Dopo essere stato al potere per 23 anni, Ben Ali è stato costretto alla fuga ed è atterrato ieri notte insieme alla sua famiglia, a Gedda, in Arabia Saudita, lasciando il Paese con lo stato d'emergenza dichiarato. E’ scappato, ha aspettato la notte, come un ladro con la sua refurtiva. Ed è volato via. Con i soldi e la sua famiglia.
Vani i suoi tentativi, dopo la dura repressione della polizia, di cercare di convincere le masse popolari tunisine ad arrendersi, prima con la promessa di 300 mila posti di lavoro in due anni e poi comunicando di aver chiesto alle forze di sicurezza di non usare più le armi contro i manifestanti, di aver ordinato la riduzione del prezzo del pane, del latte e dello zucchero, e di concedere la libertà di stampa e la fine della censura sui siti internet.
Migliaia di lavoratori e disoccupati, donne e studenti senza un futuro, stremati e disperati per quanto hanno subito, escono nelle strade della capitale Tunisi ad urlare a Ben Ali di andarsene.
In piazza arrivava un corteo dopo l'altro: prima i lavoratori, poi gli avvocati, i professori, i giovani delle periferie, persino bancari e impiegati delle assicurazioni.
A metà pomeriggio del 14 gennaio l’ultimo annuncio di Ben Ali: il governo destituito e le elezioni anticipate. E’ proclamato lo stato d'emergenza, confermato il coprifuoco già in vigore, pattugliato l'aeroporto e chiuso lo spazio aereo: così comincia il secondo golpe in Tunisia. Ma nella serata, come riportato da Al Jazeera, a Kasserine - una delle città del sud dove è scoppiata la rivolta popolare - la gente ha sfidato il coprifuoco contestando anche il presidente ad interim Ghannouchi. Questi sarà sostituito già nella giornata di sabato dal presidente del Parlamento, Fouad el-Mabzaa, che assume l'incarico di presidente temporaneo della Repubblica dopo l’annuncio della Corte Costituzionale tunisina.
Ma i “ribelli” ormai non ascoltano più le lusinghe di chi, anche se non in prima persona, ha gestito e reso possibile la rapina attuata dal potere nei confronti del popolo, degli ultimi 23 anni in Tunisia.
L’obiettivo sembra essere quello di far piazza pulita del regime. A partire dal ministro degli esteri che, per conto del governo, ha dichiarato la necessità della creazione di un governo che includa autorità ed esponenti politici che sono finora rimasti ai margini.
Intanto la ribellione arriva cruenta anche nelle carceri. A Monastir (150 km da Tunisi) muoiono in 42 a causa di un incendio. Nelle prigioni avvengono numerose rivolte e centinaia di prigionieri sono riusciti ad evadere o sono stati lasciati uscire, per sedare le rivolte.
La maggior parte delle cancellerie occidentali è stata colta di sorpresa, non tanto dall'intervento dei militari, quanto dall'accelerazione rapida, a precipizio, della crisi. Leggendo la stampa occidentale è evidente che la paura delle classi dominanti comincia a diffondersi, è temuto in particolare il “pericolo” dell’effetto domino che può scatenare la rivolta tunisina anche perché, nel frattempo, in Giordania migliaia di persone sono scese in piazza ad Amman per protestare contro gli aumenti del prezzo del pane e degli alimenti in genere a causa delle politiche economiche del governo retto da Re Abdullah II.
In Libia per timore di quanto sta avvenendo nei paesi vicini il governo ha deciso di abolire tutte le tasse sulle importazioni alimentari, specialmente quelle relative ai prodotti di base e al latte in polvere per i bambini.
Troppo alti gli interessi in gioco (sono 750 le imprese italiane in Tunisia e l’Italia è stato l’unico governo che ha appoggiato e legittimato pubblicamente le violenze di Ben Ali) e il Capitale è sempre attento quando rischia di perdere il controllo. Ma come sta a dimostrare quanto successo al capo di stato maggiore dell’esercito tunisino Ammar, che è stato rimosso per essersi rifiutato di aprire il fuoco contro i manifestanti e come dimostrano i casi d’ammutinamento di reparti della polizia che sarebbero stati costretti a caricare la folla su pressioni dell’esercito, quando la protesta diviene così generale, coinvolge in prima persona la stessa polizia e gli apparati repressivi: e una parte di queste "bande armate a difesa del Capitale" o scappa o si rifiuta di obbedire agli ordini o, persino, passa dalla parte degli insorti.
Come la storia ci ha confermato più volte, e come anche la rivolta in Tunisia ci fa intravedere, ecco ancora una volta l’indicazione dell’unica via che può risultare, per i lavoratori e le masse popolari, vincente, e l’unica lotta che valga veramente la pena di essere combattuta. Questa lotta è la lotta contro il nemico di classe: il capitale, i capitalisti ed i loro governi. Per questo ora le masse tunisine devono continuare la lotta, per spazzare via chi pensa di sostituire Ben Alì con un altro governo dello stesso stampo. E' ora che a governare siano i lavoratori e le masse popolari tunisine!