Partito di Alternativa Comunista

Nota sulla Meloni al Congresso Cgil

Nota sulla Meloni al Congresso Cgil

 

 

Dipartimento sindacale del Pdac

 

 

Fumata bianca, habemus papam, il re è morto, viva il re... si può scegliere a piacere del lettore la frase per acclamare la rielezione di Maurizio Landini alla guida della Cgil. Perché queste formule? Per ben descrivere lo stato della lotta sindacale di oggi.
Già è grave che un sindacato inviti al proprio congresso un qualsiasi capo di governo, che in quanto tale è nemico di classe dei lavoratori, ma il maggiore sindacato italiano ha invitato sul palco «il presidente» Meloni, ovvero il volto più reazionario della politica borghese, col quale dovrebbe essere palesemente in contrapposizione per la sua politica da Robin Hood al contrario, ovvero togliere ai poveri per dare ai ricchi.
È una prassi, viene spiegato… i premier sono stati sempre invitati. Il sì di Meloni è benvenuto: serve a dimostrare che la Cgil è un interlocutore di Palazzo, anche ai tempi della destra più reazionaria. E Meloni perché ha accettato? Per dimostrare, dice, di essere all’altezza della sua carica, anche davanti alle parti sindacali più distanti. Insomma la legittimazione e approvazione sono reciproche: ma sarà lei a portare a casa il profitto migliore: mentre la direzione Cgil palesa il suo volto complice e concertativo, la Meloni e i partiti che sostengono il suo governo si portano a casa una legittimazione agli occhi dei lavoratori, che, sommata ai continui tradimenti di classe del centrosinistra e della sinistra riformista, spiega i successi elettorali della destra.
Ma sullo stesso palco è stata invitata anche la cosiddetta opposizione di governo, i «sinistri» e pentastellati - dalla Schlein a Conte fino a Calenda - che hanno portato alla vittoria la Meloni, nella sostanza lanciando ricette liberiste simili a quelle di questo governo, senza una reale dicotomia tra le parti. Calenda contestato, chiama pecoroni coloro che lo contestano, tanto per far capire quanto la base sia importante per questi burocrati politico-sindacali…
Mentre in sala va in scena la protesta contro la presenza della Meloni della minoranza Cgil guidata da Eliana Como, che lascia la sala a pugno chiuso alzato al canto di «Bella Ciao», posando ai loro posti dei peluche, simbolo della «strage di Stato di Cutro», lei dal palco ironizzava beffarda, screditando e sfidando quel sentimento d’indignazione comune a tantissimi lavoratori. Una protesta, va detto, meramente mediatica, quindi blanda rispetto a quello che sarebbe stato necessario: i delegati del congresso Cgil avrebbero dovuto prendere  esempio dagli operai francesi che stanno scioperando a oltranza e occupano le fabbriche, minacciando di cacciare Macron e tutto il suo governo a calci nel sedere se non se ne andrà da solo…
Una presenza, quella della Meloni, che avrebbe dovuto indignare soprattutto le donne presenti in sala: «il presidente» Meloni, che non manca di rivendicare posizioni maschiliste e omobitransfobiche, è la dimostrazione che non serve a nulla avere donne ai vertici se queste donne sono conservatrici e non lavorano per migliorare la condizione femminile, da sempre indice di evoluzione o arretratezza della società.
Giorgia Meloni parla davanti alla platea — composta in maggioranza da quadri e dirigenti sindacali — che ascolta in rigoroso silenzio. C’è persino una flebile battuta di mano quando la premier cita «l'ignobile» attacco alla sede romana della Cgil da parte dell’«estrema destra»… come se lei non avesse mai avuto nulla a che fare con Casa Pound, Forza Nuova o ambienti simili.
Prosegue con: «Noi pensavamo che il tempo della contrapposizione ideologica feroce fosse dietro alle nostre spalle – ha detto - invece in questi mesi a me sembra che siano sempre più frequenti i segnali di un ritorno alla violenza politica». Queste parole dovrebbero far tremare subito la Cgil poiché svelano l’intento repressivo delle lotte operaie in futuro, eppure nessuno dei burocrati sindacali ha avuto un brivido lungo la schiena…
«Il presidente» boccia tutta la linea del sindacato su disoccupazione, salari da fame e riforma fiscale e reddito di cittadinanza. Dal palco si sentono le seguenti parole: «con questa presenza credo che possiamo tentare di celebrare l'unità nazionale. L'unità non è annullare la contrapposizione che ha un ruolo positivo e educativo per la comunità»: ecco come annullare anni di lotta di classe facendo passare l'unità come un qualcosa che può andare a braccetto con la contrapposizione…
A conclusione dello sceneggiato da pupi siciliani, entra in scena il leader maximo Landini, che annuncia di essere disponibile «persino» a uno sciopero generale insieme con Cisl e Uil… la stessa Cisl che, addirittura, invece di manifestare con Cgil e Uil nell’ultimo sciopero nazionale – anche allora, va detto, fu uno sciopero di facciata che sono stati costretti a proclamare su spinta della base combattiva, più per depotenziarne la forza che altro - scese in piazza qualche giorno dopo al fianco del governo. Aggiungiamo che, per ora, la prospettiva dello sciopero generale sembra molto lontana…
Riassumendo, la base è sempre più lontana dei vertici sindacali, quella base che garantisce loro il posto che ricoprono, ma che perennemente viene tradita.
La Meloni è apparsa come un colosso perché ha rivendicato la sua guerra ai poveri e ha, in modo poco velato, lasciato intendere il suo messaggio, cioè: o il sindacato fa quello che dice il suo governo oppure è inutile poiché il governo non cambia traiettoria... sicura di sé poiché i delegati sono stati docili nell'ascoltarla, quasi come quando i dirigenti si siedono ai tavoli concertativi per le trattative.
Dopo questo spettacolo assurdo, le lavoratrici e lavoratori hanno una sola strada per migliorare la propria condizione: l'unica e sola via è quella della lotta di classe che possa portare ad un vero e proprio cambiamento del sistema economico e sociale predominante fino ad oggi, e ricordando le parole di Gramsci: «Quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni. Lo comprenderai meglio e forse finirai con l'accorgerti che ha un po', o molto, di ragione. Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire».

 

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