Afghanistan: banco di prova per
l’imperialismo
Gli sconvolgenti dati del profitto delle
grandi imprese nel Paese
di Claudio
Mastrogiulio
Un comunista, per capire ed interpretare la
realtà che lo circonda, osserva il mondo attraverso la chiarificatrice lente
della lotta di classe a partire dalle basi materiali della realtà e dai rapporti
di forza tra le classi sociali in campo: borghesia e proletariato. Questi
rapporti non sono variati nel tempo, e anzi, si sono resi maggiormente
macroscopici e facili da osservare per chi come noi legge oggi le dinamiche
della società con il metodo del materialismo e della lotta di classe.
Basta avere un’autonomia di pensiero e un quoziente intellettivo appena
superiore ad un “celodurista” qualsiasi per capire che la situazione mondiale
rispecchia chiaramente un disegno di egemonia politica, economica e sociale così
imponente da far impallidire il pangermanesimo hitleriano. Nel Terzo Reich si
proclamava la “superiorità della razza ariana”, oggi, in quello che De Andrè
chiamava “Quarto Reich”, si straparla di “lotta al terrorismo”,“Stati canaglia”,
“esportazione della democrazia”,“missioni umanitarie” (sempre però accompagnate
da divisioni corazzate, bombe cluster, napalm, e generalmente contigue
a qualche pozzo petrolifero).
Uno degli esempi più eclatanti di questo infame
progetto è stata ed è tuttora l’invasione interimperialistica dell’Afghanistan;
interimperialistica perché se ad iniziare la guerra sono stati gli Usa, cioè i
capofila dell’imperialismo mondiale, a ruota troviamo Gran Bretagna, Italia,
Canada, Norvegia, Olanda, Francia, Germania, Australia e Nuova Zelanda, vale a
dire gran parte dei paesi appartenenti al G8. Questo dato oggettivo ci porta
inevitabilmente ad affermare che dietro tutte le giustificazioni ideologiche e
le coperture più o meno evidenti dell’oppressione, di un popolo su un altro, di
una classe su un’altra, ci sono sempre gli squallidi interessi particolari del
manipolo di capitalisti che dominano gli Stati nazionali ed il mondo intero. Ci
obiettano che Bush avrebbe iniziato questa assurda guerra con ancora negli occhi
gli assurdi attentati dell’11 settembre, ma non è affatto in questi termini che
va posta la questione. Sono infatti di dominio pubblico le informazioni che
certificano la totale ininfluenza del casus belli rispetto alla
decisione di invadere l’Afghanistan (ininfluente, tra l’altro, come tutti i
casus belli nella storia dell’umanità). Il 18 settembre 2001 Niaz Naik,
ex ministro degli Esteri pakistano dichiarò che già a metà luglio dello stesso
anno venne informato da ufficiali statunitensi circa un’imminente azione
militare contro l’Afghanistan che avrebbe dovuto tenersi nell’ottobre seguente.
Naik dichiarò anche che gli Usa non avrebbero rinunciato all’invasione
dell’Afghanistan nemmeno se i Talebani gli avessero consegnato Bin Laden.
Dati sui profitti dell’industria bellica
mondiale ed italiana
Così come la propaganda tedesca, nel corso
dell’invasione della Francia nel 1940, bollava come "terroristi" i resistenti,
anche nell’odierna versione dell’imperialismo la propaganda si accolla il lavoro
di fino, quello cioè di imbonire le menti delle masse con la precisa
mistificazione della realtà. E così, ad esempio, leggiamo e sentiamo
quotidianamente di “missioni umanitarie”, “aiuti umanitari”, “stabilizzazioni
del Paese” e così via. Nessuno parla delle oltre cinquemila vittime civili
afgane, nessuno parla delle atrocità commesse dagli eserciti imperialistici nei
confronti di un popolo inerme. In Afghanistan si assiste in maniera puntuale
all’abolizione di qualsiasi diritto umano, a crimini di guerra, a torture
sottaciute dall’intellighenzia occidentale, la quale però non manca di
esaltare gli epigoni del proprio imperialismo. E se poi qualche servo della Cia
o dell’esercito invasore muore durante la repressione di legittime resistenze
degli oppressi, ecco che centinaia di editoriali ed articoli vari vengono spesi
per ricostruire il “glorioso atto del caduto in nome della patria” (e dell’Eni o
Finmeccanica).
Nel marzo del 2002 alti ufficiali della Cia autorizzarono
"dure tecniche" di interrogatorio; contestualmente l’amministrazione Bush
dichiarò che i membri di al-Qaeda catturati sul campo di battaglia non erano
soggetti alla Convenzione di Ginevra. Le tecniche di interrogatorio tuttora
prevedono la possibilità di scuotere e schiaffeggiare i prigionieri, incatenarli
in posizione eretta, tenerli in una cella fredda e bagnarli con acqua. Gli Usa,
ovviamente, operano in una prigione segreta a Kabul dove queste tecniche sono
autorizzate.
Ed ora arriviamo ad uno degli aspetti più salienti e al contempo
evidentemente classisti dell’imperialismo: i profitti miliardari delle aziende
multinazionali produttrici di armi e le conseguenti ed esorbitanti spese
militari dei diversi Stati. Così possiamo osservare che, secondo dati risalenti
al 2005, la principale azienda mondiale di armamenti è la Boeing Usa con vendite
di armi per oltre 28 miliardi di dollari, seguita dalle statunitensi Northrop
Grumman (27,6 mld), Lockheed Martin (26,5 mld), dalla britannica Bae System
(23,2 mld) ed ancora da due aziende americane: la Raytheon (19,8 mld) e la
General Dynamics (16,6 mld). In totale nel mondo, nel 2005, le vendite di
armamenti sono salite a 290 mld di dollari.
E l’Italia . Con i “pacifisti” del Prc, Pdci, Sd
e Verdi al governo sarà diminuita la produzione bellica? Questo è l’esempio di
una domanda retorica che in una tragicommedia genererebbe il grottesco; nel
2006, infatti, l’Italia segna un record ventennale con 860 milioni di dollari di
esportazioni militari: era dal 1985 che non venivano superati gli 800 milioni di
dollari di esportazioni militari. Per quest’anno, inoltre, il governo amico (dei
padroni) ha votato il rifinanziamento per l’invasione militare dell’Afghanistan
con lo stanziamento di 310 milioni di euro per il 2007. 2007: cioè l’anno che ha
visto la finanziaria “lacrime e sangue” stangare i lavoratori, lo scippo del
Tfr, l’innalzamento dell’età pensionabile, il protocollo Damiano, la riforma
Fioroni; tutte manovre volte a far pagare al proletariato italiano la crisi del
capitalismo, sfociata inevitabilmente nella sua fase suprema e nel suo
imputridimento, l’imperialismo.
La battaglia dei comunisti
Chi, come il Pdac, ha l’obiettivo reale di contribuire al
cambiamento dello stato di cose presente non farà certo mancare la propria
solidarietà antimperialista alle vittime del vile attacco delle forze
multinazionali in Afghanistan. È altrettanto chiaro che in questo scenario i
comunisti devono dar vita ad un fronte unico con le organizzazioni della
resistenza, mantenendo la propria autonomia politica ed organizzativa, tentando
di indirizzare la maggior parte delle masse verso orizzonti scevri da
qualsivoglia estremismo religioso e caratterizzati da precisi connotati di
classe; con l’obiettivo di eliminare le radici politiche ed economiche
dell’imperialismo e di tutto il portato eccezionalmente sfruttatore che lo
caratterizza.