Partito di Alternativa Comunista

La fine del governo Castillo e l'urgenza di costruire un'azione operaia indipendente

La fine del governo Castillo e

l'urgenza di costruire un'azione operaia indipendente

 


 

 

del Pst del Perù*

 

 

Castillo è caduto. Dopo aver rinunciato alle misure di cambiamento che aveva promesso in campagna elettorale, dopo essere rimasto invischiato in accuse di corruzione che non ha mai saputo gestire, di fronte a una nuova mozione di sfiducia promossa da vari settori padronali del Parlamento si è imbarcato in gesto totalmente avventurista, cercando di chiudere il Parlamento, di prendere il controllo del potere giudiziario e di imporre un governo che cercasse di governare per mezzo di decreti, chiamando a un «Parlamento Costituente», sempre garantendo però «il modello economico vigente e la proprietà privata...».
Tutto questo senza sostengo nelle strade a difesa di tale azione, perché nei suoi 17 mesi di governo Castillo non ha attuato alcuna misura che migliorasse effettivamente le condizioni di vita dei poveri e dei lavoratori. E senza avere il sostegno delle caserme, dato che gli ufficiali delle Forze Armate sono sempre uno strumento degli interessi dei padroni... L'avventura si è conclusa nell'unico modo possibile: un disastro.
Castillo è passato dall'essere un presidente di origine contadina e insegnante a una brutta imitazione del dittatore Fujimori. Inoltre, ha dato ai settori più reazionari della destra politica - e a una maggioranza parlamentare che trasudava razzismo, classismo e un chiaro desiderio di spodestarlo fin dal primo momento - un motivo valido per sbarazzarsi del suo governo e lasciare il campo libero.
L'imperialismo, a cui Castillo si era rivolto attraverso l'Osa (organizzazione degli Stati americani, controllata dagli Usa, ndt), ha immediatamente ritirato il suo appoggio. L'avventura di Castillo del 7 dicembre era talmente insostenibile che persino i suoi alleati di «sinistra» nel Parlamento, come Perú Libre, il Bloque Magisterial e Juntos por el Perú, hanno votato per il suo impeachment. Sono stati questi 16 voti a permettere l'approvazione della sua destituzione, poiché i banchi dell'opposizione di destra avevano solo 86 voti degli 87 richiesti dalla procedura parlamentare.

 

Il governo Boluarte e la situazione della classe operaia

La nomina di Dina Boluarte, che ha prestato rapidamente giuramento come Presidente della Repubblica per una «tregua» con i partiti del Parlamento e per un governo di «unità nazionale» con il consenso dell'alto comando delle Forze Armate, significa l'ingresso nel governo di quegli stessi partiti che non hanno vinto le elezioni presidenziali, quindi apre alla possibilità di un inasprimento delle posizioni dei padroni, che cercheranno di scatenare un'offensiva contro i poveri e i lavoratori.
Per questo motivo, noi del Partito Socialista dei Lavoratori (Pst) facciamo appello a non riporre alcuna fiducia o aspettativa nel governo Boluarte e, al contrario, a rifiutare qualsiasi possibilità di «dialogo» proposta dal nuovo governo, che si basa su un accordo con un Congresso che non rappresenta le masse lavoratrici.
Dobbiamo essere chiari: i padroni non ci concederanno alcuna tregua, né risponderanno alle nostre richieste. Al contrario, cercheranno di limitare i nostri diritti e cercheranno di scaricare ancora di più la crisi economica sulle nostre spalle, ora sotto le insegne del governo Boluarte. Questa crisi per la classe operaia e per le masse popolari significa solo aumento del costo della vita, mancanza di lavoro, salari e pensioni che non bastano ad arrivare a fine mese.
Una situazione a cui si aggiunge una crisi alimentare di gravi proporzioni, dovuta alla riduzione della quantità di cibo seminato quest'anno a causa della mancanza di fertilizzanti, un problema che il governo Castillo non è mai riuscito a risolvere. E ora si sento gli effetti della peggiore siccità degli ultimi 50 anni sui nostri altipiani, che sta spazzando via campi coltivati e animali da allevamento a migliaia.
Non ci saranno nemmeno soluzioni per le donne povere e lavoratrici, che, oltre a prendersi cura di bambini, anziani e malati nelle loro case, sono costantemente minacciate da violenze, molestie, bassi salari e femminicidi. I giovani, dal canto loro, massacrati dalla mancanza di lavoro e dai bassi salari, non vedono più un futuro.

 

La responsabilità del riformismo e delle direzioni degli apparati sindacali

Per tutte queste ragioni, per le masse lavoratrici c'è solo una strada da percorrere: quella della mobilitazione unitaria, fin dal primo giorno del governo Boluarte.
Tuttavia, il principale ostacolo alla realizzazione di tutto ciò, evidente fin da prima del clamoroso fallimento dell'avventura di Castillo, è la politica dei partiti riformisti, come il Partito Comunista, Patria Roja o Nuevo Perú, che si definiscono di sinistra e che hanno rinunciato a organizzare la lotta per chiedere una soluzione a questi problemi: hanno centrato la loro politica sulla difesa di Castillo, al quale, fino dal giorno prima del 7 dicembre, hanno prestato il fianco, chiedendo senza successo di difendere lo «stato di diritto contro il golpe corporativo (del Parlamento, ndt)»… per poi finire a votare, loro stessi, per la destituzione dello stesso Castillo.

 

Ritornare sulla strada della mobilitazione indipendente

Nel nostro Paese, solo coloro che hanno adottato la strategia di una mobilitazione dura e intransigente fino a quando le loro richieste non sono state soddisfatte sono riusciti a fermare i grandi capi e il governo al potere. Lo dimostrano gli abitanti di Islay e la loro lotta contro l'imposizione di Tía María (1), la popolazione di Cajamarca contro il Conga (2), la lotta dei popoli nativi dell'Amazzonia nel «Baguazo» (3), gli stessi insegnanti nel grande sciopero del 2017 (4), così come gli scioperi che esplodono nelle fabbriche e nelle miniere di tutto il Paese contro i padroni.
Solo lottando insieme, uniti, possiamo conquistare le nostre rivendicazioni! Nessun parlamento, nessun Presidente ci darà ciò che non conquisteremo grazie alla nostra forza e alla nostra mobilitazione!
Per questo motivo, oggi come ieri, è necessario innalzare le bandiere indipendenti della classe operaia e delle masse popolari e, attorno a esse, unificare la mobilitazione in un grande sciopero nazionale che rivendichi soluzioni immediate alle nostre richieste più urgenti:


- Aumento generale dei salari e delle pensioni. Un salario minimo pari al costo del paniere di base.

- Una giornata lavorativa di 4 ore senza riduzione dei salari per distribuire il lavoro tra tutti coloro che ne hanno bisogno.

- Reintegro di tutti i lavoratori licenziati negli ultimi 3 anni.

- Esproprio delle fabbriche che sono state chiuse, in modo che possano iniziare a operare sotto il controllo dei lavoratori.

- Confisca delle risorse accumulate dalle aziende agroindustriali per distribuirle ai contadini poveri.

- Un piano di emergenza per la siccità per portare l'acqua ai contadini poveri.

- Distribuzione di generi alimentari di base da parte dello Stato alle persone più povere nelle campagne e nelle città.

- Combattere la speculazione e sanzionare chi aumenta i prezzi del carburante e dei beni di prima necessità.

- Nazionalizzazione delle miniere e dei pozzi di petrolio per mettere queste risorse al servizio dell'istruzione e della salute dei lavoratori.

 

Costruire un'alternativa operaia e popolare a partire dalle lotte.

La classe operaia non è responsabile della fine del governo Castillo. Un governo che ha mantenuto intatta l'applicazione del piano economico neoliberista, che non si è degnato di prendere una sola misura efficace a favore delle condizioni di vita dei poveri e dei lavoratori del Paese e che ha rinunciato alle promesse fatte in campagna elettorale il giorno stesso del giuramento.
Al contempo, siamo consapevoli che con la caduta di Castillo e l'assunzione della carica da parte di Boluarte, in accordo col Parlamento, la crisi della democrazia marcia del Perù non è finita.
Stiamo entrando in un nuovo momento, in cui i padroni e i loro partiti tradizionali, insieme ai partiti riformisti e «progressisti» che si dichiarano di sinistra cercheranno di negoziare una via d'uscita, per cercare di contenere la polveriera su cui sono seduti e che minaccia di esplodere in qualsiasi momento a causa del peggioramento delle condizioni di vita.
In questo contesto, solo attraverso la mobilitazione delle organizzazioni operaie e popolari, mettendo al primo posto le nostre bandiere di lotta, formando comitati di lotta per coordinare l'azione nelle fabbriche, nei quartieri, nei distretti e nelle città, saremo in grado di costruire un'alternativa politica, operaia e popolare allo sfacelo di questo Stato corrotto, antioperaio e antipopolare.
Un'alternativa che, contro coloro che sono rimasti al governo e intendono schiacciare le giuste rivendicazioni delle masse popolari, imponga la convocazione di un'Assemblea Costituente con la rappresentanza delle organizzazioni di lotta, affinché se ne vadano davvero tutti, per riappropriarci delle nostre risorse naturali, garantire la piena occupazione e i diritti del lavoro ai lavoratori delle campagne e delle città, restituire le terre sottratte dall'agroindustria e dalle miniere alle comunità contadine e autoctone, e così via.
Tuttavia, già sappiamo che riusciremo a strappare delle conquiste solo se faremo dei passi in avanti nella costruzione di organizzazioni e lotte democratiche che diventino la base di un potere operaio e popolare indipendente. Un potere che ci garantisca di prendere nelle nostre mani il destino del Paese, vale a dire, un vero governo delle organizzazioni operaie e popolari. Solo così daremo una soluzione alle nostre rivendicazioni, garantiremo come classe operaia una costituzione che esprima veramente le necessità e gli interessi dei poveri e dei lavoratori. Tutto ciò sulla strada che porta alla costruzione del socialismo in Perù e in tutta l’America Latina. È ora di tornare in piazza a lottare!

 

Note

(1) La comunità contadina della Valle del Tambo, nella provincia di Islay (dipartimento di Arequipa), lotta dal 2009 contro la costruzione del progetto minerario Tia Maria, di proprietà della Southern Copper Corporation (Scc). Il progetto rappresenta un investimento di 1,4 miliardi di dollari e genererebbe 120.000 Mt/anno di rame raffinato nel corso di 20 anni di attività. Denunciano che il progetto porterà inquinamento nella valle, a causa dell'utilizzo delle sue acque e del trasferimento, tramite il vento, di terreni contaminati. Il progetto è bloccato dal 2015.
(2) Il progetto minerario Conga, di proprietà della compagnia mineraria transnazionale Newmont e dei suoi partner, la peruviana Buenaventura e il fondo di investimento della Banca Mondiale, è stato bloccato nel 2011 a seguito di un forte sciopero regionale nel dipartimento di Cajamarca (altopiano settentrionale del Perù), durante i primi mesi del governo di Ollanta Humala. Il progetto mira a svuotare due lagune per estrarre oro.
(3) Nel 2009, durante il secondo governo di Alan Garcia, dopo tre mesi di scioperi con blocchi stradali e dei fiumi che entrano nell'Amazzonia peruviana, la polizia nazionale ha cercato di liberare un passaggio sull'autostrada Fernando Belaúnde Terry, nota come «La curva del diavolo». Nell'azione, durata tutto il giorno del 5 giugno, la popolazione nativa amazzonica che controllava il passaggio stradale (circa 5.000 persone dei popoli Awajún e Wampis) ha dovuto respingere la repressione della polizia, ci sono stati 33 morti: 23 poliziotti e 10 indigeni. Pochi giorni dopo, il gabinetto guidato da Yehude Simon si dimise e le leggi che avevano dato origine alla protesta furono abrogate.
(4) Sciopero del sindacato unitario dei lavoratori dell'istruzione del Perù (Sutep) all’interno del Paese. Il suo principale portavoce era Pedro Castillo. Lo sciopero, che ha raggiunto in minima parte i suoi obiettivi, si è concluso con la rottura del sindacato con il Sutep e la creazione della Federazione Nazionale dei Lavoratori dell'Educazione del Perù (Federación Nacional de Trabajadores de la Educación del Perú).

 

*Partito della Lit-Quarta Internazionale in Perù

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