo diritto a porre fine all'occupazione della sua terra che dura già da 60 anni.

La Lit-Ci fa appello a tutte le organizzazioni politiche, sindacali e sociali affinché si pronuncino e si mobilitino urgentemente contro il nuovo massacro che Israele sta perpetrando. Dobbiamo esigere la rottura di relazioni con lo Stato sionista e dare tutto l'appoggio alla resistenza palestinese.

 

ALT AL GENOCIDIO NELLA STRISCIA DI GAZA!

ABBASSO LO STATO D'ISRAELE!

VIVA LA RESISTENZA DEL PAESE PALESTINESE!

 

Segretariato Internazionale della Lit-Ci

 

San Paolo, 29 dicembre 2008

 

*  *  *

 

Riproduciamo per la sua attualità il testo completo della nostra dichiarazione dello scorso mese di maggio.

 

A 60 anni dalla sua creazione

Per la fine dello Stato d'Israele

Per la costruzione di una Palestina laica,

democratica e non razzista

 

Il 14 maggio si sono compiuti 60 anni dalla fondazione dello Stato d'Israele, basata su una risoluzione dell'Onu del 1947, con l'occupazione del 55% del territorio dell'allora Mandato britannico in Palestina.
La leggenda creata dal sionismo afferma che lì si unirono "un popolo senza terra" (gli ebrei) con una "terra senza popolo" (la Palestina). La realtà, tuttavia, era molto diversa. L'organizzazione sionista mondiale e le potenze imperialiste (Usa ed Inghilterra), con l'avallo della burocrazia stalinista che governava la ex Urss, utilizzarono come scusa il dramma delle migliaia di rifugiati ebrei europei, brutalmente perseguitati dal nazismo, per trasferirne una parte in Palestina, in modo totalmente artificiale e con grande appoggio finanziario. È notorio che questo progetto fu sostenuto da parte di vari milionari ebrei europei, come i banchieri Rothschild. La risoluzione dell'Onu legalizzò quest'usurpazione.
Fu creata così un'autentica enclave imperialista. Vale a dire, un territorio usurpato alla nazione palestinese nella quale si insediarono migliaia di immigrati, provenienti specialmente dall'Europa orientale, totalmente dipendenti da questo appoggio finanziario per sopravvivere e, pertanto, disposti a difendere la politica dell'imperialismo nella regione. Ben Gurion, uno dei principali dirigenti sionisti dell'epoca e primo presidente di Israele, espresse con grande chiarezza questa profonda associazione del sionismo con l'imperialismo statunitense: "La nostra più grande preoccupazione era la sorte che sarebbe stata riservata alla Palestina dopo la guerra. Già era chiaro che gli inglesi non avrebbero conservato il loro Mandato. Se pure si avevano tutti i motivi di credere che Hitler sarebbe stato sconfitto, era evidente che la Gran Bretagna, anche se vittoriosa, sarebbe rimasta molto indebolito dal conflitto. Per questo, io non avevo dubbi che il centro di gravità delle nostre forze doveva passare dal Regno Unito all'America del Nord, che era sul punto di diventare il primo paese del mondo"[1].
D'altro lato, la Palestina non era una "terra senza popolo", bensì la patria storica degli arabi palestinesi, in cui aveva convissuto in pace, per molti secoli, una minoranza di ebrei di origini arabe. All'atto della sua stessa fondazione, Israele non si limitò ad usurpare il territorio aggiudicato dall'Onu: il movimento sionista pianificò ed eseguì un'offensiva per appropriarsi di una parte del settore concesso ai palestinesi (il 20% in più della superficie totale) espellendone gli abitanti.
Lo fece attraverso le sue organizzazioni armate e con metodi terroristici contro la popolazione civile. Nel villaggio di Der Yasin, ad esempio, le milizie sioniste assassinarono 254 dei suoi 700 abitanti, un massacro che fu un autentico simbolo di come è stato creato lo Stato di Israele. In tal modo, 800.000 palestinesi (un terzo della popolazione dell'epoca) furono espulsi dalla loro terra ed iniziarono a vivere il dramma dei rifugiati.
Non è casuale, dunque, che i palestinesi ricordino questa data come la nakba (catastrofe) poiché significò l'inizio di una dolorosa realtà. Attualmente, il popolo palestinese è diviso fra coloro che vivono all'interno di Israele, discriminati e trattati come abitanti di seconda classe; gli abitanti di Gaza e Cisgiordania, sottomessi all'assedio ed all'aggressione permanente del sionismo, e più di 6 milioni di rifugiati nelle nazioni arabe, che vivono in accampamenti precari, spesso perseguitati e repressi dagli stessi governi arabi.
Per questo, da allora, il popolo palestinese, ed anche l'insieme delle masse arabe, si sono posti la necessità di lottare per la liberazione della loro terra espellendone l'invasore sionista.
La Lit-Ci (Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale) appoggia incondizionatamente questa lotta del popolo palestinese contro lo Stato sionista. In questo senso, non facciamo altro che mantenere la storica posizione della IV Internazionale che, nel 1948, approvò una risoluzione contro la creazione dello Stato di Israele ed appoggiò la rivendicazione palestinese sul suo storico territorio.

 

 

Israele: agente militare dell'imperialismo nel Medioriente

L'obiettivo dell'imperialismo, specialmente quello statunitense, con la fondazione di Israele, è stato quello di avere un agente militare diretto nel Medioriente. Una regione che, oltre a possedere le maggiori riserve di petrolio del mondo, viveva un forte processo di lotta antimperialista e contro le corrotte "monarchie petrolifere". Si trattava di avere "proprie truppe" al proprio servizio contro il popolo palestinese e le masse arabe.
Non è casuale che dalla sua creazione, come autentico "avamposto militare", Israele abbia sempre vissuto in stato di guerra ufficiale o di fatto. Le azioni ed aggressioni militari di questo Stato, dal 1948 ad oggi, sono state le seguenti:

 

1948: Espulsione con metodi terroristici di 800.000 palestinesi. Guerra contro nazioni arabe.

1956: Guerra contro l'Egitto, che aveva nazionalizzato il Canale di Suez (alleanza segreta con la Francia e la Gran Bretagna).

1967: "Guerra dei sei giorni" contro le nazioni arabe: occupazione militare di Gaza, Cisgiordania, alture del Golan (Siria) e penisola del Sinai (Egitto).

1973: "Guerra dello Iom Kippur"contro le nazioni arabe.

1982: Invasione ed occupazione del sud del Libano (sconfitto dopo alcuni anni, Israele si ritirerà "ufficialmente" nel 2000).

1987-1989: Repressione della Prima Intifada (Gaza).

1991: Attacco aereo all'Iraq (Prima Guerra del Golfo).

2000: Repressione della Seconda Intifada (Gaza).

2006: Seconda invasione del Libano (Israele è stato sconfitto dalla resistenza di Hezbollah).

2006-2008: Minaccia di "attacchi aerei lampo" all'Iran.

2007-2008: Attacchi militari ed embargo a Gaza.

 

 

Uno stato militarizzato

L'obiettivo della creazione di Israele, espresso nella precedente cronologia, spiega perché la popolazione israeliana viva sempre "sul piede di guerra". Al compimento dei 18 anni, ogni cittadino deve svolgere un servizio militare obbligatorio, tre anni per i maschi e due per le femmine. Dopo di che, rimangono come "riservisti" fino ai cinquant'anni, con un mese di addestramento annuale obbligatorio.
Per questi "servizi militari", gli Usa inviano "ufficialmente" 3 miliardi di dollari all'anno ed ancora 2 miliardi ad altri vari titoli. A questo, debbono aggiungersi i fondi raccolti dalle organizzazioni sioniste di tutto il mondo. In tal modo, Israele riequilibra il deficit della sua bilancia commerciale (10 miliardi di dollari) ed il suo cronico deficit di bilancio.
Allo stesso tempo, la costruzione di armamenti e tecnologia militare e di sicurezza si è trasformata, da parecchi anni, nella principale attività economica del paese e nella principale voce di esportazioni (12 miliardi di dollari, il 40% del totale), dissimulata nelle statistiche come "esportazione di alta tecnologia".
In altre parole, la maggioranza della popolazione israeliana vive, direttamente o indirettamente, del bilancio militare e dell'industria degli armamenti. Per questo, le forze armate sono, in realtà, l'istituzione più importante dello Stato. Non è casuale che la maggioranza dei leader politici più importanti della storia del paese siano stati in precedenza capi militari.

 

 

Uno stato razzista

Un'altra grande menzogna del sionismo è che Israele è uno Stato "democratico e progressista". Nulla di più falso. Sin dalla sua fondazione, si è costituito come uno Stato razzista, per la sua ideologia e le sue leggi destinate ad espropriare le case e le terre dei palestinesi.
Israele è ufficialmente uno "stato ebraico". Vale a dire, non è lo stato di tutti quelli che risiedono nel paese o vi siano nati, ma possono essere considerati cittadini soltanto quelli che si considerano di fede o di discendenza ebraica. Il 90% delle terre vengono riservate esclusivamente agli ebrei, attraverso il Fondo Nazionale Ebraico, il cui statuto definisce queste come "terre di Israele", le vincola a questa istituzione ed esse non possono essere vendute, affittate e neanche lavorate da un "non ebreo". Ai palestinesi è proibito comprare o anche affittare le terre annesse allo Stato dal 1948.
Sin dalla fondazione del paese, esiste un sistema di discriminazione razziale che domina assolutamente tutti i destini delle vite palestinesi. Cosa si potrebbe dire oggi di un paese la cui politica ufficiale fosse l'espropriazione delle terre degli ebrei o che semplicemente proibisse a qualsiasi ebreo di potervisi stabilire sposandosi con una non ebrea? Ovviamente, lo si definirebbe come un flagrante caso di discriminazione antisemita tanto da poterlo comparare col nazismo o con l'apartheid sudafricano. Tuttavia, questo criterio è legale in Israele, grazie ad una serie di istituzioni e leggi che riguardano soltanto i suoi abitanti non ebrei.
La Legge della Nazionalità stabilisce chiare differenze fra ebrei e non ebrei per ottenere la cittadinanza. Per la Legge della Cittadinanza, nessun cittadino israeliano può sposarsi con un residente dei territori palestinesi occupati. Ove questo accada, perde i diritti di cittadinanza israeliana e la famiglia, se non è separata, deve emigrare.
Per la Legge del Ritorno, qualsiasi ebreo del mondo, se si trasferisce nel paese, può essere cittadino israeliano ed ottenere un'infinità di privilegi che i nativi non ebrei non possiedono. Però i familiari dei palestinesi dello Stato di Israele che vivono all'estero (molti di essi espulsi dalle loro terre in Palestina o i loro discendenti) non possono ottenere lo stesso beneficio per il solo fatto di non essere ebrei.
La Legge dell'Assente permette l'espropriazione delle terre che non siano state coltivate per un certo tempo. Però mai è stata espropriata la terra di un ebreo. La maggioranza delle espropriazioni si sono realizzate contro rifugiati palestinesi in esilio, palestinesi abitanti di Israele ed ogni palestinese che risiedeva sulla riva occidentale del fiume Giordano ed aveva terre nella zona allargata di Gerusalemme.

 

 

La falsa "democrazia israeliana"

La stampa occidentale, specialmente i media imperialisti, non si stancano di ripetere che Israele è "l'unica democrazia del Medioriente". Tuttavia, come può chiamarsi "democrazia" un regime che persegue persone per la loro razza o religione? Come può essere chiamato "democratico" un regime nel quale gli abitanti originari espulsi nel 1948 non hanno il diritto di ritornare alle loro case e terre e gli abitanti dei territori occupati nel 1967 non hanno nessun diritto civile?
Un regime nel quale i pochi deputati di origine araba non possono criticare il sionismo, sotto minaccia di pesanti sanzioni penali, oppure sono obbligati ad uscire dal paese, come è accaduto ad Azmi Bishara. Nel quale i pochissimi intellettuali ebrei che mettono in discussione le menzogne sull'origine di Israele, o si oppongono alle atrocità dei governi sionisti, sono sottoposti ad intimidazioni e messi nell'impossibilità di realizzare le loro ricerche, come è accaduto con Ilan Pappe, che ha abbandonato Israele nel 2007 per esercitare la docenza in Inghilterra, a causa della pressione che subiva nell'Università di Haifa e delle minacce di morte da parte di gruppi sionisti. Nel quale il fisico Mordechai Vanunu, per il preteso "crimine" di aver rivelato l'esistenza di armi nucleari segrete, venne sequestrato in Europa e, dopo aver scontato 20 anni di carcere, non può uscire dal paese né rilasciare interviste.
In qualsiasi paese del mondo, questa realtà sarebbe definita come un'atroce dittatura appena mascherata da "democrazia" ad opera degli oppressori sionisti, la stessa "democrazia" dei bianchi sudafricani durante l'apartheid.

 

 

Il genocidio dei palestinesi

Israele deve esercitare una permanente violenza contro la popolazione dominata. Al fine di mantenere il suo carattere coloniale e razzista, non può tollerare nessuna resistenza interna, né minacce alle sue frontiere. Il suo stesso carattere lo porta ad essere espansionista ed a reprimere qualsiasi minimo dubbio sulla sua natura.
Per questo, Israele ha sempre praticato una politica di "pulizia etnica" dei palestinesi, sradicandoli dalle loro terre ataviche o reprimendo duramente sia quelli che vivono all'interno delle sue frontiere sia quelli nei territori di Gaza e Cisgiordania.
Circa 11.000 prigionieri politici palestinesi imputridiscono nelle carceri sioniste, centinaia di essi sono bambini e donne. Una di esse ha partorito, ammanettata, nella prigione, dove resta con suo figlio; 70 prigionieri hanno già scontato più di 20 anni di carcere. La tortura è praticata con l'autorizzazione della magistratura e gli "omicidi mirati" di combattenti nei Territori sono una routine quotidiana.
La Lit-Ci definisce lo Stato israeliano come "nazista" perché quando si perseguita un popolo intero, con l'obiettivo di eliminarne l'identità, di renderlo schiavo o espellerlo dalla sua terra, non c'è altro nome che meglio possa esprimere quest'essenza politica. La terribile contraddizione storica è che sono i discendenti dei perseguitati in Europa dal nazismo quelli che ora applicano questi stessi metodi contro un altro popolo.
La sua popolazione, educata per essere sempre al servizio dell'esercito, accetta con naturalezza, ad asfissiante maggioranza, questa realtà di aggressioni militari ai palestinesi ed ai popoli arabi e questa politica genocida, poiché solo la forza delle armi può garantire la sopravvivenza dell'enclave coloniale.

 

 

Gaza: territorio palestinese indipendente

La crescente difficoltà dell'imperialismo e di Israele per sconfiggere la resistenza palestinese li ha portati a sostenere, nel 1993, gli Accordi di Oslo. In essi, l'organizzazione Al Fatah e l'Olp, fino ad allora indiscussa direzione del popolo palestinese, riconobbero l'esistenza dello Stato di Israele e ne legalizzarono l'usurpazione della maggioranza del territorio palestinese. In tal modo, abbandonarono e tradirono la lotta del loro popolo. In cambio, ebbero la promessa che in futuro sarebbe stata permessa la nascita di uno "Stato palestinese" e la creazione immediata, a Gaza ed in Cisgiordania, della Anp (Amministrazione Nazionale Palestinese). Si trattava, in realtà, di piccoli territori isolati, simili ai bantustan sudafricani all'epoca dell'apartheid.
Nel 2006, l'organizzazione Hamas ha vinto le elezioni della Anp. Il suo trionfo è stato dovuto al fatto che ancora manteneva nel suo programma la proposta della fine dello Stato di Israele e l'appello a lottare contro di esso. La vittoria elettorale di Hamas ha messo in crisi la politica degli Accordi di Oslo ed ha mostrato il rifiuto maggioritario del popolo palestinese di detti accordi. Ha evidenziato anche il profondo logoramento della direzione di Mahmud Abbas e di Al Fatah, trasformata oggi in un agente incondizionato di Israele e dell'imperialismo.
Al di là degli intenti conciliatori di Hamas, che, a metà del 2007, ha fatto appello a formare un "governo di unità nazionale" con Al Fatah, la situazione è sfociata in scontri aperti fra entrambe le forze ed in un colpo di stato organizzato da Abbas per sostituire Hamas e prendere il controllo totale del governo. La reazione delle masse di Gaza ha spinto Hamas ad espellere da questo territorio l'apparato militare di Abbas e la polizia di Al Fatah. È stato un grande trionfo delle masse palestinesi perché hanno liberato Gaza dal controllo di Israele e dei suoi agenti, trasformandola così, nei fatti, in un territorio palestinese indipendente, quantunque in condizioni di isolamento molto difficili.

 

 

Sconfiggere Gaza a qualsiasi prezzo

Questa situazione era del tutto intollerabile per uno Stato come Israele, che ha iniziato un'azione combinata di attacchi militari, prima per distruggere le infrastrutture per la generazione di elettricità e per la somministrazione di acqua e dopo con bombardamenti diretti sulla popolazione civile ed un embargo serrato per impedire l'ingresso di alimentari, medicinali e combustibili. Occorreva sconfiggere a qualsiasi costo la resistenza del popolo di Gaza obbligandolo ad arrendersi.
L'estrema crudeltà di questa politica israeliana, il suo embargo ed i suoi attacchi genocidi, non sono altro che la continuità dei numerosi crimini che i sionisti hanno commesso nei sessant'anni di esistenza di Israele. Questa politica ricorda, sotto vari aspetti, quella che i nazisti usarono contro gli ebrei, durante la Seconda Guerra Mondiale, specialmente la creazione del Ghetto di Varsavia che, nel 1943, si sollevò contro l'occupazione nazista. Addirittura, un ministro del governo israeliano di Ehmed Olmert, è arrivato a parlare di fare un "olocausto" a Gaza.
Però, se la sollevazione del Ghetto di Varsavia fu violentemente schiacciata, la resistenza delle masse di Gaza si mantiene in tutta la sua forza. Pochi mesi fa, esse sono giunte ad abbattere i muri di una parte della frontiera con l'Egitto ed hanno obbligato il governo di questo paese, la dittatura proimperialista di Hosni Mubarak, a lasciar passare, per qualche tempo, la popolazione palestinese affinché si approvvigionasse di alimentari e medicinali. Al tempo stesso, questa resistenza prosegue anche in un attacco fatto con missili approssimativi contro il territorio israeliano e riesce a tenere testa ad alcune incursioni delle forze militari sioniste, come nel caso dell'imboscata in cui sono stati uccisi tre soldati israeliani.

 

 

60 anni dopo, l'unica soluzione continua ad essere una Palestina Unica, Laica, Democratica e Non Razzista

La Lit-Ci rivendica che l'unica soluzione reale alla situazione di conflitto permanente della regione è la costruzione di una Palestina Unica, Laica, Democratica e Non Razzista, parola d'ordine fondativa dell'Olp, nel decennio del 1970.
Ci opponiamo alla proposta dell'Onu dei "due Stati", uno ebreo ed un altro palestinese, rivendicata, con qualche variante, da diverse organizzazioni di sinistra. In primo luogo, questo "Stato palestinese", limitato alla Striscia di Gaza e ad una parte della Cisgiordania, non avrebbe nessuna possibilità reale di autonomia economica o politica. L'accettazione di questo "mini-Stato" significherebbe, inoltre, negare il "diritto al ritorno" nella loro patria dei milioni di rifugiati poiché le loro case e terre espropriate permarrebbero in Israele. Dal punto di vista militare, questo piccolo Stato vivrebbe assediato da una permanente minaccia di aggressione da parte di un nemico armato fino ai denti.
In questa Palestina Unica, Laica, Democratica e Non Razzista, senza muri né campi di concentramento, potranno ritornare i milioni di rifugiati espulsi dalla loro terra e recupereranno i loro pieni diritti i milioni che vi rimasero e che oggi sono oppressi.
Potranno rimanere in essa anche tutti gli ebrei che siano disposti a convivere in pace ed in eguaglianza. In questo senso, facciamo appello ai lavoratori ed al popolo israeliano ad aggiungersi a questa lotta contro lo Stato razzista e gendarme di Israele. Benché sappiamo che, per il carattere della maggioranza della popolazione ebrea e israeliana che abbiamo segnalato, è molto probabile che solo una minoranza accetti questa possibilità e che la grande maggioranza sarà disposta a difendere fino alla fine, con le armi in pugno, l'attuale Stato sionista.
Però la costruzione di questa Palestina unita, basata su un recupero del suo territorio storico, ha il suo principale ostacolo nell'esistenza dello Stato di Israele, come enclave coloniale e stato gendarme dell'imperialismo. Per questo, La Lit-Ci afferma che non vi sarà pace in Medioriente, né un'autentica soluzione per il popolo palestinese, fino a che lo Stato di Israele non venga definitivamente sconfitto e distrutto. Cioè, fino a che il cancro imperialista che corrode la regione non sia estirpato definitivamente. Qualsiasi altra soluzione significa la sopravvivenza del "cancro" e la continuazione della sua azione letale e distruttiva. Questo compito storico, equivalente a quello che fu la distruzione dello stato nazista tedesco o di quello dell'apartheid sudafricano, è all'ordine del giorno.
Al tempo stesso, la Lit-Ci afferma che la lotta per una Palestina Laica, Democratica e non Razzista è una parte fondamentale delle lotte delle masse arabe ed un passo verso la costruzione di una Federazione Socialista delle Repubbliche Arabe.

 

 

È possibile sconfiggere Israele

Fino ad alcuni anni fa, il compito di sconfiggere Israele sembrava impossibile, dopo le sue schiaccianti vittorie militari fino al 1973. Questa è stata la scusa che hanno utilizzato molti governi arabi e la direzione di Al Fatah per giustificare la propria capitolazione ad Israele ed il loro tradimento della causa palestinese.
Sappiamo che la lotta contro un'usurpazione coloniale è sempre molto difficile. Per esempio, l'indipendenza dell'Algeria richiese anni di ribellione popolare, azioni di guerriglia ed una campagna mondiale di appoggio per ottenere di sconfiggere non solo l'esercito francese ma anche i gruppi fascisti, come l'Oas, ed obbligare i coloni imperialisti francesi ad accettare la loro sconfitta.
Però la realtà è molto cambiata dal 1973: le due Intifada palestinesi e la ritirata dal Libano, nel 2000, sono stati i primi sintomi dell'indebolimento di Israele. In modo ancora più evidente, la sconfitta delle truppe sioniste nel Libano di fronte alla resistenza diretta da Hezbollah, nel 2006, ha posto la sconfitta e la fine dello Stato di Israele come un compito possibile ed attuale.
Un indebolimento che si è espresso anche nella reazione della popolazione israeliana e nella profonda crisi politica che si è aperta nel paese. Per la prima volta, l'esercito sionista è uscito chiaramente sconfitto e logorato dal suo fallimento, mettendo in dubbio la sicurezza, fino ad allora assoluta, che esso era "invincibile" di fronte a possibili insurrezioni ed attacchi armati dei popoli arabi.
Al tempo stesso, l'immagine mondiale del sionismo, come un movimento "progressista" e, perfino, "socialista", crolla miseramente, mostrando la sua autentica natura. La distruzione causata nel Libano e l'azione genocida a Gaza hanno fatto sì che sempre più spesso intellettuali e settori medi, che prima simpatizzavano con Israele, ora lo critichino e lo denuncino con forza. Ciò ha permesso campagne di boicottaggio molto più efficaci, come in Inghilterra, ed azioni vittoriose, in Spagna, contro concerti musicali promossi da Israele. L'isolamento del sionismo è sempre più crescente nel mondo, specialmente nei settori operai e nei movimenti sociali.
Quest'indebolimento, inoltre, si produce nel quadro di una crescente crisi della politica di Bush nella regione (la "guerra contro il terrore"), impantanata in Iraq ed in Afganistan e profondamente messa in discussione negli stessi Usa. Israele è un tassello chiave del dispositivo militare imperialista in Medioriente e, come tale, sarà difeso fino all'ultimo dagli Usa. Però questa complessiva situazione apre una nuova occasione nella regione, perfino sul terreno militare.
L'appoggio della popolazione egiziana ai palestinesi che cercavano di approvvigionarsi e l'impossibilità dell'esercito egiziano di reprimerli; l'utilizzo, da parte dei gruppi della resistenza palestinese a Gaza, di tattiche ed armi come quelle usate con successo da Hezbollah in Libano; tutto ciò mostra che la situazione si fa più acuta in tutta la regione.
Questi fatti rendono possibile ed attuale il compito storico di sconfiggere lo Stato razzista di Israele, a sessant'anni dalla sua creazione. La condizione per questo è lo sviluppo di una lotta politica e militare unificata del popolo palestinese e dell'insieme delle masse arabe e musulmane. La Lit-Ci impegna tutte le proprie forze in appoggio a questo compito.

 

 

San Paolo, 12 maggio 2008

Segretariato Internazionale della Lit-Ci



[1] Una biografia di Ben Gurion, Michael Bar-Zohar.

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