Partito di Alternativa Comunista

Università: la lotta dei precari della ricerca

Università: la lotta dei precari della ricerca

 

 

Intervista a cura della redazione web

 

 

Da alcuni mesi è in corso una lotta delle lavoratrici e dei lavoratori della ricerca e dell’università, in particolare del personale precario e ultra-precario (dottorande/i, borsiste/i, assegniste/i, ecc.). Si tratta di una mobilitazione che ha come obiettivo il ritiro delle recenti controriforme del sistema universitario, ma non solo. Il 12 maggio sarà una giornata di sciopero del settore, che vedrà uniti ricercatori, professori e personale tecnico e amministrativo.
Abbiamo parlato di questa mobilitazione con Cecilia e Vincenzo, militanti del Pdac di Siena, ricercatori precari, tra i protagonisti di questa lotta.

 

Raccontateci come è iniziata questa lotta e come si sta organizzando.

Le radici di questa lotta affondano nella struttura stessa della società capitalista; ma in particolare risiedono negli effetti devastanti di decenni di privatizzazione, aziendalizzazione e precarizzazione dell’Università pubblica, che hanno creato un tessuto sociale di sfruttamento ormai diventato intollerabile.
Le «prove generali» di questa battaglia sono state avviate nel 2022, quando l’ennesima riforma sul preruolo, «positiva» sulla carta ma poco attuabile in un mondo accademico sottofinanziato, ha iniziato a produrre alcuni primi sommovimenti nel mondo del precariato accademico. Tra le varie organizzazioni, ReStrike (un coordinamento nazionale dei precari della ricerca) spiccò sicuramente per modalità organizzative e di lotta; si trattò comunque di un’esperienza breve e non molto incisiva (anche per l’atteggiamento iper-individualista e spesso miope di altre associazioni di categoria), tuttavia ha lasciato un importante bagaglio politico nella mente di chi vi ha preso parte.
Per quanto riguarda invece il movimento attuale, la lotta è iniziata nell’estate del 2024 quando l’annuncio di un taglio effettivo di oltre mezzo miliardo al finanziamento pubblico dell’Università (poi salito a circa 1,2 miliardi in 4 anni) e il fantasma di una «riforma» nettamente peggiore rispetto persino a quella di 2 anni prima hanno determinato un processo di fermentazione che, con modi, ritmi e basi di partenza differenti, ha portato alla nascita di Assemblee Precarie Universitarie (Apu) in numerose città.
Si tratta di comitati di base auto-organizzati nati su iniziativa di precarie e precari della ricerca e connessi anche con altre categorie di lavoratrici e lavoratori e con il mondo studentesco. Le Apu si coordinano a livello nazionale e mantengono autonomia a livello locale. Stanno organizzando eventi e iniziative di vario tipo per contrastare la riforma proposta dalla ministra Bernini (e scritta dalla Crui) e la situazione di sottofinanziamento in cui verte l’università pubblica da 15 anni a questa parte. Alcune delle nostre rivendicazioni troveranno spazio nello sciopero del 12 maggio, chiamato dalle Apu a livello nazionale, in collaborazione con alcuni sindacati che lo hanno proclamato.

 

Questa mobilitazione nasce per respingere le controriforme del governo Meloni, che, come già i precedenti governi di destra a guida Berlusconi, intende ridurre drasticamente i fondi pubblici a sostegno della ricerca e dell’istruzione universitaria. Quali sono i principali attacchi del governo Meloni?

Se volessimo sintetizzare all’osso, potremmo dire che questa controriforma sembra quasi la copia conforme di un film già visto 15 anni fa: un attacco con taglio da 9 cifre al finanziamento pubblico delle università combinato a una riforma del preruolo finalizzata a precarizzare ancora di più il lavoro di ricerca (per continuare ad avere professionisti altamente qualificati a basso costo e senza alcun diritto). Ancora una volta, questo attacco piomba su un’Università già fortemente sottofinanziata e sull’orlo del collasso, a causa degli effetti di lungo termine della manovra Brunetta-Gelmini, assediata da un lato dal ticchettio della bomba ad orologeria prodotta dallo scellerato e irresponsabile utilizzo dei fondi Pnrr (che ha generato un’enorme bolla di precariato ora destinata a scoppiare), dall’altro dalla concorrenza dei diplomifici telematici.
Per quanto in una prospettiva di continuità con i governi precedenti, in questo caso la riforma proposta costituisce un ulteriore enorme passo indietro dal punto di vista contrattuale, economico e previdenziale. In altre parole, il governo Meloni ha previsto uno smantellamento graduale dell’Università pubblica italiana: da un lato, tramite tagli consistenti che costringono i singoli Atenei a ridurre drasticamente i servizi proposti per i propri lavoratori e anche per gli studenti; dall’altro, attraverso un’ulteriore precarizzazione e frammentazione delle carriere universitarie con figure lavorative non coperte dai servizi previdenziali di base (es. la possibilità di fare richiesta di disoccupazione al termine del contratto) e sottopagate.
In altre parole, questa riforma blocca le Università pubbliche italiane, impedendo agli Atenei sia di offrire servizi di buon livello sia di reclutare e stabilizzare nuovo personale. Rispetto a quest’ultimo punto, dato che la riforma che si prospetta elimina, di fatto, le figure del preruolo universitario, l’attacco da parte del governo è anche particolarmente subdolo: l’obiettivo è quello di costringere le singole Università, ormai sull’orlo del collasso, a chiedere che sia il Ministero ad attuare una riforma per salvare il salvabile e sperare di poter assumere, seppur in condizioni lavorative pessime, nuovi lavoratori che si accontentino di fare ricerca e didattica per pochi soldi e senza tutele. E questo non può che comportare una «lotta tra poveri», in cui le precarie e i precari hanno poche possibilità materiali per migliorare le proprie condizioni lavorative.

 

Nonostante partiti come il Pd e il M5S cerchino di inserirsi in questa mobilitazione, sono stati complici dello smantellamento dell’università pubblica. Cosa potete dire su questo?

Come sempre, il teatrino borghese è solo una commedia (neppure ben scritta), un gioco di ruoli. Tralasciando il ruolo nefasto che, nei loro trasformismi di facciata, hanno avuto le varie «sinistre» al governo già prima dello stesso governo Berlusconi riguardo al processo di aziendalizzazione dell’Università pubblica, cosa hanno fatto, in concreto, questi partiti (dalla «sinistra» borghese del Pd fino a gruppi riformisti come Pap e Rifondazione passando per tutte le sfumature di opportunismo che li caratterizza) in tutti gli anni trascorsi dall’approvazione della riforma Gelmini? La stessa irricevibile (e semi-abortita) riforma del 2022, diretta antecedente dell’attuale, venne proposta da un altro governo.
C’è quindi una prospettiva di continuità tra il passato e il presente. Una continuità data dagli immutati interessi delle classi dominanti nel capitalismo, quale che sia il governo di turno. E l’obiettivo è sempre lo stesso: smantellare l’università pubblica a favore degli interessi dei privati e delle aziende (che orientano in modo progressivamente crescente il destino della ricerca).

 

Voi siete i promotori del Cpu di Siena. Quali sono state le vostre iniziative sul territorio? Avete cercato l’unità con le lotte operaie e con gli studenti?

Il nucleo del Coordinamento del Precariato Universitario di Siena comincia a formarsi già nell’estate del 2024, ma è solo ad ottobre che il Cpu nasce formalmente, dopo varie assemblee di confronto e di programmazione. Assemblea dopo assemblea abbiamo intercettato nuove compagne e nuovi compagni, abbiamo ampliato la discussione e la proposta politica e rivendicativa, abbiamo posto attenzione sia a quanto parallelamente avveniva in altre città, sia a quanto avveniva a Siena.
I principi fondamentali su cui abbiamo impostato il Cpu sono l’opposizione ad ogni forma di discriminazione, prevaricazione e oppressione, la pluralità (di figure lavorative e organizzazioni ammesse al confronto), l’inclusione (rivolta a tutte le individualità che partecipano della vita universitaria, quindi singoli, associazioni studentesche e di categoria e sindacati), la democrazia diretta nel momento assembleare, basata sul confronto attivo dal basso (fattore a cui sono subordinate tutte le realtà aderenti al nostro percorso di lotta).
Abbiamo costruito collettivamente la piattaforma rivendicativa, per questo rifiutiamo ogni tipo di compromesso o contrattazione individuale con elementi terzi da parte di realtà aderenti, che implicherebbero una messa in discussione del principio democratico, inficiando i rapporti di reciproca fiducia e collaborazione. Nella nostra azione politica, non ci siamo limitati ai soli confini accademici, abbiamo anche guardato alle altre realtà lavorative sotto attacco, solidarizzando e unendoci da subito alla lotta operaia della Beko di Siena.
Non siamo un’assemblea molto grande, ma abbiamo fatto un gran lavoro nei limiti delle nostre forze. Più nello specifico, abbiamo fatto uno studio approfondito della condizione dell’Università pubblica: e su queste basi materiali e quantitative e in collaborazione col mondo studentesco abbiamo impostato le nostre rivendicazioni per un modello radicalmente diverso di Università.
Abbiamo contestato la ministra Bernini quando è venuta a Siena (anche con il supporto di altre Apu, di rappresentanze sindacali legate al mondo delle esternalizzazioni e con l’importante contributo solidale dei lavoratori e delle lavoratrici della Beko). Abbiamo organizzato molte iniziative e molte ne abbiamo in cantiere: da ultime la partecipazione al presidio organizzato da Non Una di Meno di Siena, contro gli ennesimi femminicidi (a ribadire che la lotta contro le oppressioni di genere e la violenza maschilista sono parte integrante della nostra battaglia) e la partecipazione al corteo del 25 aprile organizzato dall’associazione studentesca Cravos (poiché noi siamo Resistenza).

 

A Bologna a febbraio c’è stata una partecipata assemblea nazionale del movimento, a cui avete partecipato. Ci raccontate com'è andata e che decisioni sono state prese?

Abbiamo partecipato all’assemblea nazionale di Bologna dell’8-9 febbraio, lì abbiamo portato la nostra giovane ma forte esperienza, la nostra piattaforma rivendicativa, che abbiamo messo a disposizione del dibattito con le altre Apu. Condividiamo l’approccio generale di queste Assemblee, che correttamente focalizzano i tre assi principali dell’attacco all’Università: definanziamento, precarizzazione e militarizzazione. Questi sono i tre temi che verranno sviluppati anche in vista dello sciopero nazionale del 12 maggio, per cui si è scelto di adottare il nome di «sciopero del precariato»: siamo infatti convinte e convinti che, a prescindere dal tipo di contratto, il lavoro precario debba essere combattuto con tutte le nostre forze e che, in assenza di progettualità e diritti, non possano esservi esperienze lavorative dignitose. In vista dello sciopero e dell’attuazione della già citata riforma (attualmente in fase di emendamenti e discussione, potrebbe diventare legge entro i mesi estivi), occorre sviluppare ulteriormente la già ricca piattaforma pubblicata nel Manifesto delle Assemblee precarie; perché si tratta di un attacco senza precedenti ed è necessario l’impegno di tutte e di tutti in questa lotta contro un sistema (capitalista e borghese) che ci vuole sempre più divisi e istiga il conflitto tra membri della stessa classe oppressa.

 

Per concludere, di quale programma e quale piano d’azione pensate debba dotarsi il movimento?

Il movimento deve rafforzare il proprio coordinamento su base nazionale (radicandosi dove presente ed espandendosi anche dove finora non è presente) e la propria indipendenza organizzativa, garantendo la massima democraticità partecipativa. La piattaforma dovrebbe essere ampliata sulla base dei punti già fissati, ma anche delineando con maggiore chiarezza i modi i cui delle rivendicazioni devono essere attuate: tutti dentro, ma secondo quali forme contrattuali? Come affrontare l’urgenza immediata della bolla del precariato storico e Pnrr? Siamo convinte e convinti che in questo processo nato dal basso la costruzione spetti direttamente a chi lavora non ai partiti borghesi o che sostengono le politiche borghesi né a direzioni sindacali burocratiche che in realtà cercano solo di imbrigliare le lotte.
È anche importante collegare questa battaglia alle altre lotte del mondo del lavoro, per i diritti sociali, contro la repressione, per il clima, contro il riarmo e la guerra imperialista e al fianco della resistenza dei popoli oppressi (come quelli ucraino e palestinese). Tutte queste lotte sono connesse dalla medesima componente di classe.
Alla luce della galoppante disoccupazione (altro volto della precarizzazione e del ricatto lavorativo) e dell’impennata inflazionistica le rivendicazioni del programma di transizione (come il ripristino della scala mobile dei salari e la riduzione delle ore di lavoro a parità di stipendio, la calmierizzazione degli affitti e l' implementazione dell'edilizia popolare) sono attuali più che mai e non possono che rafforzare la coesione e la forza collettiva della classe oppressa.
Infine, il problema dell’attacco all’Università pubblica e della precarizzazione accademica non è solo italiano ma mondiale. Importanti movimenti si stanno infatti formando o sono in corso anche in altri paesi (dagli Usa allo Stato spagnolo alla Francia, per non scordare lo straordinario esempio degli studenti/esse e dei colleghi/e in Serbia) e creare anche connessioni internazionali (per un mondo accademico che è intrinsecamente internazionale) potrebbe essere un potente fattore di forza. La lotta per un modello diverso e migliore di Università pubblica (e sociale) non può che essere lotta di classe internazionale.

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