Kosovo: indipendenza o colonizzazione?
a cura della Lct (Ligue Communiste des Travailleurs, sezione belga della Lit)
Il 17 febbraio 2008, il Kosovo ha unilateralmente dichiarato “la sua indipendenza”. Noi sosteniamo il diritto all’autodeterminazione di questo popolo, oppresso da lungo tempo dalla Serbia, così come quello del popolo basco, di quello ceceno e di molti altri che sono oppressi.
"Nell'epoca
imperialista, è particolarmente importante per il proletariato e l'Internazionale
Comunista stabilire i fatti economici concreti e, nella soluzione di tutte le
questioni coloniali, di non procedere a partire da postulati astratti bensì dalla
realtà concreta"[1].
Un po' di storia
Il risultato della
guerra nei Balcani del 1912-13 fu non soltanto lo smembramento dell'Impero
Ottomano, ma anche il frazionamento in piccoli paesi a piacimento delle Grandi
Potenze dell'epoca, della penisola fra il mare Adriatico ed il Mar Nero. Alla
fine della Prima guerra mondiale, un Reame di Jugoslavia era giunto a limitare il
processo di "balcanizzazione" ed a riunire la Bosnia-Erzegovina, la Serbia, il Montenegro, la Macedonia, e la maggior
parte delle attuali repubbliche della Slovenia e Croazia.
Al momento dell'invasione
nazista nel 1941, il frazionamento ricomincia, con la formazione di due regimi
indipendenti, uno attorno alla Croazia, l'altro attorno alla Serbia, dato che
il Kosovo era annesso all'Albania, occupata dall'Italia. Una resistenza di
guerriglia, diretta da Tito e dal partito comunista, si sviluppa dapprima in
Croazia e si estende in tutto l'antico reame verso il 1943. Una guerriglia
monarchica serba diretta da Draza Mihailovic, i Cetnici, farà inizialmente
causa comune con i comunisti contro i nazisti, ma in seguito dichiarerà loro
guerra in nome dell'ideologia della Grande Serbia. I Cetnici finiranno per
collaborare con l'occupante e quando la disfatta della Germania e dell'Italia
si annuncia, riceveranno il sostegno degli inglesi e degli americani per
combattere i comunisti. Tuttavia, al momento della conferenza di Yalta
(febbraio 1945), gli Alleati cambiano cavallo e decidono di sostenere Tito.
Tito giunge ad una
certa riunificazione, creando la
Federazione democratica di Jugoslavia nel novembre 1945, che
diventerà la Repubblica
federale popolare di Jugoslavia nel 1946 e la Repubblica federale
socialista di Jugoslavia nel 1963, comprendendo sei repubbliche: Slovenia,
Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Serbia e Macedonia. Questa Repubblica
federale, di colpo "comunista" pur non essendo mai stata occupata dall'Armata
Rossa, resterà a metà strada nella ripartizione delle zone di influenza a
Potsdam (luglio-agosto 1945). Tito rompe con Stalin nel 1948 e resta fuori dal
patto di Varsavia creato nel 1955.
Dopo la morte di Tito
(1980), un altro dirigente del partito comunista, Slobodan Milosevic, guadagna
sempre più influenza. Già nel 1981, alcune grandi manifestazioni studentesche
albanesi sono represse nel sangue. Per il 600° anniversario della battaglia del
Kosovo, il 28 giugno 1989, Milosevic pronuncia un discorso nazionalista davanti
ad un milione di serbi sul luogo della battaglia, con il quale dichiara guerra
alle minoranze: "La Serbia
è alla vigilia di nuove battaglie"[2].
Occorre sapere che il 26 febbraio di quell'anno, i minatori del Kosovo erano
entrati in sciopero, contro lo sfruttamento da parte della minoranza serba che
controllava i punti chiave dell'amministrazione e dell'industria, e che gli
studenti erano scesi nelle strade per protestare contro la tutela di Belgrado.
Già dopo qualche
tempo, il governo federale e Milosevic (ex direttore della Banca di Belgrado)
applicavano alla lettera i piani di ristrutturazione del Fmi. La
ristrutturazione capitalista era un fatto: "Milosevic è un difensore audace dei
nuovi progetti economici e dei cambiamenti alla Costituzione, che, se adottati,
soddisferanno i desideri del Fmi, rimetteranno in ordine all'economia di
mercato ed apriranno delle opportunità ai settori privati ed agli investimenti
stranieri"[3].
Al momento della
caduta del Muro di Berlino, Milosevic è già presidente della Serbia e avanza le
sue idee di una "Grande Serbia", predicando il nazionalismo etnico. Il nuovo
ambasciatore americano a Belgrado, Warren Zimmerman, dichiara che Washington
sostiene "l'unità, l'integrità territoriale e l'indipendenza della Jugoslavia"[4].
Milosevic richiama all'ordine il Kosovo, che perde il suo statuto di provincia
autonoma il 23 marzo 1990. Licenzia dall'Università 430 professori di origine
albanese e 6000 insegnanti della scuola secondaria che rifiutavano di applicare
la politica di serbizzazione culturale. Nel dicembre 1992, è rieletto
Presidente della Serbia, questa volta col suffragio universale diretto[5].
Il nuovo smembramento
La caduta del Muro di
Berlino e la riunificazione della Germania aprirono il cammino alle Grandi
Potenze per balcanizzare nuovamente la Jugoslavia. Sono
aiutate da una rivolta dei diversi popoli contro la dominazione serba,
dominazione ancor più accentuata sotto Milosevic.
Nel giugno 1991, la Slovenia e la Croazia dichiarano la loro
indipendenza. L'Armata federale jugoslava, composta in maggioranza da serbi e
montenegrini e diretta dallo sloveno Konrad Klosek, incaricata di garantire l'unità
jugoslava, interviene contro le due Repubbliche secessioniste. Ma queste hanno
il sostegno delle Grandi Potenze, in particolare della Germania riunificata, e
l'armata deve ritirarsi dopo una decina di giorni di guerra. La Germania e l'Austria
riconoscono le repubbliche il 23 dicembre dello stesso anno e gli altri paesi
europei si associano il 15 gennaio 1992[6].
La Macedonia si dichiara indipendente nel
settembre 1991. Poco dopo, accoglie la
Forza di Prevenzione dell'Onu e, nel novembre 1994, conclude
un accordo di cooperazione militare con gli Usa, che installano un contingente
di 900 soldati (di cui 350 sono nordamericani). Il 29 febbraio 1992, la Bosnia-Erzegovina dichiara la
sua indipendenza, fatto riconosciuto dalla Croazia e della Comunità economica
europea nell'aprile 1992.
In maggio, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu dichiara
un embargo a quel che resta della Repubblica federale di Jugoslavia: la Serbia, in essa compreso il
Kosovo, ed il Montenegro. Il 22 maggio 1992, la Bosnia, la Croazia e la Slovenia sono ammesse
nell'organizzazione delle Nazioni Unite e, nell'aprile 1993, anche la Macedonia.
La Serbia non accetterà di buon grado questo
stato di cose, che la priva, tra l'altro, di importanti dazi doganali per il
governo federale. Sanguinose guerre scoppiano in Bosnia ed in Croazia per molti
anni. In Croazia, una Repubblica serba di Krajina, unilateralmente proclamata
il 28 febbraio 1991 dal nazionalista serbo Milan Babic, finisce per estendersi
su quasi un quarto del territorio croato. Lo scontro armato comincia nell'agosto
ed un cessate il fuoco interviene nel gennaio 1992, con l'interposizione dei
caschi blu belgi. Fra il 1992 ed il 1995, la guerra si sposta in Bosnia-Erzegovina.
Le potenze della Nato, in primo luogo gli Stati Uniti, intervengono
progressivamente nel conflitto, che finisce il 14 dicembre 1995, cinque mesi
dopo il massacro di Srebrenica, con gli Accordi di Dayton (Usa), siglati dai
presidenti della Croazia, Franjo Tudjman, della Bosnia-Erzegovina, Alija
Izetbegovic, e della Serbia, Slobodan Milosevic. C'erano allora 20.000 soldati
americani in Bosnia.
La guerra della Serbia
Anche il popolo del
Kosovo si espresse in favore dell'indipendenza al momento del referendum del
settembre 1991. Ma Belgrado non riconobbe quest'elezione ed intensificò la
repressione. Milosevic vietò l'insegnamento in lingua albanese nelle scuole
pubbliche. A partire dal 1996, un'Armata di Liberazione del Kosovo (Alk-Uck),
rivendicando l'indipendenza, comincia ad organizzarsi. Nel 1997, essa già
controlla gran parte del territorio.
Nel marzo 1998,
Milosevic commette un nuovo massacro, una pulizia etnica che ricorda quella di
Karadzic, l'alleato di Milosevic in Bosnia, qualche anno prima. In parecchi
villaggi della provincia di Drenica, l'intervento combinato delle truppe di
polizia, militari e paramilitari utilizza l'armamento pesante, con blindati ed
elicotteri, per uccidere gli albanesi e distruggere le loro abitazioni. Mentre
le truppe radevano al suolo villaggi interi, come quello di Donji Prekaz,
paramilitari armati di coltello si incaricavano di uccidere coloro che erano
sospettati di appoggiare la guerriglia, così come i loro familiari. Questi
attacchi durarono quattro giorni, con un risultato incredibile: case bruciate,
migliaia di persone espulse dalle loro abitazioni e parecchie decine di morti.
In quell'occasione, "la
Lega Internazionale dei Lavoratori si pone al fianco della
lotta della maggioranza della popolazione del Kosovo, contro la dittatura di
Milosevic. L'autodifesa armata dei lavoratori e del popolo kosovaro di fronte
all'aggressione serba diviene di un'importanza fondamentale"[7].
La guerra della Nato
Dopo questo massacro,
il governo degli Stati Uniti - seguito dall'Unione europea - cambia
atteggiamento. Fino a quell'epoca, aveva sostenuto la politica della Grande
Serbia di Milosevic, ma ora questo dittatore rischiava di assumere un
atteggiamento troppo indipendente, e soprattutto, una rivoluzione condotta da
un popolo in armi rischiava di "destabilizzare" tutta la regione, una
rivoluzione che l'antico alleato non riusciva più a controllare. Dopo aver reso
visita al Papa, Madeleine Albright, la segretaria di Stato americana, dichiara:
"non possiamo restare a guardare come le autorità serbe fanno al Kosovo ciò che
non hanno potuto più fare in Bosnia".
In Bosnia, gli Usa
avevano lasciato fare Milosevic, ma essi "sostengono" ora il popolo kosovaro.
Kofi Annan, segretario generale dell'Onu, disse che sarebbe stato prudente
mantenere la forza di sicurezza dell'Onu in Macedonia. Le truppe dell'Onu,12.000
uomini acquartierati in Macedonia, stanno all'erta. Un " Gruppo dei Sei" ( gli
Stati Uniti, la Russia,
l'Inghilterra, Francia, l'Italia e la Germania) vuole imporre un "Piano di pace" la cui
prima esigenza è il disarmo della guerriglia (che controllava già il 60% del
territorio del Kosovo). Il 24 marzo 1999, la Nato comincia i bombardamenti sulla Serbia e sul
Kosovo. Quando la Cina
rifiuta di prolungare il mandato dell'Onu per le forze di stanza in Macedonia,
queste cambiano le loro mostrine e passano armi e bagagli alla Kfor, la armata
della Nato nella regione. È l'occasione di mettere in pratica la nuova "dottrina"
della Nato, definita in occasione del suo 50° anniversario, appena celebrato. Non
essendo l'Onu sempre disponibile, la
Nato si attribuisce il "diritto" di intervenire militarmente,
quando vi sono "crisi regionali in alcuni paesi, all'interno o attorno alla
regione euro-atlantica, che soffrono difficoltà economiche, sociali o politiche
gravi, che sono in preda a dispute territoriali o ad insufficienti o fallimentari
sforzi riformisti, a violazioni dei diritti dell'Uomo ed alla dissoluzione
degli Stati che possono portare ad instabilità ...". Perciò in quest'occasione,
la Bundeswehr
tedesca partecipa alla guerra con 2000 soldati, la prima volta dopo la fine
della Seconda Guerra mondiale.
Una gran parte della popolazione mondiale, commossa dalle immagini di migliaia
di kosovari in fuga davanti alle truppe serbe, guardò con simpatia all'azione
delle potenze imperialiste. E soprattutto, la direzione della guerriglia fece
affidamento senza ritegno sul "sostegno" yankee. Per la Lega Internazionale
dei Lavoratori tuttavia, "in questa guerra dell'imperialismo contro la Jugoslavia noi non
siamo neutrali. In questa guerra, nessuno può restare neutrale. Noi siamo,
senza alcun dubbio, e a dispetto di Milosevic, al fianco del paese aggredito e
per la disfatta degli imperialisti della Nato". D'altra parte, "cercando la
collaborazione delle truppe imperialiste la direzione dell'UCK si rende
complice di un attacco che non è soltanto contro Milosevic ma contro i popoli
del mondo, capitolando all'imperialismo e, per questo, abbandonando, nei fatti,
la causa per la quale il popolo kosovaro l'ha posta alla testa della propria
lotta"[8].
Il tradimento di Rambouillet
Dopo 78 giorni di
bombardamenti, sulla Serbia come sul Kosovo, la Serbia deve infine
arrendersi. Le industrie chimiche e di elettrodomestici sono state distrutte.
La fabbrica di automobili Zastava è stata bombardata quattro volte, con lo
scopo di rendere impossibile la sua ricostruzione. 200 scuole sono state
distrutte, come quasi tutti i ponti sul Danubio.
Il Gruppo dei Sei organizza
una conferenza a Rambouillet, nei
pressi di Parigi. Il capo dell'Uck, Adem Demaçi, è allora rimpiazzato da Hashim
Traci. Demaçi era un militante di vecchia data per l'autodeterminazione del
Kosovo. Aveva passato 28 anni della sua vita in prigione, ed aveva affermato
pubblicamente che gli albanesi "non possono accettare uno statuto coloniale"
all'interno della Serbia. Traci, uno dei fondatori dell'Uck, aveva trascorso
gli anni della guerra contro la
Serbia in Svizzera.
Il 23 febbraio 1999,
la direzione dell'Uck sigla gli Accordi di Rambouillet che non soltanto
decidono il disarmo della guerriglia ma concedono alle forze di occupazione
della Nato tutti i diritti propri di un colonizzatore. È una doppia
capitolazione: all'imperialismo ed a Milosevic.
La vera ragione della
guerra al Kosovo diventerà presto evidente.
La Serbia, ora sotto tutela della Nato,
continuerà a governare il Kosovo. Il 10 giugno 1999, la risoluzione n. 1244 del
Consiglio di Sicurezza, "considerando che la situazione nella regione continua
a costituire una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali", riafferma
"la sovranità e l'integrità territoriale della Repubblica federale di
Jugoslavia".
Si tratta quindi di
non lasciare alcun margine alla guerriglia. La risoluzione prevede "il ritiro
verificabile e scaglionato dal Kosovo di tutte le forze militari, paramilitari
e di polizia secondo un calendario fissato, sulla base del quale si procederà
allo spiegamento della presenza internazionale di sicurezza nel Kosovo". La
risoluzione decide esplicitamente di "smilitarizzare l'Armata di liberazione
del Kosovo (Uck) e gli altri gruppi armati d'Albania o del Kosovo". La presenza
internazionale dovrà ora "esercitare le funzioni di amministrazione civile di
base", e non sarà sottoposta all'embargo sulle armi, decretato dalla
risoluzione 1160 del 1998. Quest'occupazione non è limitata nel tempo. Essa
proseguirà "finché il Consiglio non avrà deciso altrimenti".
L'11 giugno 1999, viene
siglato un armistizio fra la Nato
e la Serbia
(in essa sempre compreso il Kosovo), che prevede esplicitamente che la nuova
forza di occupazione, la Kfor,
"disporrà dell'autorità per prendere tutte le misure necessarie". Il giorno
seguente, le truppe della Nato, sotto il comando del generale Jackson, realizzano
uno "spiegamento rapido e sincronizzato di più di 40.000 soldati" nel Kosovo,
allo scopo di non lasciare alcuna chance all'Armata di liberazione del Kosovo
di occupare il territorio. "La priorità immediata consisteva nel vigilare
affinché nessun vuoto di sicurezza potesse svilupparsi fra le forze in ritirata
e quelle che arrivavano,un vuoto che avrebbe potuto essere colmato dall'Uck"[9].
Il 21 settembre 1999,
l'Onu crea il Kosovo Protection Corps (Kpc) per smilitarizzare l'Uck[10],
sotto la direzione di un vecchio capo militare della stessa, Agim Ceku. "L'imperialismo
aveva guadagnato la direzione dell'Uck"[11].
Sempre nel 1999, gli
Stati Uniti installano in Kosovo il Campo Bondsteel, la più grande base
militare americana in Europa, ove non regna che la legge americana.
La colonizzazione
I protagonisti per condurre in porto la colonizzazione si mettono rapidamente d'accordo. Nella foto qui sotto[12], datata ottobre 1999,
si riconosce da sinistra a destra, Hashim Tachi (allora il
nuovo capo dell'Uck, diventato primo ministro del governo regionale del Kosovo
il 9 gennaio 2008), Bernard Kouchner (allora amministratore dell'Onu sul
Kosovo, divenuto ministro degli Affari stranieri francese), Mike Jackson (allora
comandante delle forze di occupazione della Nato diventato consulente di un'azienda
di mercenari), Agim Ceku (allora capo del Kpc, diventato primo ministro del
governo regionale del Kosovo nel marzo 2006) ed il generale Wesley Clark
(allora comandante supremo della Nato, divenuto consigliere militare di Hillary
Clinton).
Poco dopo, nel marzo
2000, Albin Kurti, un dirigente del Movimento per l'autodeterminazione (Lëvizja
Vetëvendosje!), è condannato dalle autorità serbe a 15 anni di prigione per la
sua partecipazione alle manifestazioni studentesche di Pristina.
Pazientemente, l'amministrazione
coloniale si insedia. Nel 1999, le truppe belghe erano "in permanenza nella
regione frontaliera con la
Serbia, per dissuadere i serbi dal ritornare in Kosovo.
Dovevamo fermare una minaccia esterna. Sei anni più tardi, non siamo più
tornati verso le frontiere ma dobbiamo al contrario evitare sommosse interne".
Queste truppe sono particolarmente apprezzate "perché siamo ben addestrati al
controllo delle folle (Crowd and Riot Control, Crc )[13].
Gli effettivi militari possono ridursi. Verso il 2003,una ristrutturazione era
decisa nel quadro della Nato. La presenza belga nei Balcani, che era cominciata
10 anni prima con 1000 uomini, può ridursi a 400[14].
Nel novembre 2005, una squadra dell'Inviato Speciale delle Nazioni Unite per il
Kosovo (Unosek) comincia a negoziare con Belgrado e Pristina su di un "futuro
statuto" del Kosovo, sotto la direzione di Martti Ahtisaari.
Il 10 aprile 2006, il
Consiglio europeo decide di mettere in piedi una squadra di pianificazione del
compito, l'European Union Planning Team (Eupt), con sede a Pristina, il cui
scopo dichiarato è riprendere gradualmente le competenze della Missione dell'Onu
in Kosovo[15].
"L'obiettivo a breve termine è di affidare la condotta delle operazioni all'Unione
europea". Nel dicembre 2006, l'Eupt è già insediato a Pristina[16].
Il 10 febbraio 2007,
dopo una manifestazione contro il piano Ahtisaari nel corso della quale la
polizia dell'Onu aveva ucciso due manifestanti, Albin Kurti è nuovamente
arrestato, stavolta ad opera dei traditori del governo kosovaro. Secondo Agim
Ceku (allora Primo ministro del Kosovo), Kurti ed i dirigenti del Movimento per
l'autodeterminazione sarebbero "portatori di idee anarco-rivoluzionarie". Il
suo processo inizia il 19 settembre 2007 dinanzi a giudici "internazionali"
nominati dall'autorità dell'Onu, che gli negano la parola[17].
"L'indipendenza"
La parola appare per
la prima volta in un rapporto di Martti Ahtisaari al Consiglio di Sicurezza, il
26 marzo 2007: "Il Kosovo non saprebbe restare nel suo attuale stato d'indeterminatezza".
Si tratta, beninteso, di un'indipendenza "limitata, sotto la supervisione della
comunità internazionale"[18].
Al momento del Vertice europeo del 14 dicembre 2007, i 27 paesi membri sono
tutti d'accordo su questa conclusione e decidono di assumere un ruolo di primo
piano sul Kosovo. Il 24 gennaio, Hashim Taci, Primo ministro del governo
regionale del Kosovo, tira fuori l'asso dalla manica: l'indipendenza del Kosovo
sarà dichiarata "in quattro o cinque settimane". L'indomani, si apprende che la Germania e gli Usa s'erano
già accordati per riconoscere l'indipendenza, ma che sarebbe convenuto
attendere il ballottaggio delle elezioni presidenziali in Serbia[19].
Man mano che la
"dichiarazione unilaterale d'indipendenza" s'avvicina, l'Ue ha fretta di mettere
a punto gli strumenti necessari per la colonizzazione. Uno strumento chiave è
Eulex, una missione "civile" composta da 2.200 persone, poliziotti, giuristi,
doganieri, assegnati ai servizi e ministeri rispettivi. È la missione più
importante mai messa in piedi all'estero dall'Ue. La decisione del suo
spiegamento doveva essere presa prima della dichiarazione d'indipendenza per
non passare per un riconoscimento di fatto del nuovo Stato. Essa è stata
effettivamente presa il 16 febbraio, un giorno prima della "dichiarazione d'indipendenza",
ma il suo capo, Yves de Kermabon, era già stato designato il 7 febbraio. Lo
stesso spiegamento ha un'altra data: 120 giorni dopo la decisione, guarda caso proprio
il tempo che restava ancora alla missione dell'Onu, la Minul, che avrebbe dovuto
trasferire i suoi poteri al governo kosovaro in quattro mesi. La Eulex, definita "civile",
sarà spiegata nel quadro della "European Security and Defense Policy" (Esdp). E
ad ogni modo, ci sarà ugualmente una presenza di 17.000 soldati della Nato[20].
L'obiettivo di Eulex è, sempre secondo la decisione del 16 febbraio, garantire
che la giustizia, la polizia e la dogana siano "esenti da ogni interferenza
politica e si pieghi alle norme internazionalmente riconosciute ed agli usi europei".
Eulex tratterrà per sé "alcune responsabilità esecutive". I diplomatici europei
ritengono che il Kosovo resterà "sotto sorveglianza internazionale" per un
periodo da 5 a
10 anni[21].
Parallelamente ad Eulex, c'è anche una Rappresentanza Speciale dell'Unione
Europea (Eusr), sotto la direzione di Pieter Feith, per "accompagnare il
processo politico" e stare all'erta.
Finalmente, domenica
17 febbraio 2008, l'indipendenza viene proclamata "unilateralmente" concordemente
col piano di Martti Ahtisaari.
Il nuovo paese viene
riconosciuto immediatamente dagli Usa, che conservano la piena sovranità sulla
loro base di Camp Bondsteel. Qualche paese europeo (Cipro, la Grecia, la Slovacchia, la Romania, la Bulgaria, la Spagna) è restio a
riconoscere l'indipendenza. La
Spagna teme un precedente per il paese basco e la Grecia non ha mai digerito
che una parte della Macedonia non si trovi più entro le sue frontiere. Cipro
teme un precedente per la formalizzazione della divisione dell'isola. Essi
richiamano la risoluzione 1244 dell'Onu che garantisce l'integrità territoriale
della Repubblica federale di Jugoslavia, vale a dire l'odierna Serbia. Ma i
ministri degli affari esteri dei 27 paesi della Comunità europea, riuniti il 18
febbraio a Bruxelles, scelgono di mantenere una parvenza di unanimità e
considerano che si tratta di un caso particolare: "Visto il conflitto degli
anni '90 ed il prolungato periodo di amministrazione internazionale in virtù
della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza, il Kosovo costituisce un
caso sui generis che non rimette in questione i principi della Carta delle
nazioni unite e dell'Atto finale di Helsinki" (riguardante l'inviolabilità
delle frontiere)[22].
Javier Solana si reca in Kosovo immediatamente dopo la proclamazione d'indipendenza.
Lunedì 25 febbraio, il Belgio riconosce il paese[23].
In realtà, se i 27 non
sono tutti d'accordo sulla "indipendenza" autoproclamata del Kosovo, sono
invece d'accordo sulla colonizzazione del paese, sulla missione Eulex[24]
ed altre Rappresentanze Speciali, che non dovrebbe essere intralciata da
qualche divergenza diplomatica. Il dettaglio delle competenze di Eulex resta
segreto, ma attraverso la stampa filtra ugualmente che "i poliziotti saranno
tenuti a consigliare e sorvegliare la polizia kosovara, cercare di sostituirvisi
se essa non riesce a mantenere l'ordine. I giudici europei siederanno a fianco
dei loro omologhi ma potranno anche esercitare la giurisdizione al loro posto
in caso d'insufficienza - per esempio nei casi di corruzione"[25].
Il popolo kosovaro e le sue tre bandiere
Questa "indipendenza"
non ha nulla a che vedere col diritto all'autodeterminazione dei popoli.
La lotta per ritrovare
l'unità e l'autodeterminazione di un popolo spezzettato dopo un secolo ad opera
delle nuove Grandi Potenze è considerato come un crimine. È previsto nella
nuova "costituzione" che il Kosovo non potrà unirsi all'Albania[26].
Kurti ed il suo Movimento per l'autodeterminazione sono trascinati davanti ai
tribunali dei colonizzatori. La stessa "bandiera" del nuovo Stato è imposta dai
colonizzatori che hanno esplicitamente escluso che l'aquila bicefala della
bandiera albanese possa figurarvi[27].
Al momento della
celebrazione dell'indipendenza nelle città kosovare, due bandiere venivano
inalberate dalla folla, quella yankee, cioè quella dell'illusione per cui le
truppe della Nato avevano liberato il popolo dall'oppressione serba - un'illusione
coltivata per anni a causa del tradimento dei dirigenti della lotta di
liberazione nazionale - e la bandiera albanese con l'aquila bicefala, cioè
quella di un popolo che cerca la sua unità e la sua indipendenza.
Una terza bandiera era
assente dalle strade: quella del "nuovo paese", imposta dai colonizzatori, con
gli stessi colori di quella dell'Ue e le stelle di Eulex, e che sventola adesso
a fianco della stars and stripes sulla
base americana più grande d'Europa, ed a fianco del vessillo a dodici stelle
sul quartier generale dell'amministrazione coloniale di Eulex.
La lotta continua
Il 1° luglio 1999,
rappresentanti dei sindacati della Serbia e del Kosovo si sono incontrati al
Congresso della Confederazione Europea dei Sindacati. Questi lavoratori hanno
sottolineato: "Il dramma della Jugoslavia viene dal fatto che ci hanno tolto
dalla condizione di lavoratori per segnarci con la divisione etnica e
religiosa".
I minatori di Trepca
sono consapevoli di cosa significhi l'occupazione del paese. Già nel 2000 essi
affermavano: "la Kfor
francese occupa le nostre miniere e le fabbriche nelle quali lavoriamo il
metallo e rifiutano di lasciarci entrare. In questi ultimi anni abbiamo perso
quasi tutto ciò che avevamo guadagnato col nostro lavoro"[28].
Albin Kurti diceva,
già nel novembre 2007, che "il Kosovo ha bisogno di istituzioni sovrane e
democratiche"[29].
Al momento della dichiarazione d'indipendenza, ha precisato: "Parlano della
data dell'indipendenza, ma non della sostanza: la sovranità. Non avremo
ministro della Difesa, né un vero esercito, né ministro degli Affari esteri, né
un seggio all'Onu [a causa del rifiuto della Russia], e l'integrità
territoriale non è affatto garantita. La missione dell'Ue non riconoscerà il
popolo kosovaro e le sue leggi. Ci saranno 2.200 poliziotti e giuristi europei
al di sopra delle leggi. Perché non inviano invece 2.200 esperti economici,
medici ed insegnanti? Alle ultime elezioni, solo il 37% della popolazione ha
votato. I politici sono le persone più ricche del paese"[30].
Frattanto, a Pristina,
i muri sono già pieni di iscrizioni che cancellano la parola Eulex. La
resistenza contro la colonizzazione è in marcia[31].
Una volta di più, è
dimostrato che non c'è soluzione nel capitalismo per i problemi delle
nazionalità. Come diceva Trotsky, circa un secolo fa, la sola reale via d'uscita
per i popoli dei Balcani è la
Federazione delle Repubbliche socialiste dei Balcani, nelle
quali i diritti delle minoranze siano garantiti. Noi confidiamo che i popoli vi
arriveranno, con le loro lotte di vera liberazione nazionale.
(Traduzione dall'originale in francese di Valerio Torre)
[1] Lenin, Rapporto della Commissione sulle Questioni Nazionale e Coloniale, 1920.
[2] Le Spectacle du Monde, aprile 1998, pag. 42.
[3] New York Times, 8/8/1988.
[4] Le Spectacle du Monde, aprile 1998, p.47.
[5] Per maggiori dettagli su questo riferimento storico, si veda l'articolo su Presse Internationale n. 19, aprile 2001.
[6] La "Commissione Badinter", messa in piedi dalla Comunità economica europea il 27/8/1991, dichiara la Jugoslavia "in dissoluzione", "in disintegrazione", ovvero "in smembramento", sulla base di "un principio giuridico" del fatto compiuto (uti possidetis).
[7] Dichiarazione del 17/3/1998.
[8] Dichiarazione della Lit-Ci, maggio 1999.
[9] Jackson, www.nato.int/docu/revue/1999/9903-05.htm.
[10] Ordinanza 1999/8 del 21 settembre 1999 della Unmik (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo).
[11] Correo Internacional n. 77, settembre 1999. Questo numero della pubblicazione della Lit-Ci fa lo stato della discussione sul tema al momento del Congresso straordinario della Lit-Ci del 1999. È disponibile in spagnolo ed in inglese sul nostro sito, www.lct-cwb.be.
[12] www.voltairenet.org/article155095.html.
[13] Vox, 13/12/2005 (il magazine del ministero della Difesa del Belgio, www.mil.be).
[14] Intervento del ministro della Difesa André Flahaut alle giornate diplomatiche, 4/9/2003.
[15] www.eupt-kosovo.eu.
[16] Vox, 17/10/2006.
[17] http://balkans.courriers.info/article9217.html.
[18] www.un.org.
[19] International Herald Tribune, che cita "fonti diplomatiche".
[20] Le Soir, 15/2/2008.
[21] http://fr.news.yahoo.com/euronews/20080216.
[22] Le Soir, 18/2/2008.
[23] Per decreto reale. Un simile atto costituisce prerogativa dell'esecutivo, secondo l'art. 167 § 1, comma 1 della Costituzione.
[24] Per la Spagna, la Grecia ed altri paesi riluttanti, bastava semplicemente non dire nulla. Una "procedura di silenzio" avrebbe determinato "l'unanimità" se nessun paese si fosse pronunciato fino al 15 febbraio.
[25] Le Soir, 15/2/2008.
[26] Le Soir, 18/2/2008.
[27] Un "concorso" era stato bandito per presentare progetti di bandiera e da esso era stato esplicitamente escluso il motivo dell'aquila bicefala della bandiera albanese.
[28] Correo Internacional n. 78, marzo 2000.
[29] http://balkans.courriers.info/article9217.html.
[30] Le Soir, 18/2/2008.
[31] Le Soir, 21/2/2008.