Rompere con l’Europa dei banchieri e dei padroni!
Che Confindustria, l’associazione degli industriali nostrani, rivendichi con orgoglio le politiche dell’Unione Europea non desta stupore. Dal Trattato di Maastricht del 1992 e, in particolare, dopo l’introduzione dell’euro agli inizi del Duemila, il capitale finanziario europeo ha, per così dire, messo su trippa: per questo ne sono stati alfieri e promotori, nel nostro Paese, sia i governi a guida Berlusconi sia quelli a guida PD (Pds prima).
Se dovessimo riassumere la storia dell’Unione Europea in poche righe, potremmo raccontarla come una favola (amara): c’erano una volta alcuni ricchi banditi (il capitale tedesco e francese in primis) che, approfittando del crollo dello stalinismo e dei suoi orrori, si sono fatti promotori di un piano di rapina a cui si sono associati, come in una battuta di caccia, alcuni malfattori meno potenti (gli imperialismi di seconda fila, tra cui Italia e Spagna) al fine di depredare i Paesi dell’Est Europeo e, in prospettiva (come poi è avvenuto), i Paesi meno ricchi del Continente.
Se noi guardiamo alla storia dell’Unione Europea senza gli occhiali deformanti della propaganda padronale - propaganda da cui le giovani generazioni sono bombardate in tutti gli ambiti educativi (dalla scuola primaria alle università) - non possiamo non riconoscere alcuni fatti elementari. Prima di tutto, da quando sono entrati nell’Ue, i Paesi dell’Est Europeo sono diventati riserva di caccia per le grandi borghesie di Germania, Francia e Inghilterra. Da Paesi vittime dello stalinismo (che ha portato alla restaurazione del capitalismo) i Paesi dell’Est Europa si sono convertiti in semicolonie degli imperialismi europei. Consideriamo qui i soli esempi di Lituania, Estonia e Lettonia: i governi di questi Paesi hanno attuato tagli draconiani alla spesa pubblica, provocando una vera e propria tragedia sociale (con riduzione del 30% del salario nominale, abbassamento del salario minimo e tagli selvaggi alle pensioni) e trasformandosi di fatto in riserve di manodopera a buon mercato. Sono numerose le grandi aziende italiane che ne hanno approfittato: in Lituania hanno de-localizzato, di norma dopo aver licenziato centinaia di operai in Italia, il Gruppo Marzotto (tre impianti tessili a Kaunas), Unicredit Leasing, Gruppo Gavazzi, GI Group, Gruppo Fos, Msc Containers, Ferrero, FCA, Iveco e New Holland; in Lettonia hanno fatto affari d’oro Luxottica, Marazzi e altre imprese.
Dopo l’esplosione della crisi economica nel 2007, anche altri Paesi dell’Ue, come la Grecia e il Portogallo, si sono progressivamente convertiti da soci minori dell’imperialismo in semi-colonie dei più potenti capitalismi tedesco e francese: l’indebitamento massiccio di questi Paesi, caratterizzati da un’economia nazionale più debole rispetto agli altri (basata sulla piccola e media impresa), si è trasformato in uno strumento di sottomissione, di cui sono complici i governi di ogni colore, Tsipras (Grecia) e governi “socialisti” portoghesi inclusi (2). Bisognerebbe che i leader di Cgil, Cisl e Uil, che il Primo maggio gridavano in piazza il loro “orgoglio europeo” andassero a chiedere ai pensionati greci o portoghesi che rovistano tra la spazzatura per cercare qualcosa da mangiare e che dormono per strada quanto si sentono orgogliosi di essere europei…
Ma se l’Ue ha rappresentato un grosso affare per i capitalisti e le multinazionali dei Paesi imperialisti, quale significato ha assunto, invece, agli occhi delle masse lavoratrici e povere? Soffermiamoci ora sul caso italiano ed entriamo nella casa di un operaio o di un lavoratore dipendente qualsiasi. Quando è stato introdotto l’Euro – è cosa nota a tutti – il costo della vita è, almeno, raddoppiato. I salari nel migliore dei casi sono rimasti gli stessi, con una perdita significativa del potere d’acquisto. Dopo lo scoppio della crisi del 2007, il quadro si è ulteriormente – drammaticamente - aggravato: decine di migliaia di operai sono andati prima in cassa integrazione (in virtù di accordi tra i loro padroni europeisti e i loro dirigenti sindacali altrettanto europeisti) e poi sono rimasti disoccupati perché le aziende hanno deciso di delocalizzare all’estero (magari proprio nei Paesi europei semicoloniali dove la manodopera costa meno). Nel frattempo, proni alle richieste della Troika e in ossequio al Fiscal Compact (3), anche i nostri governi (di ogni colore) hanno applicato le misure richieste dall’Ue: aumento dell’età pensionabile, tagli ai servizi pubblici, privatizzazioni, aumento dell’Iva e chi più ne ha più ne metta…
Ecco allora cosa è successo nella casa di quell’operaio e di quel lavoratore dipendente con l’entrata nell’Unione Europea: prima ha visto dimezzarsi il potere d’acquisto del suo salario, poi ha visto scomparire anche il salario e, contemporaneamente, ha visto allungarsi drammaticamente i tempi delle visite mediche per i tagli alla sanità e aumentare i prezzi di quelli che una volta erano servizi pubblici (e che sono stati privatizzati). Qualcuno potrebbe veramente pensare che quell’operaio proverà entusiasmo e spirito di identificazione con quella bandiera blu con le stelle dorate?
L’unica amara verità è che chi ha difeso e continua a difendere (anche a sinistra) l’Unione Europea e le sue politiche di rapina ha concimato il terreno su cui sono fioriti i partiti “sovranisti” e nazionalisti che rischiano di trascinare tutti i Paesi europei, Italia inclusa, in una nuova barbarie fatta di razzismi, intolleranza, violenze xenofobe. Se l’estrema destra oggi trova consensi con la sua ignobile propaganda populista tra settori proletari è anche e soprattutto colpa di chi ha difeso le politiche di rapina del grande capitale finanziario europeo.
Le sezioni europee della Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale in occasione delle elezioni europee hanno condiviso e sottoscritto il Manifesto europeo titolato “Rompere con la Ue e l'euro! Per gli Stati Uniti socialisti d'Europa!” (4).
La Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale (di cui il Partito di Alternativa Comunista è sezione italiana) sarà presente alle elezioni europee con una propria lista in Spagna (Corriente Roja). Il sistema elettorale italiano non ci consente di presentarci alle elezioni e riteniamo che non ci sia sulla scheda elettorale nessuna lista che rappresenti gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici. A sinistra ci sono due liste: una è “La Sinistra”, che raccoglie tutti coloro che avevano sostenuto la lista “L’altra Europa con Tsipras” alle scorse europee, da Sinistra italiana a Rifondazione; l’altra è il Partito comunista (stalinista) di Rizzo. “La Sinistra” non mette in discussione la permanenza nell’Europa dei banchieri e dei padroni, ne propone un riassetto “democratico”: nel programma scrivono ad esempio che “la Banca Centrale Europea deve essere sottoposta al potere di indirizzo del Parlamento Europeo”. Di fatto si lasciano i lavoratori, le donne e i giovani nelle fauci dei briganti, ma si suggerisce ai briganti stessi di darsi una sistemata ai capelli prima di sedersi a tavola. La lista stalinista di Rizzo è più ipocrita: Marco Rizzo si dichiara a favore dell’uscita dall’Ue ma si dimentica di ricordare che lui stesso ha sostenuto attivamente tutto il processo che, dal Trattato di Maastricht in poi, ha portato all’entrata nell’Ue: allora Rizzo era deputato prima del Prc e poi dei Comunisti italiani e, oltre a votare tutte le leggi anti-operaie varate dai governi Prodi e D’Alema, ha anche sostenuto il processo di costruzione dell’Unione Europea (senza contare le sue posizioni maschiliste, lgbtfobiche nonché il suo criminale sostegno ai regimi dittatoriali e bonapartisti che affamano i proletari in Venezuela, Cina e Korea del Nord).
In queste elezioni europee, in Italia, non ci sono liste che rappresentino gli interessi delle masse popolari e dei lavoratori. Chiediamo quindi a tutti e a tutte di astenersi o di annullare la scheda. La Resistenza all’Europa dei padroni e all’ascesa dell’ultradestra non si costruisce nelle urne elettorali, ma nelle strade e nelle lotte.
Note
(1) Vi invitiamo a leggere il testo completo dell’appello: www.confindustria.it/notizie/dettaglio-notizie/appello-per-Europa-di-Confindustria-CGIL-CISL-UIL
(2) Nel luglio del 2015 Tsipras, nonostante un referendum in cui i cittadini greci avevano sonoramente bocciato le condizioni imposte dai creditori, firmò con la Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea, Fmi) un Memorandum addirittura peggiore di quello sottoposto agli elettori: ulteriore innalzamento dell’Iva e delle tasse, tagli pesantissimi ai servizi pubblici e alle pensioni, privatizzazioni. Politche di austerity simili a quelle di Tsipras ha varato anche il governo “socialista” portoghese, con il sostegno anche del “Blocco di Sinistra”.
(3) Su questi temi rimandiamo all’articolo di Alberto Madoglio: www.alternativacomunista.it/internazionale/la-crisi-dell-europa-capitalistica
(4) Potete leggere a questo link il testo del Manifesto: www.alternativacomunista.it/internazionale/sulle-prossime-elezioni-europee