Vertenza Gkn: lezioni di una lotta
di Alberto Madoglio
In un articolo apparso sul nostro sito lo scorso 13 marzo dal titolo «Gkn: un accordo che non basta a risolvere i problemi» (1), scrivevamo così circa la soluzione trovata tra governo e burocrazie sindacali sull’ingresso di un fantomatico «cavaliere bianco» che avrebbe dovuto rilevare il sito produttivo di Campi Bisenzio e far ripartire la produzione, salvando allo stesso tempo i livelli occupazionali: «crediamo che la soluzione trovata non sia minimamente in grado di dare una risposta positiva alle richieste e alle necessità dei lavoratori».
18 mesi di inganni e tradimenti
Visto come si sono - e si stanno tutt’oggi - svolgendo gli eventi, possiamo dire di essere stati facili profeti, non perché siamo dotati di particolari capacità divinatorie, ma perché il copione che si stava scrivendo in quelle settimane lo avevamo già visto in decine di casi precedenti, con risultati del tutto simili a quelli che accadono ora in Gkn.
Davanti alla reazione degli operai che si sono immediatamente opposti ai licenziamenti comunicati il 9 luglio 2021 e al moto di solidarietà che la loro resistenza ha innescato a livello nazionale in larghi strati di proletari - primi tra gli altri i lavoratori di Alitalia (anch’essi colpiti da un duro piano di «ristrutturazione» aziendale che prevedeva migliaia di esuberi) organizzati nel comitato Tutti a Bordo - la reazione delle istituzioni a ogni livello, locale, regionale e nazionale, è stata quella di prendere tempo.
Se per un momento proviamo a ragionare usando il punto di vista del nostro nemico di classe, la scelta di non arrivare a uno scontro frontale con i lavoratori è stata una mossa intelligente. Il rischio, se si fosse scelto un comportamento di assoluta intransigenza, sarebbe stato quello di riscaldare ulteriormente gli animi, vedere molto probabilmente la lotta estendersi, radicalizzarsi e saldarsi in maniera non sporadica con altre realtà di fabbrica e luoghi di lavoro che si trovavano in una situazione simile, con migliaia di lavoratori a rischio licenziamento. È utile infatti ricordare che i casi Gkn, e della già citata Alitalia, erano e sono solo la punta di un iceberg.
Nonostante la propaganda fatta dai mass media, al soldo della grande borghesia italiana, a favore dell’azione del governo Draghi (che fino allo scorso settembre guidava il Paese) e dei suoi meriti circa una ripresa economica che si sarebbe verificata dopo il crollo causato dalla pandemia di Covid19, la situazione dei lavoratori in Italia è sempre stata ben lontana dall’aver beneficiato del benché minimo miglioramento. Crisi, ristrutturazioni, ricorso alla cassa integrazione e infine licenziamenti sono stati il leitmotiv che ha segnato l’attività del governo di unità nazionale guidato dall’ex numero uno di Banca d’Italia e Bce (e con cui l’attuale governo Meloni è in continuità).
Il nefasto ruolo delle burocrazie sindacali
Il governo Draghi ha potuto beneficiare di un alleato prezioso: la burocrazia sindacale di Cgil e Fiom. Anziché sostenere in maniera continuata, radicalizzare e estendere la mobilitazione degli operai Gkn, anziché avanzare la parola d’ordine della nazionalizzazione sotto controllo operaio, hanno tramato per disperdere e incanalare la rabbia operaia in un estenuante e inutile meccanismo fatto di tavoli di confronto, negoziazioni infinite tra prefettura, Regione e ministeri vari, ricerche di imprenditori disposti a investire nella fabbrica. Con un solo obiettivo: non quello di salvare posti di lavoro e salari, ma di evitare in ogni modo che la vertenza sfuggisse loro di mano, e che il loro monopolio sulla rappresentanza operaia, in Gkn ma non solo, venisse messo in discussione.
Negli anni questo è stata la vera stella polare di tanti funzionari dell’apparato sindacale della Cgil: quello di presentarsi ai padroni e ai vari governi, non importa di quale colore, come coloro che sono in grado di garantire il mantenimento di uno status quo fatto di precarietà, sfruttamento e austerità permanenti. Come? Con l’inganno, come in Gkn. Dal presentare come inevitabili i licenziamenti, magari mitigati con l’aggiunta di qualche spicciolo sotto forma di cassa integrazione o di incentivi vari, fino ad arrivare allo scontro frontale con i lavoratori nel caso in cui questi ultimi non fossero disposti a cedere il loro destino nelle mani dei burocrati di Corso Italia (vedi Alitalia).
Tornando al caso che trattiamo in questo articolo, basta leggere i comunicati pubblicati dal collettivo di fabbrica per vedere quale è la realtà dei fatti. L’imprenditore è arrivato… ma con le tasche vuote e con un piano industriale inesistente. Il governo si è prodigato in promesse vaghe (poteva essere altrimenti?), gli stessi ammortizzatori sociali non sono mai arrivati o lo hanno fatto in ritardo e in quantità risibile.
Alla fine si è arrivati a vere e proprie provocazioni come la minaccia di provvedere allo smantellamento definitivo del sito produttivo portando altrove i macchinari, a cui si è aggiunto il mancato pagamento degli stipendi.
La lotta non si ferma
Ma, come spesso accade, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Nonostante un anno e mezzo di mobilitazione permanente e tensioni, gli operai mostrano una combattività ancora alta. La loro presenza in massa il giorno in cui si sarebbe dovuta svuotare la fabbrica dai mezzi di produzione e l’occupazione simbolica del palazzo del municipio di Firenze sono a dimostrarci che il finale non è scritto.
Nel sostenere la loro lotta, diciamo loro di non aver nessuna fiducia, oggi più che mai, né nelle istituzioni dello Stato borghese, né nei burocrati Cgil che, siamo certi, si ripresenteranno in tutti i momenti cruciali per ammorbidire la lotta, dopo essersi definiti come i veri paladini della lotta di classe.
L’unico rilancio industriale possibile passa per l’occupazione della fabbrica, la ripresa della produzione sotto controllo operaio, la nazionalizzazione dell’azienda, non nell’ottica di un differente modo di produrre rimanendo all’interno dell’economia di mercato, ma come esempio del fatto che gli operai non hanno bisogno di nessun padrone per decidere cosa e come produrre. Se ciò avvenisse siamo certi che si tratterebbe di un esempio per tante altre realtà operaie che si trovano in situazioni simili.
Questo è ciò che i padroni e i loro lacchè politici e sindacali temono più di ogni altra cosa. Sanno benissimo che la situazione è esplosiva e che basta una miccia per accendere le fascine di quella mobilitazione generale che sola potrebbe creare le condizioni perché si caccino tutti i governi borghesi e si metta fine una volta per tutte a un mondo fondato sullo sfruttamento e la miseria.
Note
(1)https://www.alternativacomunista.org/articoli/sindacato/gkn-un-accordo-che-non-basta-a-risolvere-i-problemi